Già in
precedenti post ho fatto riferimento alle forme, cioè ai “contenitori”
all’interno dei quali si sviluppano gli accadimenti sociali e politici,
indicando che il rapporto fra le prime e i secondi, pur non essendo
deterministico, è di forte influenza. L’esempio più macroscopico che ho fatto è
quello delle “elezioni” : essendo
questa la forma che presiede alla scelta dei titolari di ruoli istituzionali,
non può che derivarne una classe di “eletti” cioè una casta, come la situazione
attuale, a livello mondiale, testimonia ampiamente. E come aveva affermato
oltre 200 anni fa Rousseau che, ne “Il Contratto sociale”,
scriveva:
“La sovranità non può essere
rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa
consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si
rappresenta: o è essa stessa o è diversa, non c'é una via di mezzo. I deputati del popolo non sono dunque, né
possono essere, i suoi rappresentanti, ma soltanto i suoi commissari: non
possono concludere nulla in maniera definitiva. Ogni legge che il popolo in
persona non abbia ratificata è nulla, non è una legge. Il popolo inglese
ritiene di esser libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante l'elezione
dei membri del parlamento. Appena questi sono eletti, esso è schiavo, non è
nulla."
Venendo al
nostro Governo, il Premier Gentiloni ha introdotto una forma, “il
rispetto”, applicata sia agli alleati che agli avversari, che mancava
totalmente al suo predecessore. Ciò ha
fatto tirare un respiro di sollievo a tutti gli attori politici ed ha prodotto,
in modo implicito, una seconda forma che potremmo definire “armistizio non dichiarato”, cioè una situazione in cui, pur non venendo
meno la polemica politica, questa si è abbassata di tono e tocca solo
ritualmente e arginalmente il Premier.
In questo
contesto è assai improbabile che il Governo cada, perché esso è una condizione
basilare affinché il clima politico
possa depurarsi dalle troppe tossine accumulate durante il periodo della “rottamazione”, una forma che ha
prodotto ingenti danni, all’interno e all’esterno del PD.
Ma vi sono
altri fattori: essendo venuta meno, per ragioni tecniche legate alle primarie
del PD e alle scadenze istituzionali che il Governo deve affrontare nei
prossimi mesi, la possibilità di elezioni a giugno, è ancor meno probabile che
esse avvengano a settembre per l’interesse preponderante della classe parlamentare a maturare, in quel mese, i vitalizi. Nel
periodo successivo, il dispiegarsi della propaganda dei 5 Stelle contro questo
privilegio, inviso ai cittadini, renderebbe assai rischioso, per la
maggioranza, esporsi al giudizio popolare.
Con l’avvicinarsi
della scadenza naturale della legislatura, a febbraio 2018, agirebbe poi un’altra forma “la stabilità”, di cui è garante il Presidente Mattarella, il quale
si opporrebbe a mandare il Paese alle urne poco prima del termine della
legislatura.
Ma non è
finita qui. Se le primarie del PD venissero vinte, a sorpresa ma non troppo, da
Orlando che condivide con Gentiloni la forma del rispetto e non vuole
candidarsi a guidare il Governo, l’attuale Premier avrebbe buone chance di
proseguire il suo incarico.
Se vincesse
Renzi, le chance sarebbero minori ma non nulle, perché , in un nuovo Parlamento
a base nettamente proporzionale, occorrerebbe al Governo una figura capace di
mediare e fare sintesi, profilo che corrisponde molto più a Gentiloni che a
Renzi.
Dato che
Renzi è intelligente e sembra aver imparato qualcosa dalla sconfitta del
referendum, non è escluso che sappia rinunciare a gestire in prima persona, per
un certo tempo, la difficile partita del dopo elezioni, ammesso che siano
positive per la sua parte politica. Ci sono momenti in cui i leader devono
dimostrare di possedere quella che gli psicologi chiamano “la capacità negativa”,
cioè l’attitudine ad astenersi, in attesa che si ricreino, nel contesto di
riferimento, le condizioni opportune per il rientro.