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venerdì 25 gennaio 2013

Mettere il Regno Unito fuori dall'Europa ?


In un interessante pezzo sul Corriere del 22 gennaio gli economisti  Alesina e Giavazzi stroncano giustamente  l’articolo intitolato “Perché Monti  non è l’uomo giusto per dirigere l’Italia”scritto da Walter Munchau per il Financial Times. Riporto un estratto di quanto scritto dai due economisti:
“Si sta diffondendo una sciocchezza, cioè un’opinione che non ha riscontri nell’evidenza empirica. Il rigore dei conti pubblici sarebbe la ragione per cui la recessione si prolunga e la disoccupazione non scende: Lo ripete da alcuni mesi Stefano Fassina, responsabile economico del PD……; gli fa eco Silvio Berlusconi…..; ne fa cenno persino il Fondo monetario internazionale….; lo scrive Walter Munchau sul Financial Times.
Senza austerità, in Italia come in altri Paese europei, non vi sarebbe stata più crescita ma spread alle stelle, una probabile ristrutturazione del debito, scricchiolii nei bilanci delle banche; insomma il rischio di un altro 2008…... Se il governo Monti avesse perseguito l’austerità…tagliando la spesa, la recessione sarebbe stata molto meno grave. Ma tra questo e dire che l’Italia non avrebbe dovuto fare nulla, magri spendere un po’ di più quando lo spread sfiorava i 600 punti e il debito era diventato insostenibile, è da irresponsabili”. (grassetto mio)
Sottoscrivo queste parole al 100%:
Se si comprendono i motivi elettorali che inducono esponenti politici  a sostenere la tesi predetta, ci si può domandare perché lo facciano Il Fondo Monetario Internazionale e il Financial Times.  Sul primo punto ha risposto  lo stesso Alesina alcuni giorni orsono nel corso della trasmissione radiofonica RAI “Radio anch’io”, in cui si è confrontato con un economista del Fondo Monetario , evidenziando le contraddizioni di questo organismo che, nelle sue ricerche, conferma la linea dell’austerità, ma poi, nelle dichiarazioni ufficiali , per ragioni politiche, la contraddice ( probabilmente per non urtare troppo la grande finanza e gli stati che ne sono fortemente condizionati, aggiungo io).
Sull’atteggiamento del  Financial Times credo giochi  molto la posizione ambigua della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa , come risulta dall’orientamento recentemente espresso dal Premier David Cameron che, da un lato, ha confermato la vocazione europeista ma, dall’altro,  ha minacciato di bloccare il trattato europeo, avvalendosi del diritto di veto,  se l’Unione non verrà incontro alle esigenze del Regno Unito, che sono parzialmente contrarie a quelle degli altri paesi, i quali mirano ad una maggiore integrazione  economica e, in prospettiva di lungo termine, politica. Cameron  ha escluso di voler uscire dall’Europa, dicendo testualmente: “ se fossimo fuori dall’Unione noi potremmo continuare i nostri scambi con i paesi membri, ma non avremmo più voce in capitolo sulle regole di questo mercato”.
Ed è noto che quello che non piace ai britannici sono soprattutto i controlli sulla finanza, che ha a Londra il suo epicentro ed è il settore economico più importante del Regno Unito. Qualora in Italia fosse Premier Monti, forte del suo passato ruolo di commissario europeo e della sua credibilità internazionale, tali controlli potrebbero essere rinforzati dall’Unione, insieme ad altre misure non gradite alla grande finanza.   Su questo versante, in questi giorni è stata approvata dall’Unione Europea la “cooperazione rafforzata” che consente a 11 Paesi di introdurre la tassa sulle transazioni finanziarie (c.d.: Tobin Tax ) senza attendere l’adesione degli altri. Anche se questa misura è da alcuni contestata perché ritenuta  di dubbia efficacia, è comunque un indicatore della volontà europea di governare la tematica.
Come ha scritto Franco Venturini nell’editoriale del 24 gennaio sul Corriere “il vero e decisivo oggetto del contendere” è “ che l’Eurozona, guidata dalla Germania, vuole più integrazione, mentre la Gran Bretagna ne vuole di meno” come dimostra  la richiesta del ritorno di poteri da Bruxelles a Londra fatta da Cameron e la sua intenzione di sottoporre tale richiesta a ratifica popolare entro il 2017.
Lasciando da parte l’impropria critica a Monti di un giornalista, le considerazioni che precedono pongono un tema di ampio respiro che dovrebbe essere affrontato: ma conviene all’Europa un partner “ a mezzo servizio”,  come il Regno Unito,  che cerca di sfruttare i vantaggi del mercato unico, ma non accetta le regole comuni e, quindi, mette spesso i bastoni fra le ruote del processo d’integrazione europea? Bisogna aspettare, al riguardo, la pronuncia britannica o è meglio che l’Europa giochi d’anticipo?
Sarebbe opportuno che le nostre forze politiche si esprimessero su questo tema così rilevante per il futuro dell’Europa e del nostro Paese.
Un dibattito nel blog potrebbe dare un primo contributo in questa direzione.

sabato 19 gennaio 2013

C'era una volta..............

“C’era una volta un Bel Paese, in cui molta parte del popolo era piuttosto credulona. Essa si fece sedurre per venti lunghi anni da un pifferaio, il quale raccontava che  quello era il paese di Bengodi, in cui molte cose erano gratis ed altre si potevano acquistare facilmente a debito, anche se non si aveva un reddito tale da rimborsarlo alla scadenza. Per convincere il popolo usava non solo le sue chiacchiere e il suo piffero magico, ma  anche la pubblicità, che propinava continuamente sulle televisioni del Bel Paese. Quando qualcuno gli faceva osservare che forse c’era la crisi, lui diceva che non era possibile “perché i ristoranti sono pieni”. La gente gli credeva o, per convenienza, faceva finta di credergli.
Poi un giorno arrivò nel Paese un messaggero, di nome Mercato, che , in modo un po’ brusco, fece sapere alla cittadinanza che aveva fatto troppi debiti, che i creditori non si fidavano più e che bisognava cambiare strada, ascoltando i consigli di un nuovo maestro, il Signor Spread.
Il maestro impartì alcune importanti lezioni che avevano i seguenti titoli:
1 – Non ci sono pasti gratis
2 – Le bugie hanno le gambe corte
3 – L’austerità vi salverà
Le lezioni erano impegnative ma i cittadini si applicarono e le assimilarono bene, anche se con fatica. A quel punto decisero di cacciare il pifferaio che aveva raccontato tante frottole e di lui, per un po’, si sentì parlare poco; pare che si stesse occupando di un processo in cui era testimone una sua giovane amica che lui, in passato, aveva aiutato dicendo  (era una delle sue fantasiose bugie) che fosse la nipote di un Capo di Stato.
Un anno dopo però, quando se ne erano quasi perse le tracce, il pifferaio tornò, irrompendo improvvisamente nella piazza più affollata del Paese, e mise in scena un pirotecnico spettacolo di cabaret, in cui si esibiva nei suoi numeri più spericolati  ( “ho mantenuto tutte le promesse”,  diceva, “ confermo che i ristoranti erano pieni”, ecc.) accompagnati da grandi sorrisi e ammiccamenti vari. Una scena che piacque molto fu quella in cui, prima di sedersi, puliva ben bene la seggiola in cui prima stava un suo acerrimo nemico. Successe, però, una cosa inaspettata: malgrado soffiasse poderosamente dentro al piffero,  dallo strumento non usciva alcun suono; le sue parole arrivavano invece forti ma erano stonate, come quelle di un disco rotto che ripete sempre lo stesso ritornello. I cittadini lasciarono la piazza un po’ divertiti per gli ingegnosi trucchi del  giocoliere e un po’ indispettiti per il fastidioso senso di “deja vu”che veniva dai suoi discorsi.
Circa un mese dopo arrivò in Italia una signora di nome Elezione che  raccolse il voto dei cittadini e fece capire  cos’era successo: il pifferaio sapeva bene di non poter più convincere  il popolo perché il suo piffero era rotto e l’incantesimo era sparito, ma aveva voluto togliersi lo sfizio di mostrare che era ancora un bravo “showman”. Il Paese, che aveva capito la lezione del Signor Spread,  si era divertito alle “gag” del pifferaio  ma non aveva abboccato alle  sue false promesse.
 Inoltre in quei giorni era arrivato anche uno straniero,  Mr. Fact Checker  (Il controllore dei fatti) che, d’ora innanzi, avrebbe verificato puntualmente tutte le dichiarazioni dei leader confrontandole con le loro  azioni successive e avrebbe pubblicato i  risultati sui principali quotidiani, mettendo in evidenza le bugie e smascherando chi le raccontava.
In alcuni paesi nordici, dove Mr . Fact Checker  lavorava da molto tempo, i pifferai – che pure da quei Paesi provenivano -  erano totalmente scomparsi.
E questo felice destino si realizzò anche nel Bel Paese dove le persone avevano ormai gli occhi ben aperti e non credevano più alle facili illusioni”.
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Se la favoletta vi è piaciuta fatela circolare , segnalando a chi può essere interessato il link per accedere al blog.

sabato 12 gennaio 2013

Cosa dice Stefano Fassina


Dato che non condivido l'invito fatto da Monti a Bersani di “silenziare” l’ala sinistra del suo partito, mi  sembra opportuno far conoscere ai miei lettori cosa pensa e dice Sfefano Fassina, Responsabile economico del PD, che di tale ala è l’esponente più rappresentativo.
Pubblico, pertanto un’intervista comparsa su  La Stampa, e ripresa dalla newsletter online ”Zibaldone “ con l’ introduzione di Lorenzo Borla, autore della  predetta newsletter. 
Come si può vedere dal testo, la posizione di Fassina è tutt’altro che estremista ma non è
condivisibile, a mio avviso, perchè è basata su un approccio keynesiano, che consiste nell’aumentare la spesa pubblica per rilanciare l’economia.  Come sanno i miei lettori abituali, io critico tale approccio non perché sia sbagliato, ma perché lo ritengo inapplicabile nelle attuali circostanze. La dottrina economica di John Maynard Keynes, il grande economista inglese del secolo scorso, è stata determinante per superare la terribile crisi finanziaria del 1929, ma allora il debito pubblico era una frazione del Pil.  Oggi, con debiti pubblici che spesso lo superano e talvolta ne sono un multiplo, quella ricetta è destinata a produrre effetti disastrosi. Gli Stati Uniti, che la stanno applicando, con deficit annuale superiore al 10% del Pil e  un debito pubblico che ormai lo ha sorpassato ( per non parlare del debito privato, che è drammaticamente alto), stanno mettendo le basi per una crisi sistemica  mondiale di proporzioni mai viste. Tale crisi potrà essere prevenuta solo se gli Stati Uniti  smetteranno di rinviare, stampando moneta, la soluzione dei loro gravi problemi,  messi in evidenza dallo shock immobiliare e finanziario del 2008/2009,  e accetteranno di fare sacrifici analoghi a quelli che stanno facendo i Paesi europei per riportare i conti in ordine e ridurre il debito pubblico e privato. 

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Il principale terreno di confronto fra destra e sinistra in questo momento è rappresentato dalle misure per uscire dalla crisi. Semplificando: rigore e austerità da una parte, sviluppo e crescita dall'altra. Ovvero, posizioni liberiste da una parte, posizioni keynesiane dall'altra. Cosa vuol dire? Come operi il liberismo di Monti lo abbiamo visto in azione. Adesso Monti nella sua agenda concede qualcosa, tagli alle tasse sul lavoro contro riduzione di spese, a saldi invariati. Invece, cosa vogliono i keynesiani? Piuttosto che dare una risposta generica, viene comoda una intervista a Stefano Fassina, capofila dei keynesiani del Pd,  pubblicata su “La Stampa”.

Stefano Fassina, il governatore della Banca d’Italia sostiene che bisogna mantenere la barra dritta sull'austerità. Lei come risponde? <Se toccherà a noi, rispetteremo tutti gli impegni sottoscritti dall’Italia, come abbiamo sempre fatto. Rispetteremo anche quelli sbagliati e irrealistici come il pareggio dei bilancio del 2013 preso dal governo Berlusconi; Ma viene da chiedere se l'austerità è un fine o un mezzo>.  È un fine per alleggerire le finanze pubbliche e liberare risorse per la crescita, ovviamente nel lungo termine: <Io ho grande stima e riconoscenza per il lavoro della Banca d'Italia. Ma come ha messo in evidenza in modo inequivocabile il Fondo monetario, nei paesi europei dove è stata applicata, l’austerità ha aggravato i debiti pubblici. Purtroppo il moltiplicatore, sempre secondo il Fondo, che in questo caso lavora al contrario e produce effetti recessivi, è stato tre volte quello indicato dalla Banca d'Italia>.

Sta dicendo che la Banca d'Italia sbaglia le previsioni? <Veramente le stanno sbagliando tutti, la Commissione Ue, l’Ocse, e anche lo stesso Fondo monetario, che  peraltro è l'unico che ha fatto un mea culpa. È difficile fare attualmente stime sugli effetti del risanamento> Quindi cosa propone? <Ritengo l'analisi di Visco ancora incompleta, non soltanto perché sottovaluta gli effetti negativi dell’austerità, ma anche perché trascura la necessità del sostengo alla domanda, come condizione necessaria per rianimare la crescita>. Visco veramente sostiene che bisogna riordinare la spesa pubblica e trovare lo spazio per ridurre il peso fiscale, per spingere la domanda. <La verità è che l'attuale politica economica impedisce una crescita in grado di riassorbire la disoccupazione. Noi del Pd ci impegneremo, insieme alle forze progressiste europee,  per cambiare rotta e sostenere la domanda interna. La priorità oggi è la domanda. L'attuale quadro di politica macroeconomica inibisce una crescita in grado di riassorbire la disoccupazione>.

Il governatore suggerisce di rimuovere gli ostacoli per le imprese. <Questa azione sarebbe totalmente insufficiente, bisogna sostenere la domanda europea, pubblica e privata. Ampliando gli spazi per togliere le infrastrutture dal computo del deficit. E ridistribuendo il reddito verso il basso>. II Pd ogni tanto tira fuori la stona della patrimoniale. Non le sembra che gli italiani siano abbastanza tartassati dalle tasse? <Siamo stati sempre chiari sull'imposta patrimoniale: sarebbe limitata ai grandi patrimoni personali e finalizzata a ridurre le imposte sui redditi delle famiglie e delle imprese. La stessa Banca d'Italia, nel rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane di qualche giorno fa, ha certificato ancora una volta che da noi le ricchezze sono molto mal distribuite. Si tratta di ristabilire un po' di equità>.


sabato 5 gennaio 2013

Come migliorare l'agenda Monti


Nel rispondere a  vari commenti relativi al post del 27 dicembre (“ Agenda Monti: occorre una lista unica “ ),  ho sostanzialmente affermato che l’Agenda è largamente condivisibile ma che i buoni propositi che contiene non sono  espressi con obiettivi semplici e verificabili, condizione necessaria affinchè gli elettori  possano giudicare l’operato del futuro governo, qualora fosse presieduto da Monti.
 Un  analogo orientamento lo si trova nella parte conclusiva dell’editoriale di Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera del 31 dicembre, dove  gli autori fanno un’affermazione che condivido   “ ..,. l’agenda che Mario Monti propone agli italiani avrebbe dovuto indicare un obiettivo per la riduzione del rapporto fra spesa pubblica e Pil da attuarsi nella prossima legislatura”. Ci vorrebbe quindi un dato numerico preciso e un arco temporale in cui attuarlo, indicando poi i modi per conseguirlo.
Un esempio concreto di obiettivo ben formulato è il seguente, tratto dal programma del Movimento “Fermare il declino “(www.fermareildeclino.it)   in cui si indicano anche le modalità per conseguirlo:
Ridurre la spesa pubblica di almeno 6 punti percentuali del PIL nell'arco di 5 anni. La spending review deve costituire il primo passo di un ripensamento complessivo della spesa, a partire dai costi della casta politico-burocratica e dai sussidi alle imprese (inclusi gli organi di informazione).
Circa i  citati costi della politica,  che sono il tema più sentito dagli elettori,  lAgenda Monti si esprime con grande chiarezza, proponendo:
la drastica riduzione dei contributi pubblici anche indiretti ai partiti e ai gruppi parlamentari e d ei rimborsi elettorali, con lintroduzione di una disciplina di trasparenza dei bilanci con la perfetta tracciabilità sei finanziamenti privati e una soglia massima per gli stessi contributi. 
Sarebbe opportuno tradurre anche  tale orientamento in uno specifico obiettivo numerico; ad esempio. ridurre del 75% i contributi pubblici anche indiretti ai partiti.  Come ho spiegato nella lettera indirizzata a Bersani, visibile cliccando sul seguente link:
la misura da lui proposta del 50% non è  infatti sufficiente.
I miei lettori abituali sanno peraltro  che   lobiettivo da me preferito  sarebbe la cancellazione totale dei contributi pubblici e il ricorso ai soli finanziamenti privati, magari consentendo di utilizzare l8 per mille dei redditi  Irpef a questo scopo.
Con le predette proposte ho implicitamente fatto riferimento ad un grande pregio dellAgenda, cioè di essere stata concepita come  primo contributo ad una riflessione aperta ,  come recita il sottotitolo della stessa,  cioè come uno strumento al cui perfezionamento possono contribuire tutti i cittadini. Al fine di rendere possibile  tale partecipazione è stato aperto, dalla sezione emiliana del Movimento Verso la Terza Repubblica,  che fa parte della coalizione per Monti, un apposito sito visibile cliccando sul seguente link:


Invito i lettori del blog a visitare il sito e, se lo ritengono opportuno, a partecipare con le loro idee.
Oltre alle precedenti segnalazioni, che sono prevalentemente di metodo, vorrei  ora soffermarmi su alcuni specifici aspetti di contenuto:

-         Scuola e Università:  lAgenda  dice giustamente che esse  sono le chiavi per far ripartire il Paese e renderlo più capace di affrontare le sfide globalie aggiunge la priorità nei prossimi cinque anni è fare un piano di investimenti in capitale umano. Quando si  metterà mano a questo piano, non si dovrà dimenticare  lassoluta necessità – già espressa da  precedenti Governi ma non attuata -  di un forte investimento  per rendere possibile, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, linsegnamento della lingua inglese, strumento imprescindibile per operare sui mercati internazionali e per  interagire con altri Paesi e culture.
Ciò è soprattutto rilevante per costruire la casa comune europea e, pertanto, dovrebbe essere oggetto anche di iniziative in campo comunitario tendenti a favorire lapprendimento di questa lingua di servizio in tutta  lunione europea.

-         Occupazione giovanile:   bisogna sviluppare una strategia integrata  a doppia leva. Favorire, da un lato, le imprese che assumono giovani  ( considerando tali le persone fino ai 35 anni di età) ma soprattutto puntare fortemente sullo sviluppo del lavoro autonomo  (  manuale, intellettuale e imprenditoriale ) perché la richiesta di lavoratori dipendenti è destinata comunque a decrescere percentualmente  in futuro. Le iniziative previste dallAgenda per le start upsono positive e andrebbero fortemente sviluppate: possono essere la base per un nuovo Rinascimento.

-         Immigrazione: il tema non è stato trattato finora nellAgenda, ma  ciò andrebbe  fatto trattandosi di un fenomeno rilevante, da un punto di vista demografico ed economico, per la crescita del Paese. E necessario prevedere unimpostazione inclusiva, che favorisca  lintegrazione degli immigrati  nel contesto socioculturale italiano e il rispetto, da parte loro,  delle regole di civile convivenza della nostra comunità.

Faccio a tutti i lettori vivissimi auguri per  lanno appena iniziato, auspicando che la partecipazione dei cittadini al dibattito  sui programmi  e al controllo della loro attuazione. possa portare a un deciso miglioramento della politica e delle sorti del Paese.

martedì 1 gennaio 2013

Agenda Monti e processo d'integrazione europea

Recentemente si è unito ai lettori del blog Unberto Burani, esperto di questioni europee, a Bruxelles per 26 anni, prima come Segretario generale della federazione bancaria europea (membro italiano l’ABI) e per 16 anni Consigliere e Presidente di Sezione del Comitato economico e sociale europeo. In qualità di rappresentante e portavoce delle banche commerciali europee ha avuto frequenti e continui rapporti con Monti, prima Commissario alle Istituzioni finanziarie e poi alla Concorrenza. Unberto si è gentilmente offerto di collaborare al blog.
Gli ho quindi scritto:
Sarebbe molto utile un tuo contributo, da pubblicare come post, sull'impegno europeo contenuto nell'Agenda Monti: ho letto un interessante, ma non del tutto condivisibile,  articolo di Barbara Spinelli su La Repubblica  del 27 dicembre in cui  l'agenda è criticata perchè "manca il riconoscimento che stiamo vivendo una crisi economica, politica, sociale dell'Unione intera ( una crisi sistemica) che non si supera limitandosi a far bene, ciascuno per proprio conto, i "compiti a casa" come prescrive l'ortodossia tedesca.. Nella storia americana: Alexander Hamilton ebbe a un certo punto questa presa di coscienza e decise che il potere sovranazionale si sarebbe fatto carico dei singoli debiti, e fece nascere dalla Confederazione di Stati semi-sovrani una federazione dotata di risorse tali da garantire, solidalmente, una più vera unità".
La posizione della Spinelli mi lascia perplesso per due motivi: la "socializzazione" del debito dei singoli stati, per la quale non mi sembrano esserci attualmente le condizioni e il problema delle risorse necessarie per una politica  europea volta alla crescita (un nuovo New Deal) che la Spinelli propone di trarre dalla Tobin Tax sulle transazioni finanziarie e dalla Carbon tax sull'inquinamento, sul cui potenziale gettito ho qualche dubbio.

A questa mia richiesta Unberto ha risposto con le seguenti stimolanti riflessioni, che mettono in evidenza la complessità del processo d’integrazione europeo, la diversità fra tale contesto e la realtà americana e la piena conoscenza che ha Monti delle variabili in gioco:

“Circa l'articolo di Barbara Spinelli, capîsco le sue perplessità, ma non riesco a condividerle: non perché non siano fondate, ma perché mancano, a mio avviso, di una considerazione realistica delle ragioni profonde della mancanza di solidarietà intra-europea, e quindi dei compiti a casa piuttosto che gli esami di gruppo. La collaborazione fra gli Stati membri dell'Unione europea è  sbandierata, e in qualche campo realizzata sia pure con molte riserve, ogni volta che i capi di Stato si riuniscono; ma quando si tratta di economia tutti si chiudono a riccio nei propri egoismi nazionali.
La creazione della moneta unica aveva offerto un ottimo appiglio per creare, se non proprio un'unione delle econonomie, almeno un governo economico di Eurolandia; fu una possibilità appena ventilata e presto seppellita. L'opposizione (sotterranea, mai del tutto esplicita) a questa idea veniva un po' da tutti, ma principalmente dalla Francia e dalla Germania: la Francia perché gelosa dei suoi poteri che mai acconsentirebbe a dividere con altri, la Germania per il timore di veder diminuire il suo potere di fatto in campo politico – e naturalmente anche economico. Oggi il panorama economico, e le motivazioni, sono cambiati ma le posizioni sono le stesse; e non si vede come possano cambiare, almeno nel prossimo futuro.
E veniamo cosi' ai veri motivi della mancanza di collaborazione, o di "europeismo", per dirla con una parolone: motivi che sono alla base di una politica ove ciascuno prende le sue decisioni, salvo evocare ad ogni riunione a Bruxelles la necessità di solidarietà. La BCE con Draghi fa del suo meglio e la Commissione ce la mette tutta, ma la prima non ha poteri in campo economico e la seconda ha ambizioni ma non "veri" poteri. I motivi sono diversi e multiformi, ma non mi pare abbia senso evocare la storia americana come termine di riferimento.
La storia dell'America ci racconta di popoli di etnie le più disparate, con storie, tradizioni, sistemi sociali diversi, riuniti in un crogiuolo che li ha integrati facendo nascere, nel tempo, un forte sentimento nazionalista, o meglio una forte coscienza patriottica. I nuovi arrivati si erano inseriti in un ambiente dove per vivere era necessario parlare la lingua di coloro che già erano sul posto; moltissimi avevano conservato le loro tradizioni, e spesso anche la loro lingua d'origine, ma il collante che permetteva a tutti di comunicare e di essere partecipi alla nascita della nazione era la lingua comune, l'inglese. Non cadremo nel tranello del semplicismo dicendo che gli Stati Uniti si sono creati attraverso la lingua comune, ma è certamente vero che la loro creazione non sarebbe stata possibile se le differenti etnie non avessero avuto un modo di parlarsi, di conoscersi, di sentirsi membri di una stessa comunità.
L'Europa è stata fatta su basi totalmente diverse, tali da far dubitare della possibilità di arrivare mai a costituire un'entità paragonabile a quella americana: a sessant'anni dalla sua creazione, l'Unione europea ha sistemi di governo e di governance diversi, economie diversamente orientate a seconda dei sistemi politici, politiche interne ed estere profondamente differenti, e ventidue lingue diverse (fra qualche giorno 23): una diversità che crea lavoro – e costo di denaro pubblico - per diverse decine di migliaia di traduttori ed interpreti. Ogni paese, per quanto piccolo, difende tenacemente la propria lingua, evocando un principio che è politicamente scorretto contestare, secondo il quale la diversità delle lingue è la ricchezza dell'Europa. Si evoca la difesa della cultura, come se il parlare un'altra lingua indebolisse la cultura nazionale. Si dimenticano peraltro gli enormi costi del multilinguismo, i ritardi nella produzione di documenti, le perdite di tempo e gli equivoci causati da traduzioni o interpretazioni improprie o imprecise; ma qui dobbiamo puntare il dito sul danno maggiore, costituito dall'ostacolo all'integrazione dei popoli nel senso evocato da Alexander Hamilton (che, non a caso, era Segretario al Tesoro).
Fino a che i popoli d'Europa si parleranno attraverso interpreti, fino a che i danesi non potranno vedere né capire i telegiornali spagnoli, fino a che per conoscere un altro popolo dovremo leggere solo quello che ci propinano i nostri media, nessun sentimento comune di "europeità" potrà mai nascere. Trent'anni di vita in  un ambiente europeo mi permettono di sostenere con energia questo assunto, e avrei prove concrete a iosa da citare checchè ne dicano i politici, gli europeisti snob, gli idealisti di un'Europa che ancora non esiste e che mai esisterà fino a che essi continueranno a far danni. E, giusto per essere chiaro, la lingua comune è l'inglese, piaccia o non piaccia.
A questo punto possiamo deprecare con Barbara Spinelli i "compiti a casa", ma possiamo capirne la ragioni profonde: non è che Monti né gli altri non vedano la crisi sistemica dell'Europa, né che ignorino la necessità di soluzioni da "Europa unita": è solo che i popoli non vogliono: non vogliono pagare per gli altri, non vogliono che altri si impiccino dei fatti loro, non vogliono sottostare a regole stabilite da altri o di comune accordo. Vogliono pero', quando fa comodo, solidarietà, collaborazione, aiuto. Quando parlo di "popoli" parlo di comunità nazionali che votano: e un governo per rimanere in piedi ha bisogno di consensi, cioè di appagare le istanze che vengono da una maggioranza. Il risultato è che la signora Merkel ha magari tutte le buone intenzioni ma il suo popolo ne ha altre e lei deve tenerne conto, le piaccia o no. Ed è anche la ragione per cui Monti ha dovuto accettare la Tobin tax perché piace a tanti italiani (ma anche come compenso per l'appoggio  ricevuto dal signor Hollande) malgrado sapesse, da economista e da studioso, che è difficile immaginare una legge altrettanto autolesionista e dannosa per tutti. Ci sono altri "perchè", Carbon tax e via dicendo, ma chiudiamo li' per il momento.
Per chi crede nell'Europa tutto questo è motivo di frustrazione, ma non per questo bisogna perdere le speranze in un futuro migliore: se guardiamo indietro di sessant'anni e consideriamo quello che oggi abbiamo, dobbiamo riconoscere che l'Europa ha fatto enormi progressi, e altri ne farà – anche se ad un passo più lento di quello che ci piacerebbe. "Qualunque sia alla fine il destino…dell'Unione europea come la conosciamo, il problema (dei sacrifici in termini di sovranità nazionale, NdR) resterà ineludibile…il bisogno di unità sopravviverà a tutte le vicissitudini, ai fallimenti provvisori e ad eventuali passi indietro"; un bel messaggio di ottimismo, ma anche la prova che i problemi Monti li conosce, eccome. Ho citato dal suo libro, "La democrazia in Europa", pagina 91”.