Il violento
attacco del Sindaco di Napoli ai Magistrati che lo hanno condannato per abuso d’ufficio,
oltre ad essere un esempio estremo e paradossale, ed anche un po’ ridicolo, di
incapacità di assumersi le proprie responsabilità, essendone autore un ex
magistrato, è anche un forte indicatore
dell’esigenza che, nella riforma della giustizia di cui si va discutendo, un
posto di primo piano venga dato all’esigenza di troncare il perverso intreccio politica-magistratura che
ha fortemente inquinato la vita pubblica del nostro Paese.
Come è ben
noto, tanti magistrati, protagonisti di casi
giudiziari clamorosi, hanno utilizzato in modo apparentemente strumentale la
notorietà così acquisita, per aspirare a e spesso realizzare una carriera politica di
rilievo. De Magistris è uno di essi. Nessuno discute il diritto dei magistrati,
come di tutti i cittadini, a proporsi come attori politici ma a loro compete l’obbligo,
nel ruolo inquirente o giudicante, non solo di essere ma anche di apparire
imparziali, cosa che non avviene se si crea anche solo il sospetto che le loro attività
siano volte non a perseguire fini di giustizia, ma un tornaconto personale.
Il
capostipite di questa tragico filone è
stato a suo tempo il Procuratore di Milano Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite,noto non solo per
aver mandato un improvvido avviso di
garanzia all’allora Presidente del Consiglio mentre questi stava presiedendo un
summit internazionale sul contrasto alla criminalità, ma anche per aver
connotato politicamente la sua attività inquirente con la famosa frase “resistere,
resistere, resistere” con cui prendeva posizione contro la politica. Le sue
ambizioni, malcelate e peraltro mai
tradottesi in concreto, trasparivano chiaramente nell’intervista da lui
concessa al Corriere della Sera nel 1994 in cui, fra l’altro, affermava “
Dovrebbe accadere un cataclisma per cui resta in piedi solo il Presidente della
Repubblica che chiama a raccolta gli uomini di legge….A un appello del genere
si potrebbe rispondere”.
Senza attendere
la chiamata del Presidente, poco dopo quell’intervista Antonio di Pietro lasciò,
in modo plateale, la toga per gettarsi
nell’arena politica, dalla quale è stato recentemente emarginato per vicende
messe in evidenza da una trasmissione di Report che testimoniava una gestione
molto singolare del Partito da lui presieduto e delle sue finanze.
Un altro
caso di tentativo di monetizzare politicamente la fama raggiunta come inquirente
è quello recente di Antonio Ingroia, PM
dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia, al quale si era legato anche De
Magistris, con il lancio della lista Rivoluzione Civile che è andata incontro
ad un flop, non raggiungendo il quorum per avere eletti in Parlamento. De
Magistris si è poi candidato con successo a Sindaco di Napoli sventolando la
bandiera della trasparenza e della legalità, che ora ha ammainato con l’incredibile
attacco di cui sopra.
Si potrebbe
continuare, ma credo che gli esempi fatti bastino a confermare la necessità che
vengano previsti dalla legge dei precisi confini all’esercizio dell’elettorato
passivo da parte di magistrati per porre fine ad una deriva assai grave che
getta discredito sulla Giustizia e mette a repentaglio il buon funzionamento
delle Istituzioni e del sistema economico , i cui esponenti possono diventare
oggetto di inchieste che ne rovinano la carriera e, a volte la vita , e che in
vari casi finiscono nel nulla. Non si possono dimenticare al riguardo i ripetuti suicidi di politici e imprenditori coinvolti
nelle inchieste, spesso assai brutali, condotte dal predetto pool Mani Pulite.
Una proposta
al riguardo è quella che debba passare un tempo di alcuni anni fra l’abbandono
della Magistrature e l’entrata in politica, principio che dovrebbe valere anche
nell’eventuale percorso di ritorno per chi concludesse quest’ultima esperienza
e intendesse riprendere la carriera giudiziaria. Mi auguro che il tema venga
inserito nella discussione che il Parlamento si appresta a fare per migliorare
la credibilità e l’efficienza dell’apparato giudiziario.