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domenica 15 novembre 2015

Di chi è la colpa?



Le considerazioni seguenti sono il sunto del secondo capitolo del libro di  Van Reybrouck  “Contro le elezioni” -  Feltrinelli, settembre 2015, che  segnala quatto diverse diagnosi sulla crisi delle “democrazie”:

1 – E’ colpa dei politici: la diagnosi del populismo.
Secondo questo orientamento “I politici sarebbero dei carrieristi, dei parassiti, degli approfittatori scollegati dalla realtà, essi penserebbero solo a riempirsi le tasche, non avrebbero alcuna consapevolezza della vita della gente comune e farebbero  meglio a togliersi dai piedi”.I campioni di questo approccio sono, in Europa: Berlusconi, Grillo, Marine Le Pen, Farage, solo per citarne alcuni che si presentano come i portavoce diretti del popolo, del senso comune. I populisti, secondo l’Autore, hanno ragione nel denunciare la carenza di legittimità dell’attuale potere politico, ma propongono una soluzione eccessivamente semplificatoria: “L’idea che ci si possa fondere organicamente con la massa, impregnandosi  dei suoi valori  e con la perfetta conoscenza dei suoi  desideri mutevoli rientra nell’ambito del misticismo, più che della politica. Non c’è un pensiero sotto, è solo marketing”.
2 – E’ colpa della democrazia: la diagnosi della tecnocrazia
“ La lentezza e la complessità del processo decisionale democratico portano alcuni a dubitare della democrazia stessa…. La tecnocrazia è allora rapidamente percepita come la soluzione…. I tecnocrati sono dei manager che sostituiscono i politici: non devono preoccuparsi delle elezioni, possono riflettere sul lungo termine, possono annunciare misure impopolari”.
 Il campione più rappresentativo  dei tecnocrati al potere è stato Monti, capo del nostro Governo nel 2011-2012.
I tecnocrati fanno esattamente il contrario dei populisti. Cercano di rimediare alla sindrome di stanchezza democratica privilegiando l’efficacia rispetto alla legittimità….Ma l’efficacia non genera necessariamente la legittimità. La fiducia nel tecnocrate si scioglie come neve al sole quando questi cerca di comprimere le spese”. Ne è una conferma in Italia la scarsa durata dei Commissari alla spending review (Bondi, Cottarelli, ecc.)
3 – E’ colpa della democrazia rappresentativa: la diagnosi della democrazia diretta
Hanno sostenuto questa tesi i movimenti “Occupy Wall Street” negli Stati Uniti, “Indignados” in Spagna e il Movimento 5 Stelle in Italia, contestando fortemente la democrazia parlamentare accusata di non saper ascoltare i cittadini e propugnando la democrazia diretta, partecipativa, orizzontale. I primi due movimenti ma non sono stati capaci di esprimere una proposta consistente e durevole,  capace di incidere sui processi politici reali. Dice Van Reybrouck “Occupy evidenziava un malessere più che fornire una cura. La diagnosi sulla democrazia rappresentativa era giusta, ma l’alternativa insoddisfacente”
Invece il Movimento 5 Stelle ha saputo ottenere un potere reale, sperimentando la “democrazia del web” e concorrendo alle elezioni con l’obiettivo di contestare dall’interno il parlamentarismo. Dice Van Reybrouck al riguardo: “ Il Movimento 5 Stelle vuole, nonostante la retorica populista del suo leader, una migliore rappresentanza popolare sulla base di nuove regole: nessun precedente penale, i seggi a vita diventano un tabù, non più di due mandati. Lo scopo è di aprire la porta a una più ampia partecipazione di cittadini comuni alle decisioni politiche”.
4 – E’ colpa della democrazia rappresentativa elettiva: una nuova diagnosi
In questa sezione l’Autore dice “I termini “elezioni” e “democrazia” sono diventati sinonimi quasi per tutti” e cita , al riguardo, quanto risulta nella Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948: “La volontà del popolo è il fondamento dell’autorità dei poteri pubblici: questa volontà deve essere espressa con elezioni serie che devono aver luogo periodicamente”.Osserva poi come sia sorprendente che una dichiarazione di principi generali si soffermi in modo così preciso a specificare il  metodo per far esprimere la volontà popolare, aggiungendo. “Ecco la prima causa  della sindrome di stanchezza democratica: siamo diventati tutti dei fondamentalisti delle elezioni………Il fondamentalismo elettorale è la convinzione ferrea che una democrazia non sia concepibile senza elezioni”.
Dopo aver osservato che, nel dopoguerra, i partiti di massa hanno dominato la scena politica attraverso tutta una rete di organismi intermedi ( sindacati. associazioni, ecc) e che ne è risultato, fino agli anni 70,  “un sistema estremamente stabile, caratterizzato dalla fedeltà ad un partito di propria scelta e da un comportamento elettorale prevedibile”, aggiunge “ Il pensiero neoliberista, che ha trasformato radicalmente lo spazio pubblico a partire dagli anni 80 e 90, ha messo fine a questo equilibrio. Non era più la società civile, ma le leggi di mercato ad esserne il principale artefice…...I dati di audience….acquisirono un’importanza eccessiva….I media commerciali si rivelarono i principali produttori di consenso sociale”.
All’inizio del ventunesimo secolo esplodono i “social media”che, da un lato, rinforzano l’azione dei media commerciali riprendendo e diffondendo costantemente le  notizie degli uni e degli altri,  stabilendo “un’atmosfera di denigrazione permanente…..Sotto l’effetto dell’isteria collettiva dei media commerciali, dei social media e dei partiti politici, la febbre elettorale è diventata permanente…..Il sistema elettorale provoca ogni volta la sconfitta cocente del lungo termine e dell’interesse generale, di fronte al breve termine e all’interesse dei partiti”.
Ma i social media hanno anche l’effetto di aumentare l’autonomia, il senso critico,  il potere e la rapidità di aggregazione dei cittadini che non accettano più il modello paternalistico dei partiti. L’orizzontalità che si sviluppa nella società confligge con la verticalità del rapporto partiti/cittadini.
E quindi necessario ripensare  le modalità di esercizio della sovranità popolare: “Le elezioni sono il combustibile fossile della politica.… se non riflettiamo urgentemente sulla natura del nostro combustibile democratico, una crisi più grave minaccia il nostro sistema”

venerdì 6 novembre 2015

Cosa non va nelle "democrazie"





Nel  primo capitolo del bel libro di David Van Reybrouck “ Contro le elezioni”, Feltrinelli – Settembre 2015, che consiglio di leggere, sono  spiegati i sintomi del malessere delle  “democrazie”  occidentali, alcuni dei quali ho  già citati in un post precedente e che ora espongo più compiutamente, ma sempre in estrema sintesi.
Essi riguardano sia la legittimità, cioè il grado di consenso che le forze politiche e le Istituzioni ottengono dal popolo, sia l’efficienza, cioè la loro capacità di agire e dare soluzione ai problemi.
Dal primo punto di vista i sintomi più critici sono tre: la drastica riduzione del numero dei votanti, la sempre minore presenza di iscritti ai partiti, l’incostanza nelle scelte degli elettori. Tutto ciò segnala una profonda disaffezione verso la politica, che perde  gradualmente credibilità.
Anche sul secondo aspetto vi sono tre elementi critici: la  crescente difficoltà di formare i governi e la loro endemica instabilità , gli scontri politici sempre più duri e “urlati”, la pesante sanzione che  spesso i partiti al governo ottengono dagli elettori per gli scarsi risultati prodotti. L'inefficienza dei governi alimenta la sfiducia nel sistema e quindi riduce ancora la legittimità, creando quindi un circolo vizioso.

Alla base di tutto ciò ci sono due fenomeni importanti che influenzano fortemente e negativamente la capacità della politica di soddisfare le attese dei cittadini:
-          La riduzione dell’ autonomia  dei governi nazionali dovuta a pesanti  vincoli sovranazionali ( ad es: UE, BCE, Fondo Monetario,  Trattati internazionali, ecc,) e  all’emergere  di numerosi attori locali che sottraggono potere all’esecutivo.

-          Lo strapotere del sistema mediatico che è alla costante ricerca della “notizia”  utile a fare  “audience”e  che, come scrive Van Reybrouck “  preferisce ingigantire  conflitti futili piuttosto che analizzare problemi reali, soprattutto in un periodo di calo delle quote di mercato dell’audiovisivo”.  Dice ancora l’Autore “ogni deputato ….deve  distinguersi  nel momento in cui le telecamere stanno riprendendo….. Quando la voglia di essere notati ha la meglio sulla gestione, quando la febbre elettorale diventa un’affezione cronica, quando i compromessi sono costantemente tacciati come tradimenti…..il Parlamento rischia l’anemia” E ancora “l’uomo politico di oggi può, o meglio deve, urlare ai quattro venti le sue virtù – le elezioni e i media non gli lasciano scelta – preferibilmente stringendo i pugni, contraendo i muscoli  e spalancando la bocca”.
Questa sembra la “foto” di una seduta del Senato italiano ma, evidentemente,  tutto il mondo è paese perché le cause profonde dei fenomeni sono le stesse in una realtà  internazionale ormai largamente omologata.

Alla radice della crisi  vi sono, però,  anche cause specifiche  attinenti il sistema della rappresentanza politica, alle quali  l’Autore dedica il secondo capitolo e di cui tratterò prossimamente.
Qualche lettore avrà notato che ho messo fra virgolette la parola “democrazie”. Il motivo sta nel fatto che, come ho segnalato in un precedente post ( “La stanchezza della democrazia . 7/10/2015) il sistema elettorale è stato storicamente  concepito per dar luogo a delle  oligarchie e questo risultato è stato puntualmente ottenuto, ma una martellante propaganda politica durata più di due secoli, ha fatto credere  ovunque in Occidente che il potere stia veramente nel popolo. A questa mistificazione rispondo con le virgolette per significare che oggi viviamo in pseudo democrazie. In questo, pur essendo stato illuminato dal libro di Van Reybrouck, le mie conclusioni sono alquanto più radicali di quelle dell’Autore che, malgrado tutto, attribuisce ancora una patente di democrazia, sia pure imperfetta, ai sistemi elettivi.