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venerdì 26 agosto 2011

Sindrome giapponese e caso italiano

Un elevato debito pubblico è sia conseguenza che causa di un periodo di stagnazione economica. E' conseguenza in quanto, se l'economia rallenta o si contrae, gli Stati intervengono con stimoli monetari e fiscali per riattivare lo sviluppo e tali stimoli vengono finanziati col debito. E' causa perchè, se il debito raggiunge un rapporto col PIL intorno o sopra il 90%, diventa una "palla al piede" dei Governi, i cui margini di manovra si riducono sensibilmente.
SI produce quindi un circolo vizioso che è stato chiamato "sindrome giapponese" dato che il Paese del sol levante è quello che più lungamente e con scarsi risultati ha cercato di alzare il tasso di sviluppo tramite il debito pubblico, che ha raggiunto il 225% del PIL.
E' mia opinione ( già espressa in un commento  al post del 10 agosto "Il treno della realtà è arrivato"), che l'esperienza giapponese degli ultimi 20 anni  (basso tasso di crescita, alto debito, ripetuti ridimensionamenti dei mercati azionari, via via che questi ultimi prendono consapevolezza della debolezza dell'economia) sia un plausibile indicatore di cosa potrebbe accadere agli altri paesi sviluppati negli anni, e forse nei lustri, a venire dato che la maggioranza di essi ha raggiunto o superato la soglia del 90% nel rapporto debito/PIL.

La mia opinione trova conforto in quanto ha detto, alcuni giorni fa, il governatore della Banca Nazionale austriaca Ewald Nowotny " Ho il timore di un effetto giapponese: fase di crescita più bassa nel lungo periodo".
La ragione di questo timore è che i tentativi  pubblici per rilanciare lo sviluppo si sono dimostrati non risolutivi per il semplice motivo che "il cavallo non beve", dove il cavallo è il settore privato dell'economia. Si è visto infatti che anche gli sforzi immensi messi in atto dagli USA dal 2008 ad oggi, con un'iniezione di denato pubblico mai vista in precedenza (c.d.: quantitative easing 1 e 2), hanno prodotto solo una temporanea ripresa. Venendo meno questo supporto, difficilmente ripetibile anche per l'assoluta contrarietà dei repubblicani, il tasso di crescita ha bruscamente rallentato e i mercati sono andati a picco.

Un'interessante osservazione e conferma al riguardo è venuta da Richard Koo, Capo Economista di Nomura, la maggiore banca d'affari giapponese, in una intervista televisiva del 14 agosto alla rete CNBC. Ha detto che dal punto di vista giapponese si nota come tutti gli stati del mondo stiano ripetendo gli errori compiuti a suo tempo dal Giappone, seguendo la stessa strada di stimolo al settore privato fatto di: abbassamento dei tassi d'interesse, aumento della liquidità, iniezione di capitali, stimoli fiscali.Tutto ciò mentre le aziende sono alle prese con un processo di riduzione dell'effetto leva (deleveraging)  e quindi di riduzione dei debiti per risanare i conti aziendali. In questo contesto lo sviluppo non può comunque essere elevato.
Se poi anche gli Stati iniziano, come sta avvenendo un pò ovunque nel mondo, un loro processo di deleveraging, il risultato sarà una riduzione dello sviluppo, come è appunto avvenuto in Giappone.
Koo non ha detto cosa si potrebbe fare in alternativa per evitare che la sindrome giapponese si estenda al resto del mondo. Si può ipotizzare un'azione di spesa pubblica per investimenti infrastrutturali atta a creare un volano anche per il settore privato, che peraltro non può essere fatta in deficit , come era avvenuto dopo la grande crisi del 1929, perchè oggi ciò produrrebbe il declassamento del debito sovrano e il rischio bancarotta dello Stato. Una politica di austerità con una riduzione forte della spesa pubblica corrente sembra quindi inevitabile, se si vogliono trovare risorse per gli investimenti necessari a far ripartire davvero l'economia. Ciò avvierebbe un nuovo ciclo di accumulazione capitalistica fatto di: risparmio/investimenti/nuova occupazione/redditi/consumi.

Il  caso specifico del nostro Paese, oggetto di un forte e mirato attacco speculativo, è ancora più complesso  perchè si deve dare una risposta veloce ed efficace per fermare tale attacco e superare la crisi di fiducia che si è creata a causa del troppo ritardo nel porre mano ai nostri problemi . La delicata  manovra economica in fase di perfezionamento deve contemperare rigore, sviluppo ed equità. Il solo rigore senza sviluppo non convincerebbe i mercati, che affosserebbero il nostro debito pubblico; il rigore senza equità porterebbe a una rivolta sociale. A questa  non facile sintesi devono concorrere, con diverse sensibilità ma con la condivisa volontà di fare il bene comune, tutte le forze parlamentari, data l'estrema gravità della crisi.

Vedremo, nei prossimi giorni con il dibattito al Parlamento, se i nostri  leader politici sapranno comportarsi da statisti o se scivoleranno ancora in una "difesa del particulare" che potrebbe, questa volta, rivelarsi letale per l'Italia ed anche per loro.

venerdì 19 agosto 2011

Lettera di un "pagatore fiscale" sulla manovra

Ospito con piacere la seguente lettera che mi è stata inviata da un amico, lettore del blog e che è stata pubblicata, con qualche taglio, su "Il Corriere della Sera" del 17 agosto.

Mette bene in evidenza, e con amara ironia, il disagio che prova un membro della classe media, con lavoro dipendente, che viene tartassato dalla manovra, mentre altre categorie, che guadagnano molto e dichiarano poco, evitano qualsiasi prelievo.

Come è stata rimarcato da molti commentatori, una manovra " lacrime e sangue" è giustificabile  e accettabile solo se l'onere della stessa viene effettivamente rapportato alla capacità contributiva. Dato il diffuso fenomeno dell'evasione e dell'elusione fiscale, rischiano invece di pagare sempre " i soliti noti" cioè coloro che non possono occultare i loro redditi.

E' necessario che le correzioni oggi allo studio tengano conto non solo dei redditi dichiarati, spesso risibili, ma anche di altri indicatori di ricchezza che spesso esistono e "fanno a pugni" con quanto  fiscalmente dichiarato.

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Il giorno 16/ago/2011, alle ore 16,36, "Zorzi Andrea" ha scritto a Ferruccio De Bortoli:


Caro Direttore,
la recente manovra del Governo costerà alla mia famiglia 21mila euro di contributo di solidarietà in tre anni.
Dovrei essere abituato, ma Le confesso che stavolta ho provato la stessa sensazione di quando mi entrarono i ladri in casa.Noi lavoratori dipendenti "pagatori fiscali" abbiamo tre problemi.
Primo: ci sentiamo in colpa perchè ci fanno sentire ricchi quando invece siamo più poveri di tutti i carrozzieri, barbieri e baristi che conosciamo.
Secondo: ci sentiamo in colpa perchè ogni mese abbiamo lo stipendio sicuro, mentre i coraggiosi evasori-autonomi rischiano in proprio.
Ma noi "pagatori fiscali" abbiamo anche dei vantaggi competitivi. Siamo gli unici che possono dire ad alta voce quanto guadagnano, gli unici che possono chiedere trasparenza alla politica e all'economia senza provare vergogna, perchè paghiamo più di tutti per le scuole dei bambini (anche degli altri), gli ospedali, le strade, le missioni di pace. Dal punto di vista delle entrate pubbliche siamo, senza moralismo, gli italiani migliori. Dico senza moralismo perchè anche noi se potessimo evadere lo faremmo. Ebbene sì: siamo anche sinceri.
Ma qual'è il nostro terzo problema, il più grave di tutti? Non abbiamo rappresentanza politica.
E' pazzesco, visto che paghiamo più di tutti, ma è così. La Lega fingendo di occuparsi di federalismi vari e ministeri brianzoli in realtà, da sempre, rappresenta e difende a tempo pieno gli evasori fiscali, anche grazie all'amico Tremonti che lo fa di mestiere da prima di entrare in politica.
E vabbè, si sa. Prima lo faceva la DC, ora l'hanno sostituita loro. Il resto della destra è pieno di "pagatori fiscali" ma putroppo ha bisogno della Lega e si deve adeguare. E ri-vabbè.
Quella che è incredibile è la sinistra. Non una parola sugli evasori fiscali intesi come ladri che ogni giorno rubano denaro alle nostre famiglie di "pagatori fiscali". Ha mai sentito la sinistra parlare in questo modo? Mai. Invece avrà certamente sentito grandi complimenti e attenzione per gli imprenditori, gli artigiani e i commercianti. Mai un grazie per i di loro dipendenti, poveri, unici e soli contribuenti completi.
Un'incredibile sinistra che, sul tema del fisco, si affida alle analisi degli artigiani di Mestre. Artigiani? Ma per piacere, li conosciamo, sono gli stessi che ci fanno i lavori in casa senza ricevuta fiscale: è come cercare il concetto di lealtà in un trattato dei Giuda Iscariota! Tutto ciò ha una conseguenza terribile, direi macroeconomica. L'Italia è l'unico paese europeo dove non solo questa ma qualsiasi manovra economica si fonda su dati di partenza bugiardi.
Quando sento dire che "chi ha di più deve dare di più" in Italia mi vengono i brividi perchè penso: rieccoli. devo pagare un'altra volta, mentre il mio amico che fa il piastrellista potrà invitarmi anche quest'anno a festeggiare l'acquisto del suo quattordicesimo appartamento: Si è imposto di comprarne uno all'anno da quando ha messo su la ditta e per questo suo eroico impegno, assolto puntualmente in contanti, dobbiamo brindare: all'appartamento e al fatto che i suoi figli siano stati esentati dal pagare le tasse universitarie. E' giusto, sono poveri.
Caro Direttore, Le chiedo una Sua opinione: e se i "pagatori fiscali" facessero un loro partito?
Semplice,snello, con base sociale certa e obiettivi facilmente delineabili? Come La vede?
Con stima.




























































mercoledì 10 agosto 2011

Il treno della realtà è arrivato

Nel post del  18  luglio "La sfida globale e i costi della politica" scrivevo:

..." Il nostro Paese, e non solo il nostro, deve affrontare tempi molto duri.
Per dirla chiaramente, gran parte dei Paesi sviluppati (USA e Gran Bretagna in testa, ma anche Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia ecc.) hanno vissuto negli ultimi 20/30 anni costantemente al di sopra dei propri mezzi, accumulando debiti pubblici e privati spesso insostenibili e accollando alle future generazioni l'onere derivante da un tenore di vita troppo alto di quelle attuali..... ma anche qui i nodi stanno venendo al pettine.".... .

Questa previsione è stata fin troppo rapidamente confermata da due eventi quasi contemporanei, avvenuti fra il 5 e il 6 agosto: il declassamento degli USA, che hanno perso la tripla A nella valutazione data da Standard & Poors sul loro debito pubblico e il sostanziale "commissariamento" dell' Italia da parte della Banca Centrale Europea, che ha imposto un diktat preciso su tempi e modi per accelerare il risanamento dei conti pubblici e la riduzione del debito, come condizione per l'acquisto - da parte della stessa banca - dei titoli di stato italiani, onde salvare il nostro Paese dalla bancarotta.

Questo brusco risveglio ha fatto cambiare anche la percezione della  maggioranza sulla gravità della situazione. Se ancora ai primi di agosto il premier, nell'intervento al Parlamento e poi nell'incontro con le parti sociali, ostentava un improprio ottimismo sulla solidità del Paese (qualcuno, fra le parti sociali, lo ha definito "surreale"), dopo la lettera della Bce il capo della Lega ha detto testualmente "Per tanto tempo il Paese ha speso più di quanto poteva e un bel giorno la realtà ha preso il treno ed è venuta a trovarci".

Come ha scritto Mario Monti nell'editoriale del Corriere della Sera del 7 agosto  "Il podestà straniero": "Il governo e la maggioranza, dopo aver rivendicato la propria autonoma capacità  di risolvere i problemi del Paese.....hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un "governo tecnico". Le forme restano salve....ma le decisioni principali sono state prese da un "governo tecnico sovranazionale"....con sedi sparse fra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York".

Ora si tratta di vedere come interagiranno maggioranza, opposizione e parti sociali nella messa a punto della nuova manovra e come reagiranno i cittadini alla stessa: se i primi sapranno superare le logiche di parte e lavorare realmente per il bene comune, il supporto internazionale proseguirà; altrimenti la Bce, che si è molto esposta, in termini finanziari e di credibilità, "staccherà la spina" sancendo il fallimento italiano.
In altre circostanze (la gravissima crisi del 1992, con l'attacco speculativo alla lira, la sfida del 1997 per l'ingresso dell' Italia nell'euro )  le Istituzioni del nostro Paese hanno dimostrato di saper trovare - a fronte di rischi potenzialmente letali - le forze e le risorse per superare le difficoltà.
Si può quindi sperare che, pur attraverso patimenti e contrasti, ciò possa avvenire anche in questa occasione.
C'è però una differenza  di fondo rispetto alle precedenti esperienze ed è costituita dall'atteggiamento dei cittadini. Nella crisi attuale non si tratta solo di chiedere ai cittadini grossi sacrifici economici, ma anche quella di avviare un forte "cambiamento culturale". E' necessario, infatti, rivedere profondamente gli stili di vita e i modelli di consumo diffusi, che si ispirano ad un'opulenza che in passato è stata più immaginata che reale: sotto il martellante bombardamento della pubblicità commerciale e del  "marketing ideologico", che proponeva un cittadino anzitutto "consumatore" , si è sviluppata una società dove il superfluo è diventato essenziale e dove tutti considerano normale per una famiglia possedere più auto, più televisori, almeno un cellulare a testa e così via.
Dove non bastano i redditi, si procede con i debiti e dove non bastano neppure questi si produce una frustrazione diffusa e si parla, in molti casi  impropriamente, di impoverimento.
Le ribellioni che si stanno verificando in Inghilterra , che sembrano guidate dall'impulso a "volere tutto e subito", e portano a saccheggiare soprattutto gli esercizi commerciali  che vendono i beni più "griffati", sono un segnale allarmante di dove può portare l'"ideologia del consumo" oggi prevalente.
Siamo di fronte ad una situazione in cui i cittadini non potranno più scaricare comodamente sui politici le colpe di quanto è successo e sucederà, ma devono fare un serio esame di coscienza, domandandosi se le loro aspirazioni sono congruenti con le loro possibilità. Se la risposta è nagativa hanno solo due possibilità: o rinunciare a parte del superfluo, di cui molti sembrano non poter fare a meno, oppure "rimboccarsi le maniche" e cercare di produrre di più: ciò potrebbe portare a superare alcuni problemi cronici del nostro Paese (assenteismo diffuso, abbandono dei lavori manuali, di cui pure c'è molto bisogno, scarsa disponibilità a rischiare, anche nei giovani).

Non voglio entrare, in questo post, nei problemi specifici  degli Stati Uniti, ma solo dire che non sono messi meglio dell'Italia ( la reazione di Obama al declassamento è stata "noi siamo gli Stati Uniti e saremo sempre un paese da tripla A", il che ha prodotto il crollo delle borse USA)  e che se insistono nel voler ripristinare i modelli di iperconsumo di cui sono autori ed esportatori, si troveranno a mal partito per gli effetti che questi  produrranno su deficit e debito. La Cina, che è il loro maggior creditore ha chiesto agli USA, con toni analoghi a quelli usati dalla Bce nei nostri confronti, di "mettere i conti in ordine". Ma anche nel loro caso ci vorranno non solo sacrifici ma pure un netto cambiamento culturale. Come ha detto l'economista  Jeremy Rifkin nell'intervista a La Stampa del 9 agosto  parlando della globalizzazione "noi occidentali  l'abbiamo interpretata come un'opportunità di consumo invece che di produzione...... bisogna cambiare paradigma di sviluppo, a partire dalle abitudini energetiche".




lunedì 1 agosto 2011

Il processo lungo avrà vita breve

Fra i tanti provvedimenti ad personam che l'attuale maggioranza ha approvato o cercato di far approvare, quello sul processo lungo è certamente il più smaccato perchè produrrebbe il risultato di un allungamento indefinito dei processi con gravi conseguenze sul funzionamento della giustizia, a fronte dell'esigenza, riconosciuta peraltro anche dalla maggioranza, di un loro accorciamento. Il fatto che si insista in questa direzione malgrado i risultati del refendum sul legittimo impedimento, che ha mostrato l'assoluta contrarietà degli italiani a provvedimenti di questo tipo, mostra la distanza abissale che si è creata fra il sentire comune dei cittadini e l'interesse personale di chi ci governa e conferma quanto ho affermato  nel post del 16 giugno ("Referendum: vinta una battaglia, non la guerra") che si sarebbe tentato di aggirare la volontà popolare e che sarebbe stata, quindi, necessaria un forte viglanza a questo riguardo.

 Nel caso specifico del processo lungo c'è peraltro da chiedersi  se sia maggiore l'impudenza  o l'insipienza di chi l'ha proposto.  Per quanto la prima sia grande, dato che si afferma l'esatto opposto della verità facendo anche finta di crederci, a mio avviso è maggiore la seconda, per vari motivi:

- anzitutto, usare la tecnica del sotterfugio (inserire un piccolo emendamento nel mare magnum della finanziaria o introdurre una norma ad personam in un provvedimento legislativo che ha tutt'altro oggetto) sperando che funzioni, è puerile.

- l'iter parlamentare è tortuoso e assai incerto, come ha ben evidenziato il sottosegretario Rosso del PDL che ha dichiarato quanto segue: " La posizione che passa oggi al Senato riguarda solo il Senato. Ci sarà ancora una fase di approfondimento alla Camera. Ho visto una cosa in questi anni, che le leggi ad personam partono in un modo, evolvono in un altro e non finiscono quasi mai" citando al riguardo la norma sulla "prescrizione breve" che, approvata alla Camera, si è arenata nei meandri del Senato. Tra l'altro va detto che, a causa di un grossolano errore tecnico ( sono state confuse due norme del codice di procedura penale) il testo sul "processo lungo" appena approvato dovrà non solo passare al vaglio della Camera, dovè potrà subire modifiche, ma anche tornare al Senato. I tempi saranno certamente lunghi e l'esito non è affatto scontato.

- la Lega, dopo il voto su Papa, non ha potuto tirare ulteriormente la corda  nei rapporti con il PDL e quindi in questa occasione ha abbozzato, anche perchè è stata posta la fiducia e quindi il voto palese. Ma  questo partito, soprattutto nella componente che fa capo a Maroni, è ben consapevole che, se continua  a legare il proprio destino ai problemi personali del premier, finirà per andare a fondo con lui.  Chi conta ancora sulla facile acquiescenza della Lega è, a mio avviso, destinato ad essere deluso.
Credo che, se Berlusconi vuole avere qualche probabilità di superare il lento tramonto che sembra trascinarlo al definitivo declino, debba anzitutto liberarsi dei pessimi consiglieri di cui si è circondato, che gli hanno suggerito una strategia suicida di difesa dai processi, basata sulle insopportabili leggi ad personam, che sono fra le cause principali della sua perdita di credibilità nei confronti dell' elettorato, anche quello di centrodestra.

Se si guardano i numerosi commenti fatti dai lettori dei quotidiani online  riguardo al processo lungo si ha una conferma della forte insofferenza dei cittadini verso questa iniziativa, che viene ritenuta un'offesa all'intelligenza delle persone o, come è stato detto in termini più coloriti, "un'autentica presa per i fondelli", che si ritorcerà contro chi cerca di metterla in atto.

Io sono convinto comunque, per quanto detto in precedenza, che l'attuale provvedimento sul processo lungo non supererà l'iter parlamentare.