Malgrado
l’incerta gestione del caso di Quarto, dove la Sindaca Rosa Capuozzo ha subito
pressioni camorristiche non tempestivamente contrastate dai vertici, il
Movimento 5 Stelle gode tuttora di un capitale di credibilità morale notevole,
che avrà un peso rilevante alle prossime elezioni amministrative, dato il
continuo emergere di scandali corruttivi nelle diverse realtà amministrative
locali gestite dai partiti tradizionali (l’ultimo
è quello eclatante perché recidivo nella sanità lombarda). Da questo punto di
vista il Movimento ha un indubbio vantaggio competitivo rispetto alla
concorrenza.
Esiste però
un rischio legato alla capacità e alla volontà degli amministratori eletti di
tener fede agli impegni presi in campagna elettorale che, per il Movimento non
sono semplici e vaghe promesse che è
possibile accantonare a giochi fatti. Tale difficoltà è già stata in passato
fonte di forti contrasti (in primis a Parma dove l’amministrazione era stata
eletta con la promessa, poi non mantenuta, di rifiutare l’inceneritore). Ora,
avvicinandosi per il M5S il momento di conquistare una delle maggiori
amministrazioni comunali del Paese l’esigenza di contrastare il rischio
d’incoerenza fra il dire e il fare è
divenuta più forte e ciò spiega il fatto che il Movimento abbia ripreso in mano
il tema del “Codice di Comportamento per i candidati e gli eletti” che era già
stato trattato in occasione delle elezioni politiche ed europee. Ora è
stato riproposto con alcune forti sottolineature riguardanti in particolare la
città di Roma in cui il Movimento ha forti probabilità di arrivare al
ballottaggio. Ha fatto un certo scalpore al riguardo la notizia di una multa di
150.000 euro per danno d’immagine nei confronti di chi, dopo le elezioni,
decida di “cambiare casacca” (ipotesi
sanzionatoria non prevista ad esempio nel caso di Torino), Questo
provvedimento, che ha fatto parlare di “Commissariamento del M5S Roma” e che
taluni tacciano d’incostituzionalità, esprime però bene la ferma intenzione dei
vertici del Movimento di opporsi al
diffuso trasformismo che è così presente nelle nostre assemblee elettive e che
potrebbe alterare profondamente il significato della consultazione elettorale. In una realtà
particolarmente scivolosa come quella romana, dove un radicatissimo e nefasto consociativismo fra destra e sinistra è stato
la causa principale di Mafia Capitale e
della valanga corruttiva che ne è seguita, la posizione intransigente dei
vertici può essere un positivo richiamo nei confronti di un elettorato
fortemente critico verso partiti che hanno fatto scempio della legalità e delle
risorse pubbliche.
C’è un’altra
notizia, nel codice, che è stato poco pubblicizzata ma che ha una portata ancor
maggiore della precedente e cioè la creazione di un istituto che viene
dall’antica democrazia ateniese e che è oggi presente in alcuni Paesi
anglossassoni con il termine di
“recall”, cioè la possibilità di “richiamo” e quindi di revoca del mandato ai
propri eletti se richiesta da almeno 500 iscritti al Movimento e poi
convalidata da una votazione online.
Come si
vede, M5S intende far valere con maggiore forza che in passato il principio del
“vincolo di mandato” che è attualmente
escluso dalla nostra Costituzione per i parlamentari ma che questa forza politica ritiene, non
senza fondamento, una condizione basilare affinché gli elettori possano
esercitare un controllo sugli eletti.
Dato il
carattere intrinsecamente oligarchico dei sistemi elettivi puri, messo in
evidenza nel precedente post, vi è l’assoluta necessità di inserire nei nostri
meccanismi istituzionali dei correttivi che evitino ai cittadini di essere
costantemente beffati da politici che si fanno eleggere in base a promesse poi
sistematicamente disattese.
Abbiamo già ampiamente discusso nel blog sul
ruolo che può avere il sorteggio come strumento equilibratore, in senso
democratico, all’interno delle istituzioni rappresentative. L’istituto del
recall può essere un altro utile mezzo per rendere effettiva la sovranità popolare, ricostituendo un legame diretto fra elettori
ed eletti. Altri criteri possono
poi essere individuati tenendo conto che
il “divieto di mandato imperativo” è stato a suo tempo istituito con
l’obiettivo, apparentemente nobile, di
consentire all’eletto di rappresentare l’interesse generale ma è stato in
realtà lo strumento principale usato per
svincolare gli eletti da qualsiasi controllo da parte degli elettori. Anche
questo provvedimento rientra quindi fra gli astuti espedienti
costituzionali con cui si è cercato di vendere come democratico un
meccanismo di totale accentramento del
potere in una elite. Ciò che il M5S fa introducendo il “recall” è quello di
ricordare un principio non meno nobile del precedente e cioè quello della “responsabilità politica”per cui chi
disattende i programmi presentati o sottoscritti non può restare al suo posto.
Il Movimento ci dice dunque che “il re è nudo” e che non ha più senso magnificare
le sue inesistenti vesti.
Non si può
più eludere il problema dell’inadeguatezza degli attuali sistemi di
rappresentanza, di cui il sintomo più evidente è il fatto che la maggioranza
degli elettori ormai si rifiuta di
votare per non sentirsi presa in giro.
Sarebbe
quindi il caso che anche le altre forze
politiche cominciassero a riflettere su come superare l’attuale crisi
restituendo al popolo il potere che, in democrazia, gli compete e che gli è
stato abilmente sottratto. Altrimenti
l’onda a 5 stelle, alimentata dalla crescente consapevolezza dei cittadini
sulla necessità di un forte cambiamento, potrebbe travolgerli.