Visualizzazioni totali

lunedì 29 febbraio 2016

Dai 5 Stelle una giusta mossa contro il trasformismo, che avrà conseguenze elettorali



Malgrado l’incerta gestione del caso di Quarto, dove la Sindaca Rosa Capuozzo ha subito pressioni camorristiche non tempestivamente contrastate dai vertici, il Movimento 5 Stelle gode tuttora di un capitale di credibilità morale notevole, che avrà un peso rilevante alle prossime elezioni amministrative, dato il continuo emergere di scandali corruttivi nelle diverse realtà amministrative locali  gestite dai partiti tradizionali (l’ultimo è quello eclatante perché recidivo nella sanità lombarda). Da questo punto di vista il Movimento ha un indubbio vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
Esiste però un rischio legato alla capacità e alla volontà degli amministratori eletti di tener fede agli impegni presi in campagna elettorale che, per il Movimento non sono semplici e vaghe promesse  che è possibile accantonare a giochi fatti. Tale difficoltà è già stata in passato fonte di forti contrasti (in primis a Parma dove l’amministrazione era stata eletta con la promessa, poi non mantenuta, di rifiutare l’inceneritore). Ora, avvicinandosi per il M5S il momento di conquistare una delle maggiori amministrazioni comunali del Paese l’esigenza di contrastare il rischio d’incoerenza fra il dire e il fare  è divenuta più forte e ciò spiega il fatto che il Movimento abbia ripreso in mano il tema del “Codice di Comportamento per i candidati e gli eletti” che era già stato trattato in occasione delle elezioni politiche ed europee. Ora è stato riproposto con alcune forti sottolineature riguardanti in particolare la città di Roma in cui il Movimento ha forti probabilità di arrivare al ballottaggio. Ha fatto un certo scalpore al riguardo la notizia di una multa di 150.000 euro per danno d’immagine nei confronti di chi, dopo le elezioni, decida di “cambiare casacca” (ipotesi  sanzionatoria non prevista ad esempio nel caso di Torino), Questo provvedimento, che ha fatto parlare di “Commissariamento del M5S Roma” e che taluni tacciano d’incostituzionalità, esprime però bene la ferma intenzione dei vertici del Movimento  di opporsi al diffuso trasformismo che è così presente nelle nostre assemblee elettive e che potrebbe alterare profondamente il significato della  consultazione elettorale. In una realtà particolarmente scivolosa come quella romana, dove un radicatissimo e nefasto  consociativismo fra destra e sinistra è stato la causa principale di Mafia Capitale  e della valanga corruttiva che ne è seguita, la posizione intransigente dei vertici può essere un positivo richiamo nei confronti di un elettorato fortemente critico verso partiti che hanno fatto scempio della legalità e delle risorse pubbliche.
C’è un’altra notizia, nel codice, che è stato poco pubblicizzata ma che ha una portata ancor maggiore della precedente e cioè la creazione di un istituto che viene dall’antica democrazia ateniese e che è oggi presente in alcuni Paesi anglossassoni  con il termine di “recall”, cioè la possibilità di “richiamo” e quindi di revoca del mandato ai propri eletti se richiesta da almeno 500 iscritti al Movimento e poi convalidata da una votazione online.
Come si vede, M5S intende far valere con maggiore forza che in passato il principio del “vincolo di mandato”  che è attualmente escluso dalla nostra Costituzione per i parlamentari  ma che questa forza politica ritiene, non senza fondamento, una condizione basilare affinché gli elettori possano esercitare un controllo sugli eletti.
Dato il carattere intrinsecamente oligarchico dei sistemi elettivi puri, messo in evidenza nel precedente post, vi è l’assoluta necessità di inserire nei nostri meccanismi istituzionali dei correttivi che evitino ai cittadini di essere costantemente beffati da politici che si fanno eleggere in base a promesse poi sistematicamente disattese.
 Abbiamo già ampiamente discusso nel blog sul ruolo che può avere il sorteggio come strumento equilibratore, in senso democratico, all’interno delle istituzioni rappresentative. L’istituto del recall può essere un altro utile mezzo per rendere effettiva  la sovranità popolare,  ricostituendo un legame diretto fra elettori ed eletti.  Altri criteri possono poi  essere individuati tenendo conto che il “divieto di mandato imperativo” è stato a suo tempo istituito con l’obiettivo, apparentemente nobile,  di consentire all’eletto di rappresentare l’interesse generale ma è stato in realtà lo strumento principale usato  per svincolare gli eletti da qualsiasi controllo da parte degli elettori. Anche questo provvedimento rientra quindi fra gli astuti  espedienti  costituzionali con cui si è cercato di vendere come democratico un meccanismo di  totale accentramento del potere in una elite. Ciò che il M5S fa introducendo il “recall” è quello di ricordare un principio non meno nobile del precedente e cioè quello  della “responsabilità politica”per cui chi disattende i programmi presentati o sottoscritti non può restare al suo posto. Il Movimento ci dice dunque che “il re è nudo” e che non ha più senso magnificare le sue inesistenti vesti.
Non si può più eludere il problema dell’inadeguatezza degli attuali sistemi di rappresentanza, di cui il sintomo più evidente è il fatto che la maggioranza degli elettori  ormai si rifiuta di votare per non sentirsi presa in giro.
Sarebbe quindi  il caso che anche le altre forze politiche cominciassero a riflettere su come superare l’attuale crisi restituendo al popolo il potere che, in democrazia, gli compete e che gli è stato abilmente  sottratto. Altrimenti l’onda a 5 stelle, alimentata dalla crescente consapevolezza dei cittadini sulla necessità di un forte cambiamento, potrebbe travolgerli.

lunedì 15 febbraio 2016

Il sorteggio: un contributo al rinnovamento democratico



Nel precedente articolo “Sorteggio qualificato, garanzia di competenza” , pubblicato il 26 dicembre 2015,sono state messe in evidenza le analogie e le differenze esistenti fra le realtà statuali di oggi e quelle dell’antica Atene democratica  nonché i necessari adattamenti che ciò comporta nei meccanismi partecipativi.
In questo scritto vogliamo  chiarire perché gli Stati odierni dell’Occidente non possono essere definiti democrazie  e cosa sta “bollendo in pentola” per rivitalizzare i sistemi rappresentativi.
Nei 2300 anni compresi fra il quinto secolo a.c. , che ha visto la nascita della democrazia ateniese , e la fine della Repubblica veneziana nel 1797, tutti gli stati almeno parzialmente democratici hanno sempre combinato le elezioni con il sorteggio,in quanto le prime consentono di scegliere i detentori di particolari incarichi secondo un procedimento necessariamente elitario (la “ferrea legge dell’oligarchia” enunciata da Robert Michels  nel lontano 1911),  mentre il secondo doffre a tutti i cittadini  coinvolti una chance di partecipare alla gestione della cosa pubblica.
E’ solo con le rivoluzioni antimonarchiche del settecento (americana e francese) che tale principio venne interrotto, in quanto l’emergente borghesia intese sottrarre il potere agli aristocratici ed attribuirselo, escludendo totalmente il popolo. Basta leggere cosa scrisse l’abate Syeyes dal cui pamphlet ”Cos’è il terzo Stato” ha preso le mosse la rivoluzione francese per capire le intenzioni dei rivoluzionari: “ La Francia non è e non deve essere una democrazia… il popolo, ripeto, in un Paese che non è una democrazia ( e la Francia non deve diventarne una) il popolo non può parlare e non deve agire se non attraverso i suoi rappresentanti”.
Oggi in Italia ci lamentiamo della “casta” ma la casta è esattamente il risultato che i rivoluzionari si ripromettevano di ottenere e quindi  si può ben dire che il loro disegno è andato a buon fine. Tale disegno è poi stato arricchito quando, a seguito dell’espansione del suffragio a categorie più ampie della popolazione, i politici hanno avuto l’ingegnosa trovata di etichettare e vendere  come “democrazia” un sistema di rappresentanza puramente elettivo che era stato concepito come antidoto alla stessa. Si è poi raggiunto il capolavoro quando si è riusciti a far inserire nella Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo il principio per cui la democrazia consiste “in libere elezioni tenute a scadenza periodica”. Da qui è nato il “fondamentalismo elettorale” che identifica le elezioni con la democrazia mentre il risultato che esse, da sole, ottengono è esattamente l’opposto.
Ma l’imbroglio ormai è evidente: l’unico potere democratico che hanno i cittadini è quello di mettere una crocetta su una scheda;  con tale azione inizia e contestualmente finisce il loro potere  che, da quel momento,  è completamente delegato ai “rappresentanti” ,  i quali in realtà rappresentano solo se stessi e l’elite di cui fanno parte.
Come ha ben scritto il filosofo francese Jacques Ranciére  nel libro “L’odio per la democrazia” gli Stati moderni non sono democrazie ma “stati oligarchici di diritto” i cui cittadini posseggono indubbi diritti politici, civili e sociali,  che peraltro non cambiano  di un millimetro la loro sostanziale impotenza di incidere sulle scelte politiche.
Negli ultimi decenni  vi sono state, in molti Paesi, numerose ed efficaci  esperienze di partecipazione sia a livello locale che nazionale. Solo per citare due esempi:  a New York una “giuria “ composta da cittadini sorteggiati ha discusso la destinazione da dare  a “Ground Zero”, cioè lo spazio su cui sorgevano le torri gemelle e le sue proposte sono state adottate dalla Città di New York. In Irlanda  un gruppo misto, composto di 66 cittadini sorteggiati e da 33 politici, ha elaborato una parziale riforma della Costituzione che ha comportato forti innovazioni rispetto alla tradizione culturale del Paese, come ad esempio  il riconoscimento delle unioni omosessuali. La riforma è stata approvata tramite un referendum tenuto nell’agosto 2015  con oltre il 70% dei voti.
In Italia  la Regione toscana si è dotata di un’apposita legge per favorire la partecipazione dei cittadini  ed ha già supportato vari progetti, attivando un dibattito pubblico su grandi interventi infrastrutturali e  finanziando processi partecipativi a livello  locale, basati sull’autoselezione dei partecipanti o sul sorteggio di un campione stratificato della popolazione di riferimento.
E’ stato anche proposto da alcuni studiosi, durante la discussione sulla riforma del Senato ,di valutare l’inserimento di una quota di cittadini sorteggiati in tale assemblea. Anche se la proposta non è stata accolta, essa indica una crescente legittimazione del sorteggio  che potrà avere interessanti sviluppi.

mercoledì 3 febbraio 2016

Dove sbaglia Angela Merkel



Chi legge da tempo il mio blog sa che, nel 2011-2012, ho scritto alcuni articoli favorevoli alla politica di rigore nei bilanci propugnata da Angela Merkel  che è servita, a mio avviso,  ad evitare il default del nostro Paese e, di conseguenza, la disgregazione della Zona Euro, anche se la ricetta è stata per noi  molto dolorosa e non sono mancati gli errori anche gravi (vedi: esodati).
Nel periodo successivo ho notato però  che tale politica veniva mantenuta, con rigidità teutonica,  anche a fronte di evidenti variazioni nel contesto economico-finanziario e in particolare della situazione deflattiva che rischiava di portare ad un avvitamento dell’economia della Zona Euro e in particolare dei paesi ad alto debito come il nostro.  Ciò mi ha insinuato dubbi sulla capacità della Cancelliera di governare una situazione complessa che richiede prontezza di reazione e unità d’intenti. Invece di condividere con i partner europei le mosse da fare, la Cancelliera ha fatto sua l’indicazione data alcuni anni fa da un esponente politico tedesco in un dibattito parlamentare sull’Europa: “Wir mussen fuhren”, cioè  “noi dobbiamo comandare”. E lo ha fatto, volta a volta, in solitudine o con l’appoggio ancillare della Francia o con improvvisati ed improvvidi vertici a tre o a quattro: si veda ad esempio il vertice sull’immigrazione con Hollande /Juncker e senza l’Italia, che in quel momento stava sopportando l’onere maggiore della pressione migratoria.
Altro punto critico del rapporto della Germania con i partner è il modo come è stata gestita la crisi bancaria a seguito dello shock iniziato nel 2008: questo Paese ha messo a disposizione risorse pubbliche pari a 260 miliardi di euro per salvare il dissestato sistema delle Landesbanken ma, dopo aver compiuto questa operazione ha fatto adottare da Bruxelles norme che vietano il ricorso ad aiuti di Stato per le banche e non solo, il che mette in difficoltà il nostro Paese che ha speso appena  4 miliardi per il Monte dei Paschi ed ora si trova alle prese con il problema ILVA sul quale non abbiamo margini di manovra.
Altro provvedimento sponsorizzato dalla Cancelliera è stato il famigerato “bail-in” che comporta il concorso nel salvataggio delle banche non solo degli azionisti e dei creditori possessori di obbligazioni  di tali istituti ma addirittura dei correntisti che non sono affatto dei creditori, ma solo dei depositanti come i detentori di un deposito titoli e che non possono pertanto essere penalizzati in una grande ammucchiata.
C’è poi il macroscopico errore compiuto sul tema dell’immigrazione: poco dopo aver detto ad una giovane profuga siriana che stava per essere espulsa “non possiamo accogliere tutti”, ha cambiato totalmente direzione dicendo “accoglieremo tutti i profughi siriani” il che ha messo in moto in Siria e in altri  Paesi dove regnano guerre e instabilità, una corsa verso l’Europa che potrebbe travolgere, oltre al trattato di Schengen già sospeso in vari  Paesi, anche l’intera costruzione europea. Mentre un leader religioso può, appellandosi alle coscienze, predicare un’accoglienza senza limiti, un leader politico deve tenere in conto le possibili conseguenze di quanto afferma. Cosa che non è avvenuta.
E si potrebbe continuare.
A fronte di questa situazione bene ha fatto il premier Renzi a mettere dei paletti che ripristinino quella condivisione che è indispensabile in una aggregazione di Stati sovrani e  a ribadirli nell’incontro bilaterale con la Cancelliera tedesca del 29 gennaio. La Germania può e deve esercitare l’influenza che deriva dalla sua dimensione e dalla sua potenza economica, ma non può e non deve comandare da sola, neppure con le buone  maniere come suggerito  in un articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung del giugno 2015  “La Germania deve pertanto comandare da sola in Europa , con dolcezza e senza ostentazione” .