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domenica 23 ottobre 2016

Lotta di potere nel PD e suoi effetti sulle riforme



Nelle  frequenti apparizioni televisive che hanno seguito la comunicazione della data del referendum , il premier ha difeso la riforma costituzionale  segnalando come suoi principali benefici  la riduzione del numero dei parlamentari e, quindi, dei costi della politica e l’eliminazione del bicameralismo paritario .

Non ha fatto cenno, invece, al collegamento di tale riforma con  la nuova legge elettorale, probabilmente  per non favorire la polemica sul “combinato disposto” fra i due provvedimenti , che i suoi oppositori, a partire da quelli interni al PD, vedono come il veicolo  di un fenomeno da loro fortemente paventato, cioè quello dell’ “uomo solo al comando” e cioè di un’eccessiva concentrazione di potere  in capo all’esecutivo. Il problema è che, cercando di evitare questo scoglio, Renzi si è  privato dell’argomentazione più forte a favore del SI e cioè quella di garantire, con l’insieme delle riforme, una reale governabilità in un Paese in cui per decenni  tutte le scelte sono state frutto di faticose mediazioni all’interno di deboli coalizioni oppure di compromessi sottobanco con le opposizioni.

L’esigenza di superare questa deplorevole situazione è molto sentita da gran parte degli  elettori di diverse aree politiche, consapevoli dei deleteri effetti del clima  consociativo  che ha permeato la prima e la seconda repubblica, in cui tutte le forze politiche cercavano di approfittare della precarietà degli esecutivi per strappare concessioni, cioè risorse pubbliche per i fini più disparati, con effetti devastanti sul bilancio dello Stato e sull’aumento incontrollato del debito pubblico. Il grande successo ottenuto nel 2014 da Renzi alle elezioni europee può essere interpretato  come un ampio mandato, anche da parte di elettori estranei al PD, a mutare questo stato di cose, ma forse è proprio l’ampiezza di tale consenso che ha indotto il Premier a compiere diverse forzature nel processo di approvazione della riforma costituzionale (ricorso alla fiducia, sostituzione di membri dissenzienti della Commissioni Affari Costituzionali, ecc.) che hanno inasprito lo scontro politico .

Per fronteggiare la fronda interna  e la vasta opposizione esterna Renzi ha successivamente  dichiarato una disponibilità a modificare l’Italicum, ma dopo il referendum.

Su questa proposta, vista come dilatoria dalla minoranza,  nell’ultima Direzione del PD si è acceso un confronto assai duro che è finito con un nulla di fatto: Renzi ha annunciato una commissione per studiare i cambiamenti invitando la minoranza a parteciparvi e questa ha accettato, nominando Cuperlo a rappresentarla.  Si tratta però, da entrambe le parti, di mosse tattiche: dato che i sondaggi vedono una certa prevalenza, al momento, dei NO, la minoranza ha interesse  a non opporsi al l’iniziativa  ma anche a non favorire un accordo e Renzi ha interesse a mostrare che  una conclusione negativa sarebbe  indice di un atteggiamento strumentale dei suoi interlocutori. Le schermaglie proseguiranno  verosimilmente fino alla data del referendum.

Se vincerà il SI, Renzi non darà probabilmente seguito all’ipotesi di modificare l’Italicum e si avvarrà dell’investitura popolare per rendere intoccabili le sue riforme. Se vincerà il NO l’Italicum sarà  probabilmente spazzato via e si tornerà al proporzionalismo. Entrambe le prospettive non sono soddisfacenti. La prima perché  consentirebbe ad un’esigua minoranza di appropriarsi  di tutto il mazzo del potere, creando un oggettivo squilibrio nel rapporto fra le Istituzioni., anche se i timori di una deriva autoritaria sono certamente esagerati. La seconda perché porterebbe inevitabilmente a coalizioni precarie e  rinnoverebbe la deleteria “politica dell’inciucio” che non corrisponde affatto alle esigenze di un Paese che voglia essere attrattivo e competitivo.

Il fosco quadro che ho delineato ci dice che la partita  della riforma, cioè creare un quadro di “regole del gioco” condivise, è sostanzialmente perduta, a meno che non maturi “in extremis” in entrambi i contendenti del PD la consapevolezza che senza un accordo  che preveda un ragionevole equilibrio fra governabilità e rappresentanza, si peggiora fortemente la qualità della nostra democrazia e si fanno correre gravi rischi non solo al PD, che può perdere la sua centralità, ma all’intero Paese, già in forte difficoltà.

E’ un’ipotesi altamente improbabile ma, si sa, la speranza è l’ultima a morire.












mercoledì 12 ottobre 2016

Ponte di Messina: è meglio rinunciare



Nella trasmissione “Otto e Mezzo” Lilli Gruber ha chiesto al Sindaco di Parma Pizzarotti, perché secondo lui il M5S non perde consensi ,  secondo i sondaggi , malgrado i numerosi problemi che lo scuotono. La risposta è stata: “ Il Movimento fa molti errori ma poi arriva Renzi, annuncia il ponte sullo Stretto e rimette le cose a posto”.
Questa dichiarazione esprime un ‘opinione  molto diffusa circa l’assoluta  intempestività e inadeguatezza di  questo annuncio che  sa più di manovra elettorale pro referendum, visto che è al Sud che prevalgono i NO sempre secondo i sondaggi, che di una mossa per il rilancio dell’economia. I centomila posti di lavoro che l’opera porterebbe secondo il Premier, assomigliano molto al milione di posti annunciati un ventennio fa da Berlusconi e mai concretizzati .
In una successiva intervista al Corriere della Sera il Ministro Del Rio ha  detto che lui era in passato contrario a quest’opera ma che ora il progetto è fattibile perché il Governo ha disposto importanti  stanziamenti  in bilancio per  affrontare i temi prioritari, cioè il dissesto idrogeologico del territorio e la drammatica situazione delle infrastrutture siciliane, che a volte  si sbriciolano una settimana dopo essere state inaugurate. Il problema è che anche questo è un annuncio come ne sono stati fatti numerosi in passato da vari Governi: si fanno gli stanziamenti ma le opere  spesso non arrivano o restano incompiute.
I cittadini  ormai “hanno mangiato la foglia” e non si fanno più incantare dalle mere dichiarazioni: vogliono vedere i fatti e solo dopo questi possono accettare l’avvio di  opere non prioritarie. Fra queste rientrano anche le Olimpiadi che sono state rifiutate dalla giunta romana non tanto o non solo per il rischio tangenti che a Roma incombe comunque in modo pesante, ma perché tutte queste manifestazioni, salvo quella di Los Angeles, sono stati dei tremendi flop sul piano finanziario ed oggi l’Italia non può permettersi questi lussi.
Siamo il Paese che ha il secondo maggior debito pubblico mondiale per rapporto al PIL e , con il PIL che è stagnante da oltre un decennio e non accenna a riprendersi, la situazione tenderà a peggiorare. L’Europa e i mercati sono assai preoccupati da questa prospettiva che espone il nostro Paese e di conseguenza l’intera Unione europea a rischi incalcolabili. In uno scenario di questo tipo ci si attende dal Governo una forte prudenza e un’attenta valutazione su come impiegare le scarse risorse disponibili.
C’è poi un altro argomento contro il Ponte, messo in evidenza in un recente articolo sul Corriere della Sera da Angelo Panebianco il quale ha osservato che questo tema è nato, nell’Italia repubblicana,  quando era Presidente del Consiglio Craxi e poi, dopo un lungo silenzio, si è ripresentato sotto la Presidenza di Berlusconi ed ora sotto quella di Renzi, tutti leader favorevoli al decisionismo, mentre si è inabissato quando sono prevalse leadership più oligarchico-collegiali.
In un momento come l’attuale in cui il Premier è da più parti accusato di volere un’eccessiva concentrazione del potere, insistere su un’opera di questo tipo, invisa a moltissimi cittadini, sarebbe una conferma di questa intenzione e contribuirebbe  a far crescere l’ostilità verso la riforma costituzionale  in misura assai maggiore dei consensi ipoteticamente ottenibili tramite le promesse occupazionali.
Va detto infine che questo argomento non contribuisce certo a creare un clima sereno atto a favorire una valutazione nel merito della riforma, che il Premier auspica, e darebbe ulteriori armi a chi la combatte.
Recentemente Renzi ha un po’ corretto il tiro dicendo che si tratta di un’ipotesi e non di una priorità attuale.  Sarebbe opportuno che questo orientamento venisse confermato prima del referendum e ribadito, in modo convincente, anche in caso di vittoria del SI.