La BCE ha messo a disposizione delle banche europee circa 500 miliardi di euro al tasso dell'1% e con scadenza medio lunga per fornirle di liquidità sufficiente a far superare il "credit crunch", cioè il taglio netto dei crediti a famiglie e imprese, che si è già ampiamente manifestato in tutta la zona euro.
Un secondo obiettivo, non dichiarato ma implicito, è quello di indurre le banche ad acquistare titoli di stato dei Paesi in difficoltà per ridurre i tassi d'interesse che gli stessi devono pagare sul debito e lo spread con i bund tedeschi.
E' la più grande manovra finanziaria mai messa in atto nel nostro continente e testimonia, da un lato, la gravità della crisi e, dall'altra il difficile tentativo che la BCE sta attuando di mantenere fermo il suo ruolo primario di garante della stabilità dei prezzi e del valore della moneta unica, che non le consente di finanziare direttamente gli stati, cercando nel contempo di ricreare la fiducia dei mercati nei confronti delle economie della zona euro, attraverso appunto un forte sostegno al sistema finanziario.
La posizione che i mercati hanno assunto a fronte di questa maxi manovra è mista, in quanto le borse hanno reagito in modo cautamente positivo, mentre gli spread obbligazionari hanno continuato a mantenersi molto elevati. Il punto critico sta proprio nella risposta che le banche europee daranno agli stimoli della BCE: c'è infatti il rischio che le stesse possano "parcheggiare" la liquidità ricevuta nella stessa BCE anzichè destinarla a dare credito o ad acquistare titoli di stato, in attesa di maggiori chiarimenti da parte dei mercati. Questo comportamento attendista sarebbe, in certa misura, comprensibile perchè le banche sono già oberate da molti crediti inesigibili e da un attivo pieno di titoli di dubbio valore, ma esso potrebbe dar luogo a un circolo vizioso: i mercati tengono alti gli spread per stimolare le autorità monetarie e gli stati ad agire in modo risoluto, con ciò aumentando la riluttanza delle banche a comprare obbligazioni ad alto rischio/rendimento. La prudenza delle banche, a sua volta, alimenterebbe la sfiducia dei mercati.
Il crinale su cui si sta muovendo la BCE è quindi molto stretto anche perchè al suo interno non vi è concordanza di vedute, come dimostra il dibattito a distanza fra il consigliere italiano Bini Smaghi e il capo economista Jurgen Stark: il primo, in una recente intervista al Financial Times, si è detto a favore di misure di "quantitative easing" , anche attraverso l'emissione di eurobond, il secondo ha confermato l'orientamento tedesco a non snaturare il ruolo della BCE e, implicitamente, il rifiuto della Germania di accollarsi i costi derivanti dai debiti eccessivi degli altri stati.
Il Presidente Draghi deve muoversi fra queste diverse istanze. A mio avviso, come ho già affermato in precedenti post, fa molto bene a dimostrarsi "più tedesco dei tedeschi", evitando di cedere alla pressioni di chi vorrebbe una BCE a immagine della Federal Reserve americana. Molta importanza nella riuscita della manovrà avrà l'opera di "moral suasion" che la Banca Centrale dovrà discretamente esercitare sul sistema bancario dei vari Paesi. ricordando in particolare ai Paese più forti ( o apparentemente più forti ), che il potenziale tracollo di quelli deboli segnerebbe la fine delle loro banche, che sarebbero travolte dalle svalutazioni degli attivi e andrebbero in sicura bancarotta.
Un altro aspetto importante della partita in gioco è quello della ricapitalizzazione delle banche, richiesta dall'EBA, l'autorità finanziaria europea, diretta dall'italiano Andrea Enria. Questa richiesta ha suscitato vivaci reazioni, soprattutto dal sistema bancario del nostro Paese, che ritiene i requisiti richiesti penalizzanti per le nostre banche. Tuttavia ritengo che non solo la richiesta sia opportuna, fatti salvi eventuali aggiustamenti per ridurre possibili distorsioni, ma che la stessa, nel medio termine, sia insufficiente. Infatti, negli anni delle "vacche grasse" le banche si erano abituate a ridurre al minimo il capitale per esaltare i risultati, misurati principalmente in termini di ROE, cioè di ritorno sul capitale proprio: meno capitale voleva dire, migliori risultati e, soprattutto, maggiori incentivi e stock options per i manager di vertice. Ciò portava il sistema manageriale a correre sempre maggiori rischi per ottenere maggiori benefit.
Nel mondo che ci attende nei prossimi anni, in cui la prudenza gestionale sarà vincente sulla spericolatezza, i requisiti di capitale attualmente richiesti dall'EBA, intorno al 9% degli attivi, dovranno essere accresciuti per rendere realmente solido il sistema creditizio, impedire nuovi disastri finanziari e avere una redditivà delle banche più compatibile con la logica economica e con il buon senso: i ROE superiori al 20%, talvolta vicini al 30%, che varie banche europee esibivano verso la metà dello scorso decennio erano, infatti, pura follia.
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Colgo l'occasione di questo post per fare a tutti i lettori del blog i migliori auguri per le Feste e il Nuovo Anno che, se tutti terranno la testa sul collo, potrebbe contribuire a superare la crisi e a preparare un futuro più equilibrato e sostenibile.
Invito coloro che fossero interessati a dialogare con me e con altri lettori, a farsi vivi con loro opinioni, inseribili nel blog cliccando sulla parola "commenti", che si trova immdiatamente sotto ciascun post ,oppure inviandomeli via mail. Li pubblicherò firmando il contributo con il solo nome del suo autore, salve diverse indicazioni.
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sabato 24 dicembre 2011
sabato 10 dicembre 2011
Vertice europeo: ha vinto la Merkel, cioè l'Europa
Come avevo segnalato nel post precedente, la posizione della Merkel per affrontare la crisi ( creare un'unione economica europea a livello dei saldi di bilancio, istituire regole forti per sanzionare i paesi iandempienti, rinviare gli eurobond a dopo la realizzazione dei punti precedenti) era la ricetta giusta.
Il fatto che questa ricetta sia stata pienamente adottata dal vertice europeo di Cannes è quindi una vittoria per l'Europa e per chi ritiene necessaria una maggiore integrazione dei Paesi che la compongono.
Questa vittoria è stata confermata e amplificata dalla rinuncia della Gran Bretagna a partecipare al processo d'integrazione alle predette condizioni. La richiesta di Londra di esentare il proprio sistema finanziario dalle regole di trasparenza e di mantenere il principio dell'unanimità, che le avrebbe dato il potere di veto sui singoli provvedimenti, era irricevibile ed è stata giustamente respinta. Aver liberato l'unione Europea da questo fardello è fondamentale per poter procedere nella direzione di un'entità europea politica e non solo monetaria.
Come ha detto Prodi, che da ex Presidente della Commissione Europea se ne intende, in un'intervista al TG 3, la Gran Bretagna ha sempre scientificamente tentato d'impedire l'avanzamento della costruzione europea. Senza questo ostacolo la prospettiva di unione economica si avvicina fortemente.
Come ho avuto modo di evidenziare in precedenti post, la City londinese è, insieme a Wall Street , l'ideatrice di quella "finanza creativa" che ha trasformato la Gran Bretagna da potenza industriale, ormai fortemente ridimensionata, a potenza finanziaria. E' quindi comprensibile che vi sia una difesa della maggiore fonte di benessere di questo Paese. Quel tipo di finanza, però, ha creato degli autentici mostri: dai mutui subprime ai derivati (definiti da Warren Buffet, il maggior investitore mondiale "armi di distruzione di massa"), ai prodotti finanziari che impacchettavano titoli "spazzatura" e che erano venduti, con la complicitàà delle agenzie di rating, con la massima valutazione di solvibilità (tripla A).
Gli squilibri sistemici attualmente esistenti nella finanza globale a causa di tali pratiche spericolate e rapaci non sono stati minimamente affrontati e saranno il terreno su cui si giocherà in futuro lo scontro fra le grandi potenze economiche. La crisi europea dei debiti pubblici ha per il momento oscurato questo tema che verrà però alla ribalta quando tale crisi sarà avviata definitivamente a soluzione. In tale scontro la Gran Bretagna probabilmente non sarà dalla parte dell'Europa.
Chi solleva critiche alle scelte fatte a Cannes ( ad esempio Mario Deaglio su La Stampa di oggi 10 dicembre nel suo editoriale intitolato evocativamente "La camicia di forza") sostiene che la "ricetta Merkel" sia troppo rigida nell'imporre disciplina agli stati membri con il rischio di accentuare le tendenze depressive già in atto nelle economie europee e che ciò potrebbe avere serie implicazuioni sociali. Io non condivido affatto questa posizione perchè ritengo che siamo di fronte ad un cambiamento epocale, che comporta alti rischi ma potrebbe portare immensi benefici al nostro continente, consentendogli di acquisire uno status e una stabilità in precedenza ignoti. Per fare questo è necessario non essere spaventati dalla recessione: una riduzione dei consumi a favore di un aumento degli investimenti è indispensabile nei prossimi anni. Come dicono gli anglosassoni "non esistono pasti gratis": la recessione non è una iattura ma uno strumento, certamente doloroso ma necessario, per riportare in equilibrio sistemi economici che hanno troppo a lungo vissuto al di sopra dei propri mezzi.
La cosiddetta "rigidezza"c della Merkel è ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno e che, alla fine di un difficile percorso, ci salverà.
Venendo ora alle iniziative volte a ricreare la fiducia dei mercati l'Italia, con la dura manovra messa a punto dall'attuale governo ," ha fatto la sua parte", come ha giustamente dichiarato il Presidente del Consiglio., che ha osservato peraltro come la manovra sarebbe stata migliore, sul piano dell'equità e della crescita, se vi fosse stato un tempo e strumenti più adeguati per confezionarla. Anche il Presidente Napolitano ha rimarcato che questa manovra è solo "il primo passo" cui altri dovranno seguire per raggiungere una migliore distribuzione degli oneri e per evitare che l'impatto recessivo della manovra impedisca di riavviare il percorso di sviluppo dell'economia nazionale.
Circa le reazioni alla manovra, mi ha colpito il fatto che, per una volta, i politici sono più avanti dei cittadini: i primi, infatti, pur mugugnando (faccio riferimento ai partiti che sostengono il governo) hanno perfettamente capito che la manovra era inevitabile e non mancheranno certamente di approvarla. I secondi invece protestando per la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa ( un sondaggio di Mannheimer ha messo in evidenza la contrarietà della grande maggioranza degli italiani a questo provvedimento) hanno manifestato non solo il legittimo e comprensibile dispiacere a rinunciare al "regalo elettorale" fatto loro dal precedente governo, ma sembrano non capire che tale regalo era del tutto inconmpatibile con lo stato delle finanze pubbliche e non poteva assolutamente essere confermato. In tutti i Paesi europei, anche in quelli in condizioni assai migliori delle nostre, tale imposta viene pagata. Si potrà dire che i politici hanno potuto ingoiare più facilmente l'amara pillola della manovra perchè i loro privilegi sono stati solo minimamente toccati. Ma non va comunque sottovalutato il senso di responsabilità che le forze politiche hanno dimostrato in questa drammativa circostanza e che potrebbe avere positive conseguenze sull'evoluzione del nostro quadro politico, una volta superata la fase dell'emergenza. Pierferdinando Casini ha acutamente osservato in una recente intervista al Corriere della Sera che la forzata collaborazione imposta dalla crisi alle maggiori forze politiche è destinata a modificare profondamente il sistema delle future alleanze: non nel senso di portare alle "ammucchiate" ma di rivedere i confini storici delle alleanze tradizionali per produrre coalizioni capaci di affrontare realmente e non rinviare le sfide non facili che ci attendono nei prossimi anni. L'atteggiamento che le forze politiche terranno verso il governo Monti sarà il fattore discriminante fra le forze in gioco.
Il fatto che questa ricetta sia stata pienamente adottata dal vertice europeo di Cannes è quindi una vittoria per l'Europa e per chi ritiene necessaria una maggiore integrazione dei Paesi che la compongono.
Questa vittoria è stata confermata e amplificata dalla rinuncia della Gran Bretagna a partecipare al processo d'integrazione alle predette condizioni. La richiesta di Londra di esentare il proprio sistema finanziario dalle regole di trasparenza e di mantenere il principio dell'unanimità, che le avrebbe dato il potere di veto sui singoli provvedimenti, era irricevibile ed è stata giustamente respinta. Aver liberato l'unione Europea da questo fardello è fondamentale per poter procedere nella direzione di un'entità europea politica e non solo monetaria.
Come ha detto Prodi, che da ex Presidente della Commissione Europea se ne intende, in un'intervista al TG 3, la Gran Bretagna ha sempre scientificamente tentato d'impedire l'avanzamento della costruzione europea. Senza questo ostacolo la prospettiva di unione economica si avvicina fortemente.
Come ho avuto modo di evidenziare in precedenti post, la City londinese è, insieme a Wall Street , l'ideatrice di quella "finanza creativa" che ha trasformato la Gran Bretagna da potenza industriale, ormai fortemente ridimensionata, a potenza finanziaria. E' quindi comprensibile che vi sia una difesa della maggiore fonte di benessere di questo Paese. Quel tipo di finanza, però, ha creato degli autentici mostri: dai mutui subprime ai derivati (definiti da Warren Buffet, il maggior investitore mondiale "armi di distruzione di massa"), ai prodotti finanziari che impacchettavano titoli "spazzatura" e che erano venduti, con la complicitàà delle agenzie di rating, con la massima valutazione di solvibilità (tripla A).
Gli squilibri sistemici attualmente esistenti nella finanza globale a causa di tali pratiche spericolate e rapaci non sono stati minimamente affrontati e saranno il terreno su cui si giocherà in futuro lo scontro fra le grandi potenze economiche. La crisi europea dei debiti pubblici ha per il momento oscurato questo tema che verrà però alla ribalta quando tale crisi sarà avviata definitivamente a soluzione. In tale scontro la Gran Bretagna probabilmente non sarà dalla parte dell'Europa.
Chi solleva critiche alle scelte fatte a Cannes ( ad esempio Mario Deaglio su La Stampa di oggi 10 dicembre nel suo editoriale intitolato evocativamente "La camicia di forza") sostiene che la "ricetta Merkel" sia troppo rigida nell'imporre disciplina agli stati membri con il rischio di accentuare le tendenze depressive già in atto nelle economie europee e che ciò potrebbe avere serie implicazuioni sociali. Io non condivido affatto questa posizione perchè ritengo che siamo di fronte ad un cambiamento epocale, che comporta alti rischi ma potrebbe portare immensi benefici al nostro continente, consentendogli di acquisire uno status e una stabilità in precedenza ignoti. Per fare questo è necessario non essere spaventati dalla recessione: una riduzione dei consumi a favore di un aumento degli investimenti è indispensabile nei prossimi anni. Come dicono gli anglosassoni "non esistono pasti gratis": la recessione non è una iattura ma uno strumento, certamente doloroso ma necessario, per riportare in equilibrio sistemi economici che hanno troppo a lungo vissuto al di sopra dei propri mezzi.
La cosiddetta "rigidezza"c della Merkel è ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno e che, alla fine di un difficile percorso, ci salverà.
Venendo ora alle iniziative volte a ricreare la fiducia dei mercati l'Italia, con la dura manovra messa a punto dall'attuale governo ," ha fatto la sua parte", come ha giustamente dichiarato il Presidente del Consiglio., che ha osservato peraltro come la manovra sarebbe stata migliore, sul piano dell'equità e della crescita, se vi fosse stato un tempo e strumenti più adeguati per confezionarla. Anche il Presidente Napolitano ha rimarcato che questa manovra è solo "il primo passo" cui altri dovranno seguire per raggiungere una migliore distribuzione degli oneri e per evitare che l'impatto recessivo della manovra impedisca di riavviare il percorso di sviluppo dell'economia nazionale.
Circa le reazioni alla manovra, mi ha colpito il fatto che, per una volta, i politici sono più avanti dei cittadini: i primi, infatti, pur mugugnando (faccio riferimento ai partiti che sostengono il governo) hanno perfettamente capito che la manovra era inevitabile e non mancheranno certamente di approvarla. I secondi invece protestando per la reintroduzione dell'ICI sulla prima casa ( un sondaggio di Mannheimer ha messo in evidenza la contrarietà della grande maggioranza degli italiani a questo provvedimento) hanno manifestato non solo il legittimo e comprensibile dispiacere a rinunciare al "regalo elettorale" fatto loro dal precedente governo, ma sembrano non capire che tale regalo era del tutto inconmpatibile con lo stato delle finanze pubbliche e non poteva assolutamente essere confermato. In tutti i Paesi europei, anche in quelli in condizioni assai migliori delle nostre, tale imposta viene pagata. Si potrà dire che i politici hanno potuto ingoiare più facilmente l'amara pillola della manovra perchè i loro privilegi sono stati solo minimamente toccati. Ma non va comunque sottovalutato il senso di responsabilità che le forze politiche hanno dimostrato in questa drammativa circostanza e che potrebbe avere positive conseguenze sull'evoluzione del nostro quadro politico, una volta superata la fase dell'emergenza. Pierferdinando Casini ha acutamente osservato in una recente intervista al Corriere della Sera che la forzata collaborazione imposta dalla crisi alle maggiori forze politiche è destinata a modificare profondamente il sistema delle future alleanze: non nel senso di portare alle "ammucchiate" ma di rivedere i confini storici delle alleanze tradizionali per produrre coalizioni capaci di affrontare realmente e non rinviare le sfide non facili che ci attendono nei prossimi anni. L'atteggiamento che le forze politiche terranno verso il governo Monti sarà il fattore discriminante fra le forze in gioco.
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