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venerdì 22 aprile 2016

Incontri con i candidati Sindaco di Milano



In  vista delle prossime elezioni amministrative,  l’associazione culturale apartitica “Le Forme della Politica” (www.leformedellapolitica.it) , di cui faccio parte, ha proposto ai  candidati al ruolo di Sindaco un incontro con  i suoi associati e simpatizzanti, aperto a tutti i  cittadini interessati. Il calendario degli incontri è il seguente:



giovedì 28 aprile, dalle 18,45 alle 20,30 -       Gianluca Corrado - Movimento 5 Stelle


mercoledì 4 maggio, dalle 18,45 alle 20,30 -  Marco Cappato - Radicali Italiani  e

                                                                      -       Tiziano TUSSI - Partito Comunista


mercoledì 11 maggio, dalle 18,45 alle 20,30-  Giuseppe Sala -  Partito Democratico, Sinistra per Milano, Lista Sala

lunedì 16 maggio, dalle 18,45 alle 20,30 -       Stefano Parisi - Lega Nord, Forza Italia, Fratelli d'Italia, Area Popolare, Lista Parisi 

giovedì 26 maggio, dalle 18,45 alle 20,30 -     Basilio Rizzo - Milano in Comune.

Ciascun evento avrà luogo presso la Scuola civica Manzoni, Via Grazia Deledda 11 – Milano (MM  Loreto, Linee 1 e 2) .
I candidati risponderanno alle seguenti 10 domande preparate dal Gruppo di Coordinamento dell’associazione:
1 – Come vede Milano (Capoluogo e Città Metropolitana) fra 5 anni e quali passi intenderebbe fare per arrivarci?
 – Quali indicatori utilizzerebbe per valutare il raggiungimento dei suoi obiettivi?
2 – Quali modalità adotterebbe per favorire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali?
In particolare:
2.1. – come pensa che sia opportuno utilizzare il referendum deliberativo inserito nello Statuto del Comune?
2.2 – è disponibile ad attivare un sistema continuo e organico di collegamento con i cittadini per la presentazione e discussione di segnalazioni e proposte?
2.3– è favorevole a sperimentare il sorteggio di cittadini nella formazione (anche per quota parte) di organismi comunali consultivi o decisionali ( ad es. una commissione per il controllo degli appalti?)
3 – Quali progetti avvierebbe per rafforzare la capacità competitiva internazionale del Sistema Milano e le sue prospettive di sviluppo?
4 – Quali iniziative più utili e urgenti per migliorare il welfare nella Città Metropolitana?
5 – Quali sono le principali modifiche che attuerebbe nella struttura burocratica comunale?
6 – FdP ritiene opportuno evitare i doppi incarichi, in particolare ritiene opportuno evitare che chi ha incarichi nei Partiti  ne abbia negli Enti istituzionali, e viceversa. Lei cosa ne pensa? E una volta eletto Sindaco o Consigliere  Comunale, abbandonerebbe le cariche di partito eventualmente ricoperte?
7 – In caso di conflitto fra i Suoi interessi personali/professionali/imprenditoriali e l’eventuale ruolo politico assunto, sarebbe disponibile a risolverlo? Se si, come?
8 – Se fosse eletto Consigliere Comunale, come prenderà le decisioni di voto: in base a quanto ritiene di volta in volta più opportuno, a maggioranza insieme agli altri eletti della lista, oppure coinvolgendo i cittadini? Se sì, con quali strumenti e tempistiche?
9 – Quali interventi  ritiene opportuni per le scuole civiche milanesi ? 
10 - Quale iniziative pensa di intraprendere - in campagna elettorale e una volta eletto Sindaco o consigliere Comunale - a favore della trasparenza?

Verrà dato anche  un congruo spazio alle domande dei partecipanti che ne faranno richiesta.
Invito i lettori del blog interessati a uno o più incontri a partecipare, senza alcuna prenotazione.


lunedì 11 aprile 2016

La sfida



  di Sumaya Abdel Qader

La crescente complessità della nostra società ci mette di fronte a sfide sempre più grandi.
Certamente ci sono delle priorità a cui far fronte come il sostegno alle persone in difficoltà economica che sempre più cadono nella fascia della povertà, rispondere alle esigenze delle persone con disabilità e alle loro famiglie, affrontare la crisi umanitaria che da diversi anni è “ospite” in casa nostra, rispondere ai disagi e difficoltà dei giovani e così via in una lunga lista.
Nel mezzo di queste montagne di cose serie e importanti si nascondono piccole lotte quotidiane, storie anonime di chi ogni giorno cerca di vivere con dignità.
E se, come mi è stato richiesto, devo proprio scegliere una specifica sfida che ritengo prioritaria, che sia un tema, un ambito o un’idea precisa che non può essere lasciato indietro, allora scelgo l’interculturalità e la transculturalità e i giovani. Non dico multiculturalità perché è un dato di fatto, siamo una società plurale dalle mille sfumature. In questi anni si è fatto qualcosa ma non basta. Non bastano le rappresentanze istituzionalizzate. Non è sufficiente esprimere i buoni intenti e parlare di buone pratiche, è necessario applicare nella pratica quotidiana una più dinamica operazione di interazione tra parti sociali, cittadini, istituzioni ecc. e creare benessere inteso come essere un bene gli uni per gli altri.
Tra gli obiettivi principali a cui deve continuare aspirare questo nostro Forum del Welfare non può non esserci la tutela della dignità di ogni persona che vive nella nostra città.
Questo non può realizzarsi se non riconoscendo la pluralità insita ormai nel tessuto sociale, che richiede risposte specifiche, diverse.
Non ci conosciamo ancora abbastanza. Anzi, Affatto. E lo dimostra ogni avvenimento di cronaca che rimette in discussione ogni volta la compatibilità tra culture e la possibilità di convivenza.
Come facciamo a convivere se non ci si conosce e riconosce? O se si pensa di conoscersi tramite le dicerie che si diffondono in paese da qualche comare o “comaro”.
È necessario costruire ponti, che pensiamo di aver fatto a sufficienza, e invece no.
Molto interessanti sono le esperienze di social street e social district che si stanno sviluppando in varie zone della nostra città, vanno sostenute e valorizzate sicuramente. Io vengo da NoLo che sta crescendo frizzante e piena di idee potenzialmente un buono strumento di inclusione sociale e valorizzazione del territorio.
Detto ciò se vogliamo guardare al futuro non possiamo guardare solo lontano, ma dobbiamo avere anche uno sguardo più corto sul presente. Partendo dai giovani, i giovani sono la nostra scommessa più alta su cui puntare, proprio per andare anche in quella prospettiva interculturale e transculturale, che attenzione non vuol dire sincretismo senza capo ne coda ma coscienza di sé, rispetto e interazione con il prossimo, consapevolezza di una certa interdipendenza e necessità di un continuo flusso di scambio conoscitivo.
I GIOVANI, energia pulita su cui scommettere.
Non sono il futuro, come spesso si dice, ma sono il presente che costruirà il futuro. Sono l’investimento più importante o la mina più pericolosa.
Ai giovani bisogna, perciò, bisogna continuare a dare più spazi dove incontrarsi e conoscersi, giocare e crescere insieme; promuovere l’incontro nella diversità. Sogno una Milano che continui ad essere laboratorio di nuovi cittadini dove ci sia un continuo scambio di esperienze, incontro e valorizzazione delle diversità, dove si producano idee per la città.
E’ necessario riconoscere cittadini con pari dignità, non di serie A o Z.
E’ necessario coltivare menti libere da pregiudizi e stereotipi, per superare visioni “etnocentriche” e superare lo schema mentale dei “noi” e “l’altro” tipico dell’adultità;
è necessario valorizzare i talenti, spesso soffocati dal frenetico mondo dei “grandi” che spesso non si ferma, non guarda non ascolta;
è necessario trasformare ogni periferia in un centro, dove i giovani possano essere protagonisti e promotori di freschezza e rigenerazione vitale;
è necessario coltivare la cultura della legalità, dell’ottimismo e della responsabilità, applicare diritti già garantiti dalla nostra Costituzione, che come ricorda Gherardo Colombo, non è un suggerimento ma Legge.
Bisogna fare, non solo per rendicontare numeri e sfoggiare dati. Bisogna fare per garantire la nostra serena esistenza e coesistenza.
Milano in questi ultimi anni ha saputo immaginare e osare, ma non basta. La sfida continua.
La nostra deve essere e può essere una città aperta con una visione internazionale, dove restare, scommettere, investire e crescere.


venerdì 1 aprile 2016

L'Isis è solo la punta dell'iceberg



Maajid Nawaz è stato, come lui stesso  ha scritto in un articolo pubblicato alla fine dello scorso anno sul Wall Street Journal e citato da Il Foglio    per più di  un decennio uno dei leader di un gruppo islamista globale che promuoveva il ritorno al Califfato, anche se non attraverso il terrorismo”. Dopo essere stato condannato in Egitto a 5 anni di carcere ha iniziato a maturare una graduale deradicalizzazione. Oggi è fondatore e direttore di Quilliam, un’organizzazione di lotta all’estremismo con sede a Londra ed è autore del libro “Radical: My way out of Islamist radicalism”
Come si dice, è uno che sa di cosa parla.
Cito due parti del suo articolo mettendo in grassetto  sottolineato alcuni concetti chiave
“Dopo gli attacchi di Parigi, Papa Francesco ha dichiarato che ci troviamo nel mezzo di una guerra mondiale combattuta “a pezzi”. E’ più preciso dire che siamo di fronte a un’insurrezione jihadista globale. Lo Stato islamico è l’ultima incarnazione di questa insurrezione, ma era in preparazione da decenni, incoraggiata dai movimenti sociali islamisti che hanno riempito il vuoto lasciato dagli errori dei troppi governi a maggioranza musulmana. Caratterizzare lo Stato islamico come parte di un’insurrezione è importante poiché, come imparato dalla dura lezione del Vietnam, sconfiggere un’insurrezione, portata avanti con la guerriglia, è cosa diversa dal vincere una guerra convenzionale. La lotta alla guerriglia si basa sull’assunto che il nemico abbia sufficiente sostegno dalle comunità nelle quali recluta membri. Lo scopo delle strategie di controguerriglia è di negare al nemico alcuna vittoria propagandistica che possa fomentare il reclutamento. Gli insorti devono essere isolati dalle comunità ospitanti su cui vogliono far presa.  Questo richiede una combinazione di guerra psicologica, fisica ed economica  , tutte con lo scopo  di minare le capacità ideologiche, operative e finanziarie degli insorti. La parte fondamentale di tale strategia deve essere la formulazione del messaggio. Nel combattere lo Stato islamico dobbiamo evitare il linguaggio che esso usa per promuovere la propria visione del mondo e allo stesso tempo dobbiamo fornire una narrativa alternativa convincente. Solo così potremo contrastare l’abilità odierna degli islamisti e dei jihadisti nel fare presa sul pubblico musulmano.”
In merito al consenso ottenuto dalla propaganda islamista,  l’Autore afferma:
“Questa battaglia può essere vinta, ma non sarà facile. Negli ultimi anni, indagine dopo indagine, sono emerse tendenze preoccupanti nel Regno Unito. Secondo un sondaggio di febbraio condotto da ComRes per la Bbc, un quarto dei musulmani britannici simpatizzava con la sparatoria di Charlie Hebdo a Parigi. Un sondaggio del 2008 di YouGov ha riscontrato che un terzo degli studenti musulmani crede che uccidere per la propria religione possa essere giustificato e il 40 per cento vuole l’introduzione della Sharia come legge nel Regno Unito. Un altro sondaggio, condotto nel 2007 da Populus, ha evidenziato che il 36 per cento dei giovani musulmani britannici ritiene che gli apostati dovrebbero essere “puniti con la morte”.
In un recente articolo su Il Foglio viene citato il ministro belga di origine magrebina Rachid Madrane, che ha affermato in un’intervista al giornale La Libre: “ il peccato originale del Belgio consiste nell’aver consegnato le chiavi dell’Islam nel 1973 all’Arabia Saudita per assicurarci l’approvigionamento energetico”. Si tratta dell’accordo preso dall’allora Re Baldovino  con il re Feisal che ha fatto del Belgio la base europea del wahabismo, la versione più radicale dell’islam, attraverso il  CICB,  - Circolo Islamico  culturale del Belgio, che (cito dall’articolo) “ propugna una visione dell’Islam che si basa sul monoteismo assoluto , il divieto d’innovazione, il rigetto di tutto ciò che non è mussulmano, la scomunica dei miscredenti e la lotta armata “Jihad)
Il CICB ha dichiarato Bruxelles “la capitale degli infedeli”.  Su queste basi  non c’è da stupirsi dell’attacco terroristico che ha colpito questa città.
E’ evidente che la lotta all’ISIS deve iniziare in Europa, da  cui cittadini vengono eseguiti gli atti terroristici, e bisogna farla anzitutto  prosciugando il “brodo di coltura” in cui i terroristi si muovono a loro agio, come ha dimostrato la lunga latitanza di Salah Abdeslam. A questo scopo occorre partire da tre principi:
1 Smetterla di far finta di non vedere
In nome di un assurdo  multiculturalismo si è consentito alle comunità mussulmane inglesi di praticare atti  gravemente illegali e contrari ai valori occidentali come l’infibulazione e in Belgio  e Francia  di vivere in  zone franche, sottratte al controllo dello Stato.
In tali Paesi ed anche In Italia si è consentito, per molto tempo,  a diversi Iman di predicare impunemente l’odio contro l’occidente e i suoi costumi.
2 Difendere realmente i  nostri valori
La sciagurata vicenda delle statue coperte a Roma per non urtare la suscettibilità del Presidente Iraniano è la spia di una subordinazione culturale inaccettabile.
Il cedimento della Sindaca di Colonia, che ha invitato le donne a non uscire da sole dopo i fatti di capodanno, è stato ancora peggio.
La pretesa di far rimuovere, nelle scuole e in altri luoghi dell’Europa, i simboli e le pratiche della nostra tradizione religiosa, è un tentativo di sottomissione psicologica subdolo, da contrastare duramente.
3 Collaborare con le comunità mussulmane
A Milano recentemente un iman si è pronunciato contro l’uso delle biciclette da parte delle donne, il che ha fortunatamente  prodotto una reazione di  donne, mussulmane e non, che hanno organizzato una “biciclettata” collettiva nel centro della città. E’ un primo, incoraggiante segnale, che va coltivato per costruire insieme un contesto sociale aperto alle contaminazioni interculturali, ma rispettoso delle leggi e dei valori fondamentali dell’Europa.
Un altro elemento positivo  è la segnalazione di individui pericolosi, fatta dall’Iman di un’altra città, che ha portato all’espulsione di tali soggetti; il che indica che esiste anche una volontà di collaborazione con le autorità da parte di esponenti religiosi della comunità islamica.