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domenica 29 settembre 2013

Forza Italia: siamo al "redde rationem"

Avevo sostenuto, nel mio precedente post, che Berlusconi non aveva alcuna possibilità di far cadere il Governo. Tale previsione sembra smentita dalle mosse recenti del Cavaliere, ma non è ancora detta l’ultima parola.
L’improvvisa spallata al Governo ordinata da Berlusconi e la puntuale, anche se per alcuni sofferta, ubbidienza dei suoi ministri,  conferma per l’ennesima volta l’anomalia di un partito, Forza Italia,  che funziona come un’azienda: il capo dispone  e gli altri, volenti o nolenti, si adeguano. I ministri non sono neppure stati consultati sulla decisione ed anche i più stretti consiglieri di Berlusconi, come Gianni Letta, sono stati esclusi. Hanno invece imperversato i falchi Santanchè, Verdini e Ghedini.
Al di là dell’assurdità di una decisione del capo che, come ho segnalato nel mio precedente post, va contro i  suoi stessi interessi e quelli delle sue imprese (tanto che anche sua figlia Marina era contraria a questa accelerazione), il vero nodo per i dirigenti di Forza Italia è se possono ancora  continuare in un rapporto col leader che non ha nulla di democratico, che li umilia e li espone al ridicolo e che  alla fine li porterebbe alla rovina.
Finora solo due voci si sono espresse in chiaro dissenso da Berlusconi: Cicchitto che ha opportunamente  dichiarato “ Una decisione così rilevante avrebbe richiesto una discussione approfondita e avrebbe dovuta essere presa dall’Ufficio di Presidenza del PDL e del gruppi parlamentari” e Alberto Giorgetti, Sottosegretario al Tesoro, che ha detto “Contesto il metodo usato per i ministri, non lascio da deputato”: Sono probabilmente le avvisaglie di  un diverso agire della fronda interna al partito che esiste da tempo ma che ha paura di uscire allo scoperto.
Ora siamo arrivati al “redde rationem”: coloro che, in Forza Italia, hanno svolto un ruolo moderato, tendente a salvaguardare gli interessi del Paese e non solo quelli personali del leader, hanno un’occasione storica e probabilmente irripetibile, di dimostrare di avere una statura politica adeguata alle sfide drammatiche che l’Italia sta affrontando: quella di non far mancare la fiducia al Governo Letta o al successivo “governo di scopo” che si cercherà di varare se il precedente dovrà concludere la sua esperienza.
Essendo impossibile un ricorso a breve alle urne, dovrà mettersi in moto un esecutivo in grado di fare tre cose:  il patto di stabilità, la revisione della legge elettorale e la guida italiana della comunità europea nel secondo semestre 2014. Dopo tali adempimenti, assolutamente irrinunciabili, si potrà dare voce agli elettori che, rimessi in condizione di scegliere i propri rappresentanti, potranno esprimere un giudizio su chi avuto responsabilità nella guida del Paese.
E’ chiaro che la pesante incertezza in cui si troverà il Paese nelle prossime settimane potrebbe essere mal digerita dai nostri partner e dai mercati, con pesanti implicazioni sullo spread e  sui conti pubblici. Ma già il 4 ottobre, con la verifica che si farà in Parlamento e le decisioni della giunta sulla decadenza di Berlusconi potrebbero risolvere la questione e avviare il nostro Paese, sia pure faticosamente, verso un cammino di normalità.

domenica 22 settembre 2013

Letta e Renzi: coppia vincente


La maggior parte dei commentatori politici descrive Letta come stretto fra l’incudine di Berlusconi, che potrebbe in qualsiasi momento mandare a casa il suo governo e il martello di Renzi, che scalpita per capitalizzare il suo crescente consenso e mira alla premiership.
A mio avviso le cose non stanno esattamente così. Berlusconi infatti non ha alcuna possibilità di far cadere il governo per molti motivi: Napolitano non  concederebbe il ritorno alle urne, almeno non prima che sia stata approvata la legge di stabilità e cambiato il “porcellum”, i mercati e gli elettori reagirebbero assai negativamente ad una ulteriore fase di instabilità e  Forza Italia, che è in fase di ridefinizione, potrebbe subire un tracollo elettorale quando venisse il momento del voto, le sue aziende soffrirebbero moltissimo soprattutto per il calo della raccolta pubblicitaria conseguente ad una mancato rilancio economico del Paese, l’uscita del centrodestra dal Governo renderebbe ancora più difficile per Berlusconi gestire la sua complessa vicenda giudiziaria.
Renzi mira certamente alla premiership ma si rende perfettamente conto che anche lui non ha alcuna convenienza ad andare troppo presto alle urne perché si troverebbe a gestire, se andasse al governo, una situazione non facilmente controllabile. C’è però una ragione di fondo molto più potente che indurrà Renzi alla cautela ed è  la presenza ormai consolidata all’interno del PD di una caratteristica della lotta politica che era tipica non del vecchio PC, basato sul centralismo democratico,  ma dell’altrettanto vecchia DC, che Renzi ben conosce provenendo dalle fila del Partito Popolare, che della DC era l’erede. Intendo qui riferirmi alla formazione di correnti di minoranza, non forti abbastanza da prendere il controllo del partito, ma in grado di condizionarne fortemente le scelte e di ribaltare, alleandosi con gli scontenti della maggioranza, gli equilibri interni del partito,  imponendo cambi frequenti di segreterie e di Governo. La più eclatante evidenza di questa tendenza è stata l’ignominiosa vicenda dei 101 “traditori” che hanno impallinato Prodi e Marini quando erano candidati vincenti alla Presidenza della Repubblica, dando un esempio di masochismo politico insuperato nella storia della Repubblica.
Bisogna dare atto a Renzi di essere sempre stato assai coerente nel rifiutare drasticamente una  logica delle correnti che esercitano un potere di condizionamento senza assumersi responsabilità. La sua lotta all’apparato e ai riti di una politica conservatrice ed inconcludente è uno dei suoi punti fermi e non credo proprio che vorrà rinunciarvi per sete di potere a breve. Ma come potrà riuscire nel suo intento? A mio avviso solo alleandosi con un altro politico credibile e non della vecchia guardia, bene al corrente dei meccanismi deleteri che hanno contribuito alla scomparsa della DC  e cioè Enrico Letta,  che pure proviene da quella parte politica.
Contrariamente a quanto alcuni sostengono e cioè che il prevalere di politici ex-democristiani nel PD porterà questa forza a riprodurre il funzionamento bizantino e assai costoso della DC, io credo che l’accoppiata Letta-Renzi possa essere il detonatore di una vera rivoluzione culturale  all’interno del partito e del Paese. Che, ad onta delle apparenze, i due attori siano in fase di avvicinamento, lo dimostra la plateale dichiarazione di Franceschini, che di Letta è il braccio destro (oltre ad essere un ex- popolare) a favore di Renzi come candidato alla segreteria del Partito; dichiarazione che è indirettamente un supporto del Premier al Sindaco di Firenze.
A supporto di questa tesi vi sono due elementi: l’evidente convergenza dei due leader su un’idea d’Italia capace di superare i suoi “lacci e lacciuoli” e di  confrontarsi alla pari con gli altri Paese avanzati e la complementarietà dei loro profili caratteriali: l’uno dirompente e  senza peli sulla lingua, l’altro felpato e portato all’intelligente mediazione.
I modi della loro collaborazione possono essere diversi:, ma quello che mi pare più probabile è il seguente: Renzi futuro Segretario del PD e Letta a capo del Governo fino alla fine del mandato all’Italia di presiedere il consesso europeo nel secondo semestre 2014, poi Renzi premier e Letta in un primario incarico governativo.

domenica 8 settembre 2013

No alla guerra. Punto.

Il monito di Papa Francesco “Mai più la guerra!” , seguito da concrete azioni diplomatiche intese a scongiurare un attacco militare alla Siria, è la linea in cui mi riconosco. L’unica eccezione possibile a questo principio, che giustificherebbe un intervento bellico. è la risposta ad un atto di aggressione.
Ma il regime Siriano sta combattendo un’insurrezione interna e non ha portato minacce alla comunità internazionale: per quanto gravi e odiose siano le sue azioni, non giustificano un atto di guerra da parte di potenze esterne. Consentono, a chi condivide le ragioni degli insorti, un aiuto agli stessi ma niente di più.
A parte le questioni di principio, c’è poi un risvolto pratico di grande rilievo: la Storia dimostra che gli Stati Uniti non sono mai riusciti a vincere una guerra “sul campo” in cui gli avversari usassero le tecniche della guerriglia; ne sono la riprova le guerre del Vietnam, della Somalia, dell’Iraq e dell’Afganistan. In Siria pertanto gli USA si accingono ad agire solo “dal cielo”: per quanto si parli in questi casi di “attacchi mirati” e di “bombe intelligenti” è provato che gli effetti collaterali, in termini di uccisione di civili inermi, sono sempre micidiali e non necessariamente inferiori a quelli derivanti dall’uso di armi chimiche da parte del regime.
Circa la posizione italiana non condivido quanto scrive Massimo Gramellini ( con quale sono d’accordo nel 90% dei casi e di cui apprezzo la fine ed acuta ironia) nella sua rubrica “Buongiorno” su La Stampa del 7 settembre: sostiene che l’Italia, sulla falsariga di notevoli precedenti storici, quale l’”otto settembre 1943”, non ha preso una posizione netta fra Obama e Putin e afferma “siamo d’accordo con Obama nel ritenere Assad un criminale di guerra e siamo d’accordo con Putin nel non volerlo bombardare: E’ così complicato? A me sembra di una chiarezza cristallina. Ma non faccio testo: sono italiano.” La sua ironia in questo caso mi sembra fuori luogo perché il Ministro degli Esteri Bonino ha preso, come è suo costume, una posizione netta e assai poco diplomatica, dichiarandosi assolutamente contraria all’intervento e paventandone  le possibili conseguenze su scala mondiale. Il suo messaggio, forte e chiaro, è andato a segno, tanto  è vero che la diplomazia americana si è attivata per ridurne l’impatto , ottenendo da Letta una posizione più morbida: mi sembra un ragionevole “gioco delle parti” in cui comunque la contrarietà del nostro Paese, sostenuta dall’opinione pubblica, è risultata evidente. Quello che conta è che non andiamo in guerra e non sosteniamo che, per fermare un criminale, l’unico mezzo sia quello bellico.
Anche se il boicottaggio economico  è un’arma a non rapida  e sicura azione, vi sono casi eclatanti, quale quello dell’IRAN, che dimostrano che alla lunga esso produce effetti. Ci sono poi le armi  dell’intelligence, del supporto agli oppositori, della diplomazia politica e di quella economico-finanziaria che, in un mix appropriato, possono condizionare fortemente un regime ostile.
Portare il mondo sull’orlo della terza guerra mondiale non è certamente la soluzione auspicabile. Per questo motivo si può sensatamente e a testa alta riconoscere  le ragioni morali espresse dagli Stati Uniti ma rifiutarne la ricetta proposta per la soluzione del problema.
Ci lamentiamo tanto dei nostri politici e dei nostri governi: questa volta dobbiamo riconoscere la saggezza del loro operato.