Bisogna dare
atto a Renzi (che Marco Travaglio chiama, non senza ragione, “lo spregiudicato” e vede in coppia con
Berlusconi, da lui detto “Il pregiudicato”) che la sua temerarietà sta pagando.
L’ “accordo del Nazareno” da lui fatto con l’ex
Cavaliere, che ha ridato centralità politica al suo interlocutore, è visto da
molti come un vero e proprio “patto col diavolo” ed ha fatto infuriare coloro che vedono nel ventennio berlusconiano
la causa principale del forte degrado politico, economico e civile del Paese.
Eppure, guardando alla furibonda battaglia in Senato per la riforma di questa
istituzione e all’esito della stessa bisogna riconoscere che Renzi, su questo
punto, aveva visto giusto: senza
l’accordo col capo di Forza Italia le riforme nel nostro Paese non sono
possibili, piaccia o no. Quindi ha fatto bene a percorrere questa strada,che è
molto scivolosa non solo per la carica di ostilità che la stessa gli procura in
un arco assai trasversale di forze politiche, ma anche per l’inaffidabilità direi “programmatica”del suo interlocutore,
che è noto per fare dell’incoerenza una delle sue armi di “disorientamento di
massa” e che cambia opinione, volendo, un giorno sì ed uno no e anche più volte
al giorno per lasciarsi le mani libere e giocare la partita nel modo a lui
preferibile. Dando per scontato il grosso rischio che ciò comporta per Renzi,
non si può negare, peraltro, che il cambiamento impresso dal leader di Forza
Italia (contribuire alle riforme, porsi
come un’opposizione responsabile, proporsi di contribuire anche alle necessarie
riforme economiche) potrebbe essere un frutto non passeggero del clima di
“legittimazione dell’avversario” che Renzi ha avviato e Berlusconi ha
ricambiato, da cui solo può derivare una prospettiva di alternanza fra forze
politiche diverse ma che si riconoscono in un comune quadro di riferimento
istituzionale. E’ una prospettiva che, con il PD in mano agli ex-comunisti, era
impossibile, mentre ora è diventata plausibile.
Da qualcuno,
però, questa legittimazione reciproca è
vista come un grandissimo imbroglio che nasconde l’affermazione di un pericoloso
“pensiero unico”. Scrive al proposito Marco
Travaglio su “Il Fatto Quotidiano” del 9 agosto: “ Non è più neanche questione di inciuci e di larghe intese. E’ più e
peggio: idem sentire, comunanza d’intenti e spesso d’interessi (altro che
conflitto), pensiero e linguaggio. Due cuori (si fa per dire), una capanna. Il
Renzi dell’”andate in vacanza belli allegri”, dell’opposizione che non lo
lascia lavorare, della stampa nemica che non decanta i suoi trionfi,
dell’Europa cinica e bara, dei gufi e sciacalli che parlano male dell’Italia, è
la fotocopia 2.0 del Caimano modello
Cannes 2001, quello dei ristoranti pieni e degli aerei imprenotabili”.
Non nego che
la critica di Travaglio abbia un certo fondamento anche per l’eccesso di
entusiasmo dell’ex Cavaliere per il
Premier, solo recentemente attutito per ragioni di prudenza
da un asserita opposizione di Forza Italia alla politica economica del
Governo e per l’’altrettanto eccessiva profusione di baci e abbracci scambiati al
termine della votazione in Senato fra gli esponenti delle due forze politiche,
che vanno al di là di una normale soddisfazione per una battaglia vinta
insieme. Tuttavia ritengo che il
giudizio vada dato sui fatti e non sulle sensazioni, che pure sono utili per
cogliere rischi e problemi potenziali., sui quali è doveroso vigilare. Perciò
espongo quelli che sono, a mio avviso, i pro e i contro della situazione,
iniziando con le conseguenze apprezzabili della riforma del Senato:
- Il superamento del bicameralismo
perfetto consentirà
di accelerare i processi legislativi e soprattutto di evitare gli insabbiamenti
che si sono sempre verificati nei passaggi da una camera all’altra. Dimostra
inoltre la capacità della politica di autoriformarsi, anche se su questo piano
bisogna fare di più.
- la forza della maggioranza riformatrice consentirà di approvare, dopo una battaglia in
Parlamento che non sarà indolore, una legge elettorale favorevole alla
governabilità, di cui il Paese ha assoluto bisogno. I rischi di una deriva
autoritaria derivante da un cospicuo premio
di maggioranza denunciata da molti
oppositori, sono il facile alibi con cui gli stessi cercando di nascondere il
loro disegno di perpetuare il potere di veto delle minoranze, che ci ha portato
all’attuale crisi.
- la dialettica emersa nei partiti indica una crescita democratica: nel PD
l’opposizione ha saputo esprimersi con forza ma senza le tentazioni suicide
così frequenti in passato, in Forza Italia si è visto per la prima volta un
dissenso autentico, che tradizionalmente era molto mal visto e represso.
Detto degli
aspetti positivi, vediamo le principali conseguenze negative della riforma del Senato
- l’elezione
del Presidente della Repubblica e di altri organi di garanzia potrà essere largamente determinata dal
partito vincitore delle elezioni, in virtù dell’assoluta prevalenza numerica dei deputati rispetto ai
senatori e agli effetti del premio di
maggioranza. L’aver aumentato il numero di votazioni in cui è necessaria una maggioranza
qualificata non ha risolto il problema. Se questo aspetto non venisse corretto,
l’accusa di una deriva autoritaria troverebbe fondamento.
- l’immunità concessa ai senatori anche per le attività svolte come consiglieri
regionali e sindaci è contraria al principio di equità verso gli altri rappresentanti
delle istituzioni locali, che non
godranno di questo privilegio, e a
quello di prudenza, visti i pessimi precedenti dei consiglieri regionali di
tutta Italia nell’uso delle risorse pubbliche.
Non ritengo
invece negativa l’elezione indiretta dei Senatori, che è presente nella
costituzione di molti Paesi europei ed extraeuropei; anche se io avrei
preferito un Senato eletto direttamente
dai cittadini, la scelta fatta è rispettabile.
E’
auspicabile che, avendo dimostrato ai propri alleati ed agli avversari di avere la forza per portare avanti il
proprio programma, Renzi adotti ora un
approccio più aperto all’ascolto, per rendere possibile un cambiamento
realmente condiviso e non solo subito.
Anche perché
vi è il tema delle riforme economiche
che premono a fronte della riduzione del PIL: su questo si è espresso
recentemente il Presidente della BCE
Draghi, evidenziando la necessità di
affrontare tre temi: la
produttività, la competitività e la crescita e affermando che le pur necessarie
riforme istituzionali non devono pregiudicare i tempi di approvazione di quelle
economiche., sulle quali soprattutto ci giudicheranno i nostri interlocutori
europei. E’ questo un difficile compito che non potrà essere affrontato con la logica del
“muro contro muro” che abbiamo visto nella battaglia sul Senato.