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giovedì 28 giugno 2018

Il male profondo che può annientare il Partito Democratico



Già dopo le elezioni del 4 marzo si è capito che le intenzioni dichiarate dai maggiorenti del PD, di analizzare le cause della sconfitta elettorale per rilanciarsi in termini più adeguati ai tempi, non avrebbero potuto realizzarsi perché questa forza è prigioniera di una forma patologica che può essere definita come permanenza e accumulo di errori non pienamente analizzati e compresi” e  che si manifesta  con la reiterazione di comportamenti inappropriati anche quando risulta evidente il loro carattere pernicioso.  Come tutte le forme anche questa ha un carattere oggettivo, i cui effetti sono verificabili e misurabili, ad esempio attraverso i risultati elettorali che, anche nelle recenti elezioni amministrative, hanno sanzionato pesantemente il PD per la sua clamorosa incapacità di mettersi in sintonia con l’ elettorato. Ma vi è anche una componente soggettiva, di carattere culturale, che può essere espressa con il termine freudiano di “coazione a ripetere”, cioè come una tendenza ossessiva a riproporre attività che un tempo erano soluzioni ed oggi sono solo problemi.
Cito alcuni di tali errori:
-          Il più antico e radicato, che proviene dalla tradizione comunista, è l’approccio fortemene ideologico, che pretende di imporre alla società una serie di valori, indipendentemente dal mutevole contesto di riferimento e che manifesta disprezzo per chi è di diverso avviso. La più recente e vistosa incarnazione di questa perversa logica è il modo moralistico, irrealistico e autolesionista con cui è stato affrontato il tema dell’immigrazione:  un’apertura indiscriminata a  flussi di grande dimensione in nome di principi di solidarietà  che, se non calibrati sulle reali possibilità di accoglienza, sono destinati a produrre forti tensioni sociali.

-          Un secondo aspetto, collegato al precedente,  è l’improprio  atteggiamento pedagogico” che caratterizza il rapporto con gli elettori, secondo il quale il compito della classe dirigente politica  sarebbe quello di insegnare al popolo cosa e come deve sentire e non quello, invece, di farsi attento ascoltatore dei problemi e dei bisogni reali delle persone in carne ed ossa. Questa totale insensibilità rispetto alle attese dei cittadini è stata la causa principale del crollo dei consensi, prima alle elezioni politiche e poi alle recenti amministrative. La caduta, in quest’ultima tornata, di alcune importanti e simboliche roccaforti rosse, come Siena, Pisa, Massa e il passaggio al centrodestra  della grande maggioranza dei capoluoghi di provincia interessati, è indicativa dell’ormai totale scollamento del PD dalla realtà del Paese. La situazione è stata ben inquadrata dall’ex sindaco di Pisa, del PD, il quale ha detto che gli elettori del suo comune hanno manifestato chiaramente , col loro voto, l’ntenzione di  di “rimandare a casa gli immigrati e chi ce li ha portati, cioè la sinistra”

-          Il terzo punto problematico è l’ acritica adesione al  movimento globalista,  diretto abilmente dai potentati economico finanziari transnazionali, che ha prodotto l’impoverimento di larghe fasce della popolazione, non limitate a quelle che tradizionalmente erano le classi popolari. Senza una forte revisione critica di questo errore strategico il PD non potrà riconquistare i consensi perduti perché esso è ormai percepito come il principale alleato dei poteri forti.

-          Un altro aspetto da considerare  è l’”europeismo di maniera”, fortemente declamato ma inconsistente, di cui questa forza politica si è fatta portatrice, senza avere la lucidità e la forza, anche quando è stata al governo del Paese, di opporsi ad una politica europea incapace di farsi carico dei problemi comuni, a partire da quello dell’immigrazione, che è stato scaricato quasi completamente sul nostro Paese. L’unica preoccupazione sembra quella di “non essere isolati in Europa”, che implica una posizione di sostanziale sottomissione alle esigenze altrui.

Molti esponenti del PD parlano in questi giorni di una profonda necessità di rinnovamento o anche di superamento della sua forma-partito. Che vi sia un ineludibile bisogno di cambiamento è certo, ma esso potrà avvenire solo se verranno sciolti i nodi indicati in precedenza, che attengono al modo con cui si è sviluppato nel tempo l’approccio  del partito democratico. Ma ciò non basterebbe se non venisse affrontato anche il principale nodo riguardante il futuro e cioè la visione della società verso cui è opportuno tendere. Ed è qui che il difetto di elaborazione politica del PD è più evidente, in quanto nessun suo esponente di spicco ha messo in dubbio che la nuova o rinnovata forza politica debba essere antisovranista, in quanto alternativa rispetto  alle forze politiche che oggi godono dei maggiori consensi e che governano il Paese sia a livello nazionale che locale. In realtà, dopo un trentennio di globalizzazione non governata , il futuro più probabile che si prospetta in Italia e in vaste aree  del mondo occidentale è quello di un “sovranismo ben temperato”, che non significa certo una chiusura aprioristica degli scambi di merci e di circolazione delle persone, ma l’affermazione del diritto e della necessità di gestire  fenomeni altamente complessi e interconnessi, che non possono essere lasciati unicamente alle forze egoistiche e irresponsabili dei mercati, che tanti danni hanno già prodotto.
Si tratta insomma di riconoscere due punti basilari:
-          che è la politica e non l’economia o la finanza a dovere e poter guidare le relazioni internazionali
-          che la politica si esercita negli stati nazionali o nelle comunità di stati che ritengono possibile cedere quote di sovranità nazionale.
Visto che l’Europa, pur con le attuali difficoltà, è la comunità di Stati più avanzata del pianeta, è prevedibile che possa diventare protagonista di un sovranismo continentale, al quale potrebbe ispirarsi un soggetto politico alternativo a  Lega e Cinque Stelle. Insistere invece con l’antisovranismo, come sembrano orientati a fare i maggiorenti del PD, potrebbe portarli ancora una volta fuori strada, lontani dal cuore e dalla mente degli elettori.

lunedì 4 giugno 2018

Urge cambiare alcune forme della politica





La positiva conclusione della più lunga e atipica trattativa post elettorale nella storia repubblicana non può limitarsi a produrre un “respiro di sollievo” per lo scampato pericolo connesso alle reazioni negative dei mercati e dei partner stranieri, ma deve essere l’occasione per una seria riflessione su cosa non funziona nel nostro sistema politico e su come è possibile rimediarvi.
A questo fine è utile ricorrere al concetto di “forma  che è oggetto di studio nell’Associazione “ Le forme della politica” di cui faccio parte. Mentre nel linguaggio comune questo termine indica gli aspetti esteriori delle cose o quelli meramente procedurali ed è visto come subordinato rispetto alla sostanza delle stesse,  ne proponiamo un senso assai più incisivo di  contenitore attivo e oggettivo delle dinamiche politiche, capace di influenzarle sensibilmente anche se non vi è un rapporto deterministico di causa- effetto fra i due aspetti , Le forme sono, in questa accezione, un fattore significativo  del comportamento degli attori politici, che interagisce con le loro preferenze e strategie e contribuisce a stabilire la sostanza della politica.
Contenitore significa che le forme separano e delimitano i comportamenti possibili degli attori: ad esempio, in una forma elettorale proporzionale, quale è sostanzialmente il “Rosatellm” con cui si è votato il 4 marzo, nessuna forza politica ottiene di norma un numero di voti sufficiente a potersi considerare un “pieno vincitore”, ma si possono presentare dei “mezzi vincitori” , quali sono stati il M5S e la Lega, che devono necessariamente arrivare ad un ragionevole compromesso. Il fatto, già accennato nel precedente post,  che queste forze abbiano ritenuto di comportarsi come se potessero dettare autonomamente le condizioni per la formazione del governo è stato un grave errore derivante dal non aver capito i limiti inderogabili conseguenti all’agire all’interno  della predetta forma.. Un altro errore è stato l’aver ipotizzato il Presidente del Comsiglio come un puro esecutore del “contratto di governo”, mentre la Costituzione gli affida un compito di indirizzo e coordinamento dei Ministri. Solo quando il traguardo sembrava definitivamente sfumato si è trovata, grazie all’instancabile, paziente e determinata opera di “moral suasion” del Capo dello Stato, una soluzione capace di superare le impuntature che la precludevano.
Attivo vuol dire che, in una certa misura, il contenitore plasma il contenuto, ma ne può anche essere plasmato. Ad esempio, il varo di una nuova legge elettorale può creare  una forma con opportunità e limiti del tutto diversi dai precedenti. Il problema è che spesso l’ arzigogolata ingegneria elettorale studiata a tavolino può ottenere effetti esattamente opposti a quelli voluti: il Rosatellum doveva mettere in difficoltà i pentastellati ma in realtà li ha favoriti. Questo difetto si accentua quando i promotori del cambiamento legislativo usano forzature, come i voti di fiducia, per realizzarlo. Ciò può produrre un’imprevista reazione degli elettori.
Oggettivo implica che le forme non hanno nulla a che vedere con le intenzioni soggettive degli attori coinvolti , ma solo con i fatti che realmente si verificano e  che sono misurabili.
I risultati complessivi di date forme spesso dipendono da fattori totalmente al di fuori del controllo dei loro promotori. In Italia il principale di questi fattori è la marcatissima “fluidità elettorale”: gli spostamenti di voti che si sono avuti nel 2013 a favore dei % Stelle e, nel 2018, anche della Lega, sono inusuali in altre realtà e sono probabilmente dovuti al maggiore disagio sofferti dall’Italia a seguito della crisi  finanziaria, poi diventata economica e sociale, iniziata nel 2008 e non ancora conclusa.
La legge elettorale, così come le forme di governo ( parlamentare o presidenziale) somo buoni esempi  di “forme istituzionali” cioè codificate attraverso disposizioni legislative o regolamentari. Ma esistono anche “forme relazionali” che nascono dalla dinamica delle forze politiche, soprattutto quando quelle istituzionali non ci sono o non funzionano. Un esempio di questo tipo è il perverso  “’intreccio fra partiti e istituzioni”, presente fin dall’inizio della storia repubblicana  in quanto i padri costituenti, al fine di prevenire la possibile ricostruzione di forze politiche centralistiche ed autocratiche come il disciolto partito fascista, si sono ben guardati dal porre limiti all’azione dei primi.  L’art. 49 della Costituzione si limita infatti  ad affermare “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, ma nulla dice del  rapporto fra partiti e istituzioni, il che ha portato i primi a identificarsi con le seconde e, di fatto ad occuparle e a sostituirsi ad esse nelle decisioni  politiche. Il fatto che i decisori veri si trovino fuori delle istituzioni esisteva anche in passato ma oggi è più visibile per il ruolo che hanno figure come Berlusconi, Renzi, Grillo e Casaleggio padre e figlio, che hanno agito, temporaneamente o sempre fuori dal parlamento.Nel corso delle trattative seguenti  le elezioni del 4 marzo si sono viste chiaramente le conseguenze estreme di questa forma patologica:  esponenti di partito che pretendevano di dare dei diktat al Presidente della Repubblica e che addirittura lo hanno minacciato di “impeachement”, col rischio di delegittimare la massima istituzione del Paese e di eliminate la maggiore forma di garanzia del confronto politico.
Emblematica  di un modo improprio di concepire il rapporto fra forze politiche  e istituzioni è anche la recente frase di Luigi Di Maio  rivolta in piazza ai propri sostenitori  : “basta protestare, ora lo Stato siamo noi”.
In realtà le forze politiche dovrebbero essere i “soggetti  intermedi” che raccolgono, sintetizzano e organizzano le istanze di segmenti della società e li portano alle istituzioni (Parlamento e Governo) per le opportune decisioni. Gli esponenti politici, una volta inseriti nelle istituzioni, dovrebbero  allentare i rapporti con le forze di provenienza  e immedesimarsi nella ricerca del bene comune . Non dovrebbe essere ammessa un’altra forma patologica, che è un caso particolare della precedente, e cioè  la “contemporanera copertura di ruoli apicali in partiti e istituzioni” ( ad esempio: segretario di partito e ministro), che viene praticata nel nostro sistema politico, e non solo in esso, come se fosse normale, mentre è la negazione della necessaria distinzione dei ruoli. Emblematico, a questo riguardo è il comportamento di Salvini che il giorno dopo aver giurato come membro del governo. si è presentato in una regione per fare propaganda di partito.  Peraltro analoga scorrettezza vi era stata nella precedente legislatura  quando Il Presidente del Senato Grasso e la Presidente della Camera Boldrini avevano  iniziato la campagna elettorale per il loro nuovo partito quando ancora ricoprivano il ruolo istituzionale.
Le due forze politiche che hanno espresso il nuovo governo dovrebbero  ragionare a fondo sulla grave crisi istituzionale che si è sfiorata nei tre mesi di trattative e, se sono davvero fautrici del cambiamento, agire per impedire che  situazioni del genere si ripresentino. Altrettanto dovrebbero fare quelle d i opposizione che, dovendo ricostruire integralmente la propria forma partito, per non rischiare l’estinzione, dovrebbero fare  della chiara distinzione dei ruoli un elemento qualificante della loro  rinnovata offerta politica.