Chi ha
assistito al recente, surreale confronto televisivo fra Marco Travaglio e
Matteo Renzi ha certamente notato l’imbarazzante postura del primo che, non
solo si rifiutava di guardare negli occhi il secondo, sfuggendone lo sguardo, ma stava seduto di fronte
a Lilli Gruber come se il suo interlocutore non esistesse, tanto che prima la
conduttrice lo ha invitato a rivolgersi a lui e poi lo stesso Renzi ha dovuto
agitare la mano e dire: “sono qui”. Col linguaggio del corpo Travaglio stava
affermando che lì accanto c’era il diavolo e lui non voleva aver nulla a che
fare con lui.
Considerando
che Travaglio è vicino al movimento di Grillo, anche se non gli fa mancare le
sue critiche, la scena descritta può
essere considerata una metafora delle difficoltà che il movimento ha sin dalle
sue origini e che gl’impediscono di fare il salto di qualità che occorre per
diventare forza di governo. La difficoltà sta nel fatto di ritenersi
intrinsecamente diversi e migliori degli avversari, siano essi le forze
politiche tradizionali oppure gli organi d’informazione e ciò si traduce in un
pericoloso furore ideologico che è, fra l’altro, la causa del giustizialismo insensato
e contradditorio con cui è stata affrontata la nomina degli assessori al Comune di Roma, di cui si è
parlato nel precedente post. Questo atteggiamento ha generato anche l’indecoroso
trattamento riservato al primo Sindaco che il Movimento ha avuto in una grande
città, cioè Parma: Pizzarotti è stato
sospeso dal Movimento a seguito di un’accusa di un esponente locale del PD
rivelatasi in sede giudiziaria, come era evidente fin dall’inizio,
assolutamente infondata ed oggi, a distanza di quasi un anno dal provvedimento,
è ancora in attesa di una risposta.
C’è un’
evidente analogia fra il comportamento di Travaglio verso Renzi e quello dei 5
Stelle verso Pizzarotti e cioè il mancato rispetto delle Istituzioni che gli
interlocutori da loro ignorati presiedono: il Governo italiano e la Città di
Parma. Non è con questi presupposti che i 5 Stelle possono aspirare a guidare
il Paese ( e che Travaglio può rendersi realmente credibile).
Non voglio
certo affermare, con quanto precede, che non ci sia alcuna diversità fra
il Movimento e le forze politiche
tradizionali. Una prima grande differenza è che finora nessun suo esponente è
stato preso “con le dita nella marmellata” della corruzione e delle tangenti e
questo non è poco anche se le ripetute bugie emerse dalla vicenda capitolina
sono un primo campanello d’allarme in merito all’integrità dei suoi adepti.
La seconda
grande differenza è che, sia pure con carenze, contraddizioni ed ingenuità, il M5S è l’unica forza che tenti,
attraverso la rete, di dare una voce reale al popolo che l’ autoreferenziale casta
dominante ha sostanzialmente espropriato della sovranità che gli compete. Oggi
ci si scontra ferocemente in merito alla riforma costituzionale e alla legge
elettorale nel tentativo delle forze politiche di appropriarsi del potere ma la
muta e ormai maggioritaria platea di chi si astiene dal voto è lì a ricordarci
che i sistemi rappresentativi sono essenzialmente oligarchici e perciò da tale
platea rifiutati.
La vera
sfida che partiti e movimenti devono affrontare è quella di ampliare gli
strumenti di democrazia diretta, tema sul quale tornerò più avanti, che è il terreno su cui si vincerà davvero la competizione politica in un futuro ormai
prossimo.