di: Franco Puglia
L'Articolo 67 della Costituzione Italiana recita :
Ogni
membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato. Un articolo molto
laconico, che neppure definisce cosa sia il mandato, ma afferma che il
parlamentare non ha vincoli nei suoi confronti.
La norma non è una esclusiva della costituzione italiana, ma è comune alla
quasi totalità delle democrazie rappresentative e deriva dal principio del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo),
formulato da Edmund Burke già prima della Rivoluzione Francese nel suo Discorso
agli elettori di Bristol, tenuto il 3 novembre 1774, dopo la sua vittoria
elettorale in quella contea. In quel discorso, Burke propugnò la difesa dei
principi della democrazia rappresentativa contro l'idea, da lui considerata
distorta, secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli
interessi dei propri elettori: «Il parlamento non è un congresso di ambasciatori
di opposti ed ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come
agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un
solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida
interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale»
Bastano
queste poche parole a farci capire da dove derivi questo principio, ed in quale
contesto “idealistico” sia maturato. Poi c'è la realtà dei nostri giorni,
quella sotto i nostri occhi, in cui gli eletti spesso se ne infischiano del
loro mandato, occupandosi d'altro (specialmente tra i parlamentari europei)
oppure anticipano la fine di un mandato per assumerne un altro, passando con
disinvoltura, e magari per soldi da una aggregazione politica ad un'altra e tutto questo in un contesto, almeno in
Italia, ma non solo, dominato dai partiti politici che in realtà tendono a
condizionare pesantemente l'operato “senza vincoli” dei loro parlamentari, che
sono chiamati ad operare in nome di precisi interessi e non per il “bene generale”.
In
altre parole, questa assenza di vincolo di mandato appare il frutto di una
concezione idealistica del parlamentare, immaginato come missionario del bene
comune, privo di interessi personali e scelto a prescindere da questi, da una
popolazione attenta solo al bene comune e disinteressata a livello personale.
E' un mondo che non esiste, non è mai
esistito e mai esisterà.
La
politica nasce e si esprime come luogo della mediazione di interessi
convergenti e divergenti, in sostituzione del conflitto diversamente espresso
tra masse di cittadini.
La
pretesa che il parlamentare sia espressione di un interesse comune
generalizzato è assurda.
Il
parlamentare esprime, e così deve essere, precisi e dichiarati interessi,
espressi in una visione di organizzazione sociale che deve privilegiare i suoi
rappresentati senza scontentare troppo tutti gli altri. La mediazione tra
interessi contrapposti dei diversi gruppi parlamentari esprime poi la scelta
migliore possibile in quel momento.
La scelta del parlamentare da parte dei cittadini viene fatta affinchè questi
rappresenti gli specifici interessi di quei cittadini elettrori, che
conferiscono al parlamentare un mandato, cioè una autorizzazione ad agire per
loro conto, per un fine predeterminato, sulla base del quale il candidato si è
presentato ed è stato scelto.
Se così
non fosse, il mandato non sarebbe un “mandato” , venendo a mancarne i
presupposti , che sono quelli dell'azione in via sostitutiva per il
raggiungimento di uno scopo.
Quindi, se il mandato esiste, chi lo riceve non può essere “non” vincolato a
rispettarlo, oppure il mandato non esiste, ed allora non sussiste il vincolo.
Quindi il dettato costituzonale è contraddittorio in termini, assumendo
l'esistenza di un mandato che tuttavia non è tale.
Che poi questa norma derivi da ragioni storiche, come si è visto, non attenua
la contraddizione della norma.
Detto
questo, chiediamoci se è utile questa assenza di vincoli, se è vera ed
espressa, e come lo è, e se invece non sia funzionale agli interessi collettivi
globali di un paese una rappresentanza vincolata, come il Movimento 5 Stelle
suggerisce, e come accadeva negli stati socialisti dove era invece in vigore il
mandato imperativo, che assoggetta a vincolo il mandato rappresentativo dei
membri delle assemblee ai diversi livelli territoriali, fino al parlamento
nazionale, rendendone possibile la revoca da parte del partito comunista di
appartenenza, vero dominus
dell'iniziativa politica in tali sistemi.
Il
riferimento ai paesi del “socialismo reale” mette in evidenza come in questi
casi il mandato imperativo altro non fosse che una estensione del potere
centrale esercitato non da un organo elettivo (il Parlamento) ma da un organo
sostanzialmente monocratico, il Partito Comunista, esautorando di fatto il
ruolo dei rappresentatnti eletti in queste pseudo democrazie.
Questa
circostanza mette in bella evidenza il ruolo distorsivo del partito nei
confronti del mandatario della rappresentanza popolare, ruolo distorsivo
presente anche nelle democrazie occidentali, dove più dove meno, e secondo il
partito di appartenenza.
Questa
distorsione tuttavia è giustificata anche dal fatto che l'elettore sceglie più
il partito in sé che non il candidato parlamentare, e quindi l'attesa è che il
parlamentare si esprima come estensione del partito in Parlamento, anche se
formalmente non ha vincoli di mandato.
Il
risultato pratico è che i parlamentari sono fortemente condizionati ad agire in
sintonia col partito di appartenenza, salvo scostarsene con rotture clamorose,
in genere condannate dall'opinione pubblica, che le vede come “tradimenti”.
In
effetti molti parlamentari si trovano dove sono grazie al partito, perchè in
sua assenza sarebbero dei signor nessuno. Il dettato costituzionale però
consente loro di ribellarsi ; se non ci fosse non potrebbero farlo perchè il
loro mandato sarebbe imperativo.
Quindi,
visto che Partiti e Parlamento non esistono fine a se stessi, ma come
espressione di una necessità dei cittadini, in che modo i cittadini possono
meglio esprimersi per delega, cioè attraverso una democrazia rappresentativa ?
Se
guardiamo ai cittadini, questi esprimono dei bisogni che non possono soddisfare
direttamente, per cui hanno bisogno di una organizzazione collettiva che se ne
occupi. Non potendo partecipare tutti assieme alle organizzaazioni pubbliche ed
alle scelte, danno mandato ad alcuni tra loro affinchè operino nel loro
interesse.
Sin qui
il rapporto tra cittadini elettori e mandatari eletti è vincolante,
intrinsecamente.
Che
diritto ha il mandatario di violare il mandato ? Sarebbe come se un avvocato
pagato per difendermi in una causa fosse libero di allearsi con la parte
avversa.
Ma poi
c'è il partito : questo rappresenta un corpo intermedio tra cittadini elettori
e parlamentari eletti. La sua funzione è essenziale : consente di aggregare le
forze sociali ed esprimere le candidature. In assenza di un partito d'appoggio
nessun candidato avrebbe mai la forza per proporsi in solitaria all'elettorato.
Il partito però condiziona il candidato, al momento della sua elezione, ma
anche in seguito. Se il partito si sciogliesse dopo le elezioni, il candidato
eletto sarebbe libero da condizionamenti e dovrebbe esercitare il suo mandato,
vincolante. Invece il partito non si scioglie, ed il candidato eletto può,
almeno in teoria, agire liberamente, grazie al dettato costituzionale che non
lo vincola al suo mandato.
E
qui sta l'errore : l'assenza di vincolo non dovrebbe essere nei confronti del
suo mandato, ma del suo partito d'origine.
Infatti
il nodo da spezzare è questo : la dipendenza dell'eletto dal suo partito.
Il
dettato costituzionale dovrebbe recitare :
Ogni
membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza
vincolo di partito.
Una
sola parola cambierebbe tutto. Il parlamentare sarebbe vincolato verso i suoi
elettori, ma svincolato dal suo partito d'elezione.
Il
vincolo verso gli elettori lo obbligherebbe a non tradire la linea politica con
la quale si è proposto ed è stato eletto, lo obbligherebbe a condurre a
compimento il mandato affidatoli senza interromperlo e lo obbligherebbe ad
agire secondo coscienza, in nome e per conto di chi lo ha eletto. Se nel
frattempo la linea del suo partito d'origine dovesse mutare, non dovrebbe
mutare quella del parlamentare, anche se questo potrebbe significare che, alla
scadenza del suo mandato, potrebbe non venire rieletto nel medesimo partito.
Ottenere
questo implica cambiare radicalmente la FORMA dei partiti per come sono oggi.
Implica infatti distinguere tra il partito visto come terreno di coltura (con
la “o”) di una visione politica, luogo di incontro e dibattito tra quanti vi si
riconoscono, e candidati ad incarichi istituzionali, che si propongono
all'interno di questo ambiente politico con la loro personale visione e le loro
proposte, all'interno della visione generale che accomuna quanti si riconoscono
nel partito.
Implica
anche distinguere in maniera mutuamente esclusiva i ruoli interni del partito,
finalizzati al suo sviluppo culturale ed organizzativo, dalle candidature ad
incarichi istituzionali.
Implica
spezzare definitivamente il legame di potere tra partito ed istituzioni
attraverso i candidati eletti, fonte prima della corruzione che devasta la
politica attraverso le collusioni diffuse degli interessi più diversi e meno
trasparenti.
In
conclusione il tema della FORMA partito e del rispetto del mandato in assenza
di vincoli sono temi inscindibili tra loro, facendo parte di un unicum
strutturale.