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giovedì 27 giugno 2013

Semplificazione o speculazione?


Rete dei Comitati per la Qualità Urbanistica

27 giugno 2013

Appello ai parlamentari interessati alla tutela del territorio

Nella recente lettera inviata a membri del Governo ed ai parlamentari sul tema “Norme in materia di semplificazione edilizia”, abbiamo messo in evidenza il gravissimo rischio che incombe sul nostro Paese a seguito di una norma del recente decreto governativo “del Fare” (art. 30),  che punta al rilancio dell’edilizia rimuovendo vincoli di natura urbanistica posti a tutela del bene comune.
Non è la prima volta che in Italia si ricorre a questa modalità che già in passato è stata causa di una significativa alterazione dell’equilibrio urbanistico  delle nostre città e di forte disagio nella popolazione, senza arrecare significativi benefici al settore edilizio nel suo insieme, favorendo però iniziative di tipo speculativo.
Il decreto estende all’intero territorio nazionale una norma che esisteva nella Regione Lombardia (  e che consentiva di non rispettare la sagoma degli edifici preesistenti in caso di demolizione e ricostruzione),  dove ha prodotto gravissimi danni al territorio e ai residenti e che è stata abolita in tale ambito dalla Corte Costituzionale.
Dato che il decreto è passato ai due rami del Parlamento per la conversione in legge  e che ciò comporterà  le opportune valutazioni in sede di commissioni referenti e poi in sessione plenaria, ci rivolgiamo ai membri del parlamento che ritengono necessario salvaguardare un corretto contesto urbanistico, affinchè votino a favore dell’eliminazione dal decreto della norma citata.
Siamo certi che i cittadini sapranno apprezzare le forze politiche capaci di perseguire lo sviluppo economico con modalità rispettose della civile convivenza  e della qualità del tessuto abitativo. 
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da: LA STAMPA

Economia
15/06/2013 - la crisi - le semplificazioni
Pratiche veloci per rilanciare l’edilizia
Chi ristruttura non dovrà più rispettare la sagoma dell’edificio. Serviranno meno autorizzazioni
francesco grignetti
roma
Potrebbe essere definita la «disfida della sagoma». Nei conciliaboli che hanno portato alla definizione del decreto-legge di stamani, un capitolo ha fatto drizzare le antenne del ministero dei Beni culturali e ambientali e ha fatto litigare gli esperti legislativi fino all’ultimo: all’articolo 37 del decreto, infatti, quantomeno nella bozza in discussione ieri sera, c’è una norma apparentemente inoffensiva, ma virtualmente distruttiva.  
Laddove si stabiliva, infatti, che nelle operazioni di demolizione e ricostruzione degli edifici non sarebbe stato più necessario rispettare la vecchia sagoma dell’edificio distrutto purché ci si attenesse alla vecchia volumetria.  
Questioni da geometri, potrebbe pensare qualcuno. Ma la formulazione del decreto, ispirata a una semplificazione spinta, non è piaciuta assolutamente a chi istituzionalmente deve difendere il paesaggio. Tanto più che le operazioni di demolizione/ricostruzione si associavano a un nuovo automatismo nelle autorizzazioni: ciò che oggi è catalogato come «interventi di ristrutturazione edilizia pesante», e quindi soggetta a permesso di costruire da parte dei Comuni, era derubricata a «ristrutturazione edilizia semplice», soggetta alla banale presentazione di una Scia edilizia. In pratica, l’abbattimento e ricostruzione, per di più senza rispettare la sagoma preesistente, si sarebbe fatto con una banale comunicazione di inizio lavori.  
Il pericolo sempre in agguato è l’abusivismo edilizio. Qualcuno ha visto concretizzarsi un altro incubo: l’abbattimento massiccio delle antiche casette basse per edificare nuove villette a più piani.  
Quanto questa piccola norma potesse essere dirompente, lo raccontava l’entusiasmo con cui era stata accolta dagli architetti. Non stavano più nella pelle. La sagoma è considerata una forte limitazione. E quindi il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori esultava alla novità in arrivo: «Queste limitazioni di fatto impediscono nelle ristrutturazioni non solo la sostituzione edilizia, ma molto spesso anche la realizzazione di una serie di interventi finalizzati all’abbattimento dei consumi energetici".

venerdì 21 giugno 2013

Salviamo l'Italia dal Far West edilizio


Rete dei Comitati per la QualitàUrbanistica
17giugno 2013
Stop allo scempio delle nostre città!
Lettera aperta a:
-         Presidente  e Vicepresidente del Consiglio dei Ministri
-         Ministro dell’Ambiente, tutela del Territorio e del Mare
-         Ministro dello Sviluppo Economico
-         Ministro della Pubblica Amministrazione e Semplificazione
-         Membri del Parlamento
p.c.: - Presidente ANCE               - Organi d’informazione
Oggetto.: Norme in materia di semplificazione edilizia
La nostra associazione si batte da tempo contro la costruzione  in Lombardia di “ecomostri”, cioè di edifici di grandi dimensioni e altezze che sostituiscono manufatti solitamente ad un piano ( garage, officine, laboratori, ecc .) e  che non rispettano il contesto urbanistico in cui si inseriscono,  arrecando grave danno agli abitanti degli edifici circostanti e togliendo loro spazio,  luce, sole e privacy.La situazione è aggravata nei casi, molto frequenti, in cui i manufatti predetti si trovano all’interno di cortili, il che rende le nuove costruzioni particolarmente invasive e oltraggiose.
Ciò è stato reso possibile da scellerate leggi della Regione Lombardia che hanno permesso di derogare altezze, volumi e sagome degli edifici preesistenti ed hanno consentito una speculazione edilizia indegna di un Paese civile e di una città come Milano, che si vanta di essere il motore economico della nazione.
L’opposizione dei cittadini a questo stato di cose ha ottenuto alcuni provvedimenti che hanno posto un freno un freno a questo insulto al vivere civile:
-         la sentenza 309/2011 della Corte Costituzionale che ha stabilito l’illegittimità della legge della Regione Lombardia che consentiva,nei casi di ristrutturazione, di superare il vincolo di sagoma,  vincolo che è  basilare per rispettare il contesto urbanistico di riferimento
-         l’inserimento nel PGT del Comune di Milano di una norma in base alla quale l’edificazione  in tutto o in parte nei cortili deve essere di altezza inferiore o pari a quella dell’edificio preesistente.
Quando è uscita la predetta sentenza, il Presidente dell’ANCE ebbe a dichiarare alla stampa  la propria contrarietà rispetto alle conseguenze della stessa e la convinzione che, per “rimediare” alla situazione, si sarebbe dovuto agire, a livello nazionale, per cercare di modificare le norme del testo unico per l’edilizia.Tale dichiarazione annunciava un’azione lobbystica, di cui abbiamo avuto notizia nello scorso anno,che  pare aver avuto successo, visto il contenuto del recente “Decreto del fare” approvato dal Governo. In tale provvedimento, infatti, all’art.37 c’è una norma apparentemente inoffensiva, ma virtualmente distruttiva. Laddove si stabilisce, infatti che nelle operazioni di demolizione e ricostruzione degli edifici non sarebbe stato più necessario rispettare la vecchia sagoma” (Francesco Grignetti, La Stampa  15/6/2013). Norma che “non è piaciuta assolutamente a chi istituzionalmente deve difendere il paesaggio(stessa fonte). E tale norma non piace neppure ai cittadini perchè in questo modo un’anomalia della Regione Lombardia – che in questa regione ha determinato conseguenze negative molto evidenti -  diventa legge dello Stato e porta un gravissimo problema in tutto il Paese. Si rischia, con la scusa del rilancio dell’edilizia e della semplificazione, in sé auspicabili, di consentire un autentico “Far West” in cui vige la legge del più forte.
Invitiamo, pertanto sia il Governo che il Parlamento a revocare tale norma ed anche quella che consentirebbe di fare questo tipo di operazioni non più con “permesso di costruire” ma con una semplice “dichiarazione d’inizio attività”.
La nostra Rete si sta raccordando con il Coordinamento dei Comitati milanesi, con analoghe associazioni di altre città italiane e con enti e movimenti ambientalisti al fine di fare una dura opposizione a tali norme in tutte le sedi opportune se quanto previsto non sarà adeguatamente corretto per evitare danni gravi e irreparabili su tutto il territorio nazionale.
Restiamo in attesa di conoscere le iniziative che verranno prese dalle Istituzioni e dalle Forze politiche più responsabili e attente ai veri interessi dei cittadini.
Cordiali saluti.
Il portavoce       Roberto Barabino

venerdì 14 giugno 2013

Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti


Nel recente post “Il riscatto della politica”  del 25 maggio u.s. ho espresso apprezzamento per l’annuncio fatto dal Presidente del Consiglio di un accordo politico fra le forze di maggioranza mirante ad abolire il finanziamento pubblico ai partiti.
Diversi lettori mi hanno scritto esprimendo perplessità per un’iniziativa che era soltanto una dichiarazione ma a cui mancava un substrato concreto.
Quando poi è uscito il disegno di legge, non solo i miei lettori ma anche quelli dei quotidiani e molti opinionisti hanno manifestato forti dubbi anche in relazione a diverse ambiguità del testo. Il punto che ha maggiormente sollevato l’attenzione e la preoccupazione era l’ipotesi che, in caso di mancata scelta dei cittadini in merito alla destinazione del 2 per mille, questo venisse ripartito comunque fra i partiti  ( analogamente a quanto avviene per l’8 per mille in rapporto alle comunità religiose).
A seguito di tali rilievi il Governo ha chiarito che la norma è da intendersi nel senso che, in caso di mancata scelta, le somme residue torneranno allo Stato. E’ stata anche data informazione di un massimale  indicativo di 61 milioni di euro, non espressamente indicato nel disegno di legge ma da approvare in Parlamento.
Questo chiarimento non ha però placato  del tutto le polemiche sia nell’opinione pubblica, sia all’interno dei partiti.
E’ stato osservato da varie parti che, comunque, anche la scelta dei cittadini di offrire il 2 per mille ai partiti costituisce un aggravio per le finanze dello Stato perché le somme a ciò destinate sono sottratte ad altri impieghi.
Devo dire che, mentre condivido la precedente obiezione sulla ripartizione del 2 per mille, quest’ultima non mi convince affatto perché può essere, ed anzi dovrebbe essere,  mossa anzitutto all’ 8 per mille e al 5 per mille che implicano la sottrazione di ben maggiori risorse. Capisco che le Chiese o le Onlus siano più ben viste dei partiti, ma ciò non basta ad escludere questi ultimi da volontarie donazioni dei contribuenti. Se vi sono motivi validi per sostenere certe istituzioni  con il gettito Irpef, lasciando ai cittadini di decidere se dare o meno tale sostegno, questa possibilità non può essere negata ai partiti. A  meno che l’obiettivo perseguito sia l’eliminazione degli stessi, che qualcuno può  legittimamente auspicare ma che non può chiedere ai parlamentari di attuare ( vale al riguardo  il detto popolare “il tacchino non prepara il pranzo di Natale in cui verrà servito in tavola”).
 Va detto, inoltre, che non esiste alcuna  possibilità concreta di passare dal finanziamento pubblico a quello privato se quest’ultimo non è in qualche modo incentivato e ciò inevitabilmente comporta un onere per le finanza pubbliche. Ad esempio anche  nella proposta presentata, sia al Senato che alla Camera,  da diversi parlamentari  “renziani” del PD notoriamente favorevoli ad abolire il finanziamento pubblico sostituendolo con microdonazioni volontarie , si prevede di “riconoscere ai cittadini che facciano donazioni ai partiti  un credito d’imposta pari al 40% del contributo versato con un massimo di 10.000 euro”. La mancanza totale di incentivi  porterebbe a un gettito irrisorio e non darebbe soluzione al problema in discussione.
Un altro aspetto che è stato criticato è il fatto che l’abolizione non sia immediata ma graduale, per essere completata  nel 2017. Anche questa obiezione non mi convince perché l’immediata abolizione dei finanziamenti comporterebbe l’altrettanto immediata dismissione di tutte le strutture partitiche e la messa in cassa integrazione dei dipendenti, sempre a carico dello Stato. Inoltre ciò indurrebbe i partiti a cercare a qualunque costo grandi finanziatori privati, non essendo pensabile di avere in tempi brevi un adeguato supporto tramite micro donazioni  dei cittadini e ciò comporterebbe il rischio di appaltare completamente alle lobby la politica nazionale.
Se vogliamo affrontare seriamente e razionalmente la questione e non in base a viscerali impulsi rivolti alla distruzione delle forze politiche, non si può non accettare un principio di gradualità.
I miglioramenti che possono essere suggeriti in vista della discussione parlamentare del disegno di legge sono, a nostro avviso, i seguenti:

-          Equiparare le detrazioni d’imposta per le donazioni ai partiti politici a quelle destinate alle onlus onde evitare una sgradevole discriminazione a vantaggio dei primi

-          Stabilire un tetto alle donazioni private, che oggi manca, per evitare quanto paventato in precedenza, cioè il prevalere delle lobby, e prevedere la pubblicazione online, accessibile a tutti i cittadini, dei contributi superiori ad un certo importo

-          Inserire nella legge norme pregnanti per la regolamentazione delle lobby, garantendo l’assoluta trasparenza delle relative informazioni

-          Vincolare l’uso agevolato di strutture pubbliche per svolgervi attività di partito alla preventiva ricognizione degli ingenti patrimoni immobiliari di proprietà dei partiti o di fondazioni riconducibili, direttamente o indirettamente, a esponenti degli stessi, subordinando tale uso alla certa mancanza di alternative


-          Garantire il controllo analitico dei bilanci, escludendo esplicitamente i controlli a campione, da parte della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici

-          Stabilire pesanti sanzioni per le società di revisione in caso  di irregolarità nelle attività di controllo a loro delegate

-          Eliminare i contributi ai Gruppi parlamentari e ai consigli regionali, fatta eccezione per le spese documentate, con massimali da definire. Eliminare la prassi inaccettabile dei rimorsi forfettari

-          Pubblicare  online i dati relativi ai finanziamenti e alle altre agevolazioni previste dalla legge in modo chiaro, comprensibile a qualunque cittadino, e accessibile da tutti.

I partiti, di maggioranza e di opposizione che si apprestano a discutere il disegno di legge devono tener conto che l’attenzione dell’opinione pubblica su questi temi è altissima e che eventuali “furbate” saranno pesantemente punite dal corpo elettorale che, come anche le recenti elezioni amministrative hanno dimostrato, non esita a cambiare drasticamente le proprie scelte a seconda del comportamento, più o meno costruttivo dei partiti.
Le forze politiche sono quindi  di fronte ad una prova determinante per recuperare credibilità agli occhi degli elettori.
Questo documento sarà fatto pervenire, oltre che a cittadini, giornalisti e opinionisti, singolarmente a ciascun membro del Parlamento.



venerdì 7 giugno 2013

Competitività e sobrietà: obiettivi primari per il rilancio dell'Italia


Di seguito sono riportati i testi di due comunicazioni inviate a rilevanti esponenti del mondo politico e istituzionale , a livello nazionale e regionale, su alcuni temi cruciali per lo sviluppo del Paese e per la riforma della politica.
Tramite il blog li portiamo ora a conoscenza di cittadini, politici e giornalisti nell’intento di suscitare una riflessione ampia e favorire un’azione incisiva per la soluzione di problemi  che sono largamente noti ma affrontati finora con scarsa determinazione:


Gruppo di lavoro  “Qualità nella politica”
del blog “ La politica dei cittadini” (www.civicum.blogspot.com)

Lettera aperta al Governo e ai Leader politici

Il  nostro Gruppo, che  si propone di favorire  la coerenza fra  le attese dei cittadini e le risposte della politica,  intende porre alla Vostra attenzione alcune riflessioni e richieste in merito ai temi  più cruciali per il rilancio e lo sviluppo del Paese.  Iniziamo con due argomenti  fra loro correlati:
Lotta alla burocrazia nazionale
La burocrazia (statale, regionale, provinciale, comunale) è probabilmente il maggior problema dell’Italia e il principale freno della sua crescita. Molte iniziative, anche legislativamente sancite, non vedono la luce perché bloccate da procedure farraginose e gestite in modo non trasparente. I burocrati, specie quelli ad alti livelli, sono una casta più radicata di quella politica. E’ tempo che vengano convinti della necessità di un ammodernamento del sistema, pena il declino del Paese, oppure cambiati. 

Oltre all’azione di freno, la burocrazia comporta costi  insostenibili e sprechi  intollerabili. Ciò vale, in particolare, per le realtà regionali che controllano alcune delle voci di spesa più rilevanti in ambito pubblico. La questione regionale, così come si presenta oggi, appare grave sia materialmente sia eticamente.  Agire per riformarla è un imperativo categorico in quanto la Regione odierna è una sorta di regno a parte, così com’era ai tempi del Feudalesimo. Il rigore nella spesa pubblica è doveroso ed urgente: qui possono essere trovate risorse interessanti per il rilancio dell’economia attraverso promozioni  lavorative rivolte, particolarmente, ai giovani.
Globalizzazione e tutela del mercato unico europeo
Il secondo problema da prendere in seria considerazione è la  difficile realtà del mercato unico europeo. La globalizzazione, a suo tempo promossa dagli Stati Uniti d’America, è nata non solo per lo sviluppo dei commerci a livello planetario ma anche per evitare, attraverso l’interconnessione dei sistemi economici,  nuove guerre mondiali. Ma si sarebbe dovuta temperare secondo contributi direttivi da parte dei governi. Ciò non è avvenuto, se non come avallo di decisioni prese dal mondo economico, che  talvolta  si sono poste in contrasto con il rispetto dei diritti dell’uomo, sanciti nel 1948. Tutto questo ha portato  anche alla legittimazione di iniziative finanziarie estremamente spericolate che hanno messo recentemente a repentaglio la stessa sopravvivenza del sistema economico mondiale. Le imprese multinazionali, con il supporto della grande finanza, hanno sfruttato il basso costo del lavoro nei Paesi Orientali e, sotto gli occhi di governi impreparati (e spesso incapaci), hanno invaso l’Occidente di merci prodotte laggiù, costringendo molte industrie, in particolare europee, al fallimento. L’Italia, terzista d’Europa, terra ricca di piccoli imprenditori, che sono la linfa vitale del Paese, è divenuta preda di una crisi tremenda, con spaventose ripercussioni civili. Non è tardi per intervenire, ma occorre  coinvolgere l’intera Europa  e le sue Istituzioni per  evitare il peggioramento della situazione e ristabilire le condizioni per una concorrenza internazionale che non sia distruttiva. L’Italia, come seconda manifattura del continente dovrebbe farsi promotrice di azioni incisive, nelle sedi appropriate, per la tutela delle imprese di questa area e, in tale contesto, del “made in Italy”.
Il nostro gruppo sta elaborando, al riguardo, alcune proposte che verranno comunicate successivamente.


I due temi suindicati sono correlati perché la burocrazia imperante è uno dei più seri ostacoli agli investimenti esteri nel nostro Paese e quindi allo svolgimento del suo ruolo nel contesto internazionale.

Contiamo su un vigoroso intervento in entrambe le problematiche, auguriamo buon lavoro e attendiamo, direttamente o indirettamente,  notizie al riguardo sia da parte del Governo che delle forze di maggioranza e di opposizione.

Grazie e cordialità. 

Il portavoce

Roberto Barabino


28 maggio 2013


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Gruppo di lavoro “Qualità nella politica”
del blog “La politica dei cittadini” (www.civicum.blogspot.com)

31 maggio 2013

Lettera aperta al Presidente e ai Consiglieri della Regione Lombardia

Oggetto:  Emolumenti dei Consiglieri regionali

Facciamo seguito alla precedente lettera in merito all’oggetto, per formulare alcune ulteriori considerazioni al termine dei lavori del Tavolo sulla riduzione dei costi della politica.
Quando hanno ricevuto il primo stipendio relativo a un mese e mezzo di lavoro, pari a oltre 16.000 euro netti, alcuni nuovi consiglieri regionali della Lombardia hanno detto pubblicamente  di essersi vergognati. Giustamente, a nostro avviso.
La “ riduzione degli emolumenti “ preparata  dal Tavolo di lavoro della Regione e che verrà presentata martedì prossimo alla Giunta, non consentirà a questi consiglieri di riaversi dalla vergogna, perché la soluzione prevista (riduzione dello stipendio e sostanzioso aumento dei rimborsi spese, non più documentate ma pagate a forfait) è, come si dice colloquialmente,   “una pezza peggiore del buco”, per vari motivi:
1 – Sfrutta i margini di manovra consentiti  dalla “lettera” dal Decreto 174/2012 del Governo Monti ( non superare gli 11000 euro lordi l’anno), ma tradisce chiaramente lo “spirito” della norma,  che è quello di dare un taglio sostanzioso e credibile agli emolumenti. Nulla vieta di scendere sotto tale limite, come proposto dal Movimento 5 Stelle.
2 – Aggira  comunque tale limite perché, al fine di stare entro gli 11000 euro lordi, abbassa la componente retributiva , che si esprime al lordo, e aumenta quella dei rimborsi spese, espressi al netto. Così, mentre un comune lavoratore vede un netto spesso pari al 50% del lordo, tale differenza, per un consigliere regionale, sarebbe inferiore al 30%.
3 – Compie un’opera di mascheramento analoga a quella fatta, a livello nazionale, con il finanziamento ai partiti, bocciato da un referendum e ricomparso sotto forma di “rimborso spese”. Analogamente, la Regione Lombardia maschera una parte sostanziale della retribuzione sotto forma di rimborso forfettario
4 – Commette un azzardo fiscale perché è tutto da verificare ( e sarà verificato nelle opportune sedi istituzionali) se  sia fiscalmente ammissibile un  così cospicuo “rimborso spese” esentasse.
5- Dà l’impressione di voler aggirare anche la Corte dei Conti, che ha pesantemente stigmatizzato le “spese pazze” dei consiglieri regionali, sottraendoli, con il rimborso forfettario, al controllo di quanto effettivamente speso.  Se di spese si tratta, queste devono essere documentate, come avviene in tutte le organizzazioni, private e pubbliche. Le spese forfettarie sono un privilegio ingiustificabile.
Si potrebbe continuare, ma ci pare che l’elenco fatto sia sufficiente a dimostrare che la Giunta e, poi, il Consiglio Regionale debbano valutare attentamente l’impatto che tale proposta avrebbe, se approvata, a diversi livelli:
-          L’opinione pubblica, che attende dalla politica uno scatto di dignità
-          Gli organismi di controllo, che non potrebbero restare indifferenti a disposizioni così disinvolte
-          Il Governo, che ha segnato un cammino per il riscatto della politica, che non può essere messo a repentaglio da una malintesa autonomia regionale.
Invitiamo, quindi, gli organismi competenti a formulare una proposta retributiva che rispetti lo spirito della legge, gli orientamenti governativi e le aspettative  dei cittadini.
Cordialmente
Il Portavoce
(Roberto Barabino)












sabato 1 giugno 2013

Il flop di Grillo e le possibili conseguenze


  
Cito testualmente , di seguito, alcune frasi scritte nel post del  6 maggio u.s. “Senso del pericolo e responsabilità: fattori determinanti delle fortune politiche”, che  anticipano e spiegano il perché del “flop” del Movimento 5 Stelle alle recenti elezioni amministrative:


“i cittadini – pressati dalla crisi economica – si sono stancati di vane parole e chiedono soluzioni.  Ciò ha prodotto un’estrema mobilità dei voti  perché molti elettori non sono più condizionati da pregiudiziali ideologiche e sono disposti a cambiare anche radicalmente le proprie scelte politiche se si sentono “traditi”. Questo è un fenomeno assolutamente nuovo, di portata storica.”

“nessun partito può più contare su rendite di posizione e deve convincersi che, o contribuisce alla soluzione dei problemi del Paese, oppure verrà “bastonato” dagli elettori.”
“Grillo – inebriato dall’improvviso e inatteso successo elettorale - ha ritenuto di dover continuare,  anche dopo che i suoi eletti sono entrati in Parlamento, a inveire contro tutti e a mantenere un atteggiamento di totale rifiuto (“con loro non ci mescoleremo mai”), non capendo che in questo modo perdeva un’occasione storica di porre fine all’epoca berlusconiana e correva il grave rischio di un futuro clamoroso flop elettorale, di cui una chiara avvisaglia è venuta nelle elezioni in Friuli – Venezia Giulia, dove il M5S ha perso un terzo dei consensi ottenuti alle politiche. Il problema è che, in politica, i treni spesso passano una volta sola e, se non li si prende al volo, diventa impossibile recuperare.”
Numerosi commenti dei militanti del Movimento, pubblicati nel blog www.beppegrillo.it  dimostrano che molti di loro si sono resi conto dell’errore compiuto dai vertici di tale forza politica;  invece il commento, a botta calda,  di Beppe Grillo è stato “ la colpa è degli italiani”.
Ma le cose non stanno così e il M5S dovrebbe fare una seria autocritica se non vuole fare la fine del Movimento dell’Uomo Qualunque, che emerse  prepotentemente in Italia subito dopo  la creazione della Repubblica e scomparve in brevissimo tempo per aver illuso e poi deluso gli elettori.
Invece, anche nei giorni successivi, Grillo ha lanciato anatemi contro i Partiti che non approvano  in Parlamento le proposte del M5S , come se l’approvazione delle leggi potesse avvenire senza una qualche forma di accordo. Inoltre ha minacciato di espulsione chi cerca di trovare un’intesa con il PD e, infine,  ha “scomunicato” Rodotà reo di aver detto che la rete non è tutto e che, una volta entrati in Parlamento, occorre fare politica e assumersi responsabilità.
 E’ proprio quanto ho sostenuto nel post citato, in cui avevo detto  che la fortuna elettorale dipende da una opportuna combinazione di due fattori: Il senso del pericolo e l’assunzione di responsabilità, entrambi carenti nel leader del M5S.
Il pericolo fondamentale che questo movimento corre è quello di perseverare nell’idea illusoria che una forza capace di raccogliere un significativo consenso possa agire, dentro alle Istituzioni, come se ne fosse fuori e cioè con una logica di “lotta” anziché di “governo”. Questo  tragico errore è stato commesso in passato dalle forze di estrema sinistra che, avendo causato irresponsabilmente la caduta del secondo Governo Prodi al quale partecipavano, sono state cancellate dagli elettori, con totale esclusione dal Parlamento. Già nella riunione con i parlamentari di M5S tenuta alla Camera poco dopo le elezioni presidenziali, Rodotà aveva detto correttamente che “non ogni compromesso è un inciucio”.
Se non si  uscirà dalla logica dell’isolamento assoluto e non si instaurerà  nel movimento una vera dialettica democratica,  perseverando in  decisioni prese da una ristrettissima cerchia di persone , la conseguenza più probabile è la scissione del movimento : una sua parte, disposta al confronto con le altre forze politiche,  potrebbe confluire con parti del PD e SEL, dando vita ad una forza antagonista rispetto alle larghe intese ma anche rispetto all’immobilismo grillino.
 E’ un esito che, peraltro,  non auspico perché, come ho avuto occasione di scrivere più volte, malgrado gli eccessi del suo leader  e gli errori commessi, il M5S  è una forza imprescindibile per  cambiare il nostro obsoleto sistema politico. Si deve alla sua forte affermazione  se i  partiti tradizionali hanno iniziato, sia pur faticosamente, a “darsi una mossa” e sono convinto che i valori di onestà, trasparenza, sobrietà, spirito di servizio che ha saputo, sia pure con talune contraddizioni,  incarnare siano indispensabili per produrre un cambiamento reale.  Ma i suoi dirigenti e i suoi militanti  devono togliersi dalla testa l’idea del “mandiamoli tutti a casa” perché, altrimenti, a casa si troveranno loro. La politica non è l’eliminazione dell’avversario ma “l’arte del possibile”.
Se però i partiti tradizionali dovessero illudersi che l’attuale debolezza del M5S significhi lo scampato pericolo e , quindi, la possibilità di evitare le riforme ( come fa pensare lo sterile dibattito sulla legge elettorale) verrebbero comunque sommersi da un nuovo tsunami  grillino alle prossime elezioni politiche. La massa di elettori pronti a spostarsi da una parte all’altra e dal voto all’astensionismo, o viceversa, è immensa, come dimostrano le recenti amministrative, e può travolgere qualsiasi meschino calcolo politico.
 Questo non è il momento della bassa cucina ma quello  del coraggio. E ciò vale per tutti.