La domanda
contenuta nel titolo di questo articolo mi frulla per la testa dalle elezioni
del 4 marzo per questo motivo: fin dall’inizio delle trattative per la
formazione del nuovo governo i tre
principali quotidiani nazionali (Corriere della Sera, La Repubblica e La
Stampa) hanno assunto posizioni molto simili nei confronti delle due forze uscite
vincitrici dalle elezioni politiche, che si possono riassumere in un diffuso
scetticismo prima sull’esito della trattativa per dar vita al nuovo esecutivo e
poi, una volta che esso si è formato, sulla solidità e sulle prospettive dello
stesso. Una unanimità mai vista in
passato.
Sono state
sottolineate le differenze di posizioni su vari temi, i rischi derivanti
dall’esistenza di “due galli nel pollaio” (Salvini e Di Maio), la situazione
irrituale di un Presidente del Consiglio che opera in posizione defilata
rispetto agli standard del passato, le promesse difficilmente mantenibili
contenute nel contratto di governo, la
distanza fra le posizioni del governo italiano e quelle di altri Paesi europei,
il rischio di reazioni pesanti dei mercati finanziari. Sono stati chiamati ad
esprimersi su questi aspetti le più diverse figure: Direttori, Vicedirettori e
opinionisti dei quotidiani, storici, sociologi, psicologi, attori,
registi, scrittori, direttori d’orchestra, cantanti e molti altri: non meno dell’80% degli
interventi sono stati critici nei confronti del governo gialloverde. Una parata
impressionante di “bocche da fuoco”che avrebbero dovuto incenerire i “nuovi
arrivati”ma che ha prodotto effetti opposti.
Nel
frattempo, infatti, i sondaggisti davano la parola a campioni rappresentativi
di tutta la popolazione italiana, da cui emergeva che il consenso nei confronti
del governo è stato, dal 4 marzo, in continua crescita con i due partiti di maggioranza entrambi sopra il 30% nelle intenzioni
di voto degli elettori e con alcuni provvedimenti del governo apprezzati da
“maggioranze bulgare”, fino all’85%.
Credo che non vi possa essere una
dimostrazione più evidente della distanza fra l’”establishment”, tutto unito e
arroccato nella difesa dell’esistente e dei propri privilegi e il popolo. In una interessante intervista
radiofonica, il Prof. Carlo Galli ha recentemente osservato che l’establishment
bolla con i termini provocatori e
volutamente squalificanti di “populismo e sovranismo” l’azione delle forze che
difendono il popolo e i confini nazionali e ha aggiunto: “provate a chiedere a
Xi Jinping o a Trump se accetterebbero tali definizioni per le politiche di
tutela dei rispettivi Paesi”. L’osservazione è corretta perché il suffisso
“ismo” implica un riferimento ideologico, mentre il popolo e la sovranità sono
realtà oggettive: il primo è , nei regimi democratici, il detentore dei
poteri e la seconda ne è la massima
espressione, senza la quale uno Stato non può esistere.
Ora , dato
che la predetta distanza fra popolo ed elite è visibile anche da un bambino,
c’è da chiedersi come mai fior di giornalisti, di intellettuali e di personaggi
dello spettacolo insistano nel cercare di demolire la credibilità della
coalizione gialloverde quando è evidente
che tale azione è controproducente. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che vi sia
un esplicito accordo di non meglio definiti “poteri forti” e della stampa che
li tutela per far finire un tentativo di cambiamento che potrebbe mettere in
discussione l’equilibrio delle forze politiche ed economiche che hanno dominato
il nostro Paese e l’Europa dal dopoguerra ad oggi. Io però non credo alle
teorie complottiste e penso invece che si sia inconsapevolmente verificato un potente fenomeno che gli
psicologi chiamano “group think” che porta un gruppo che si sente
minacciato nella sua sopravvivenza a coalizzarsi istantaneamente e acriticamente
per respingere la minaccia, anche con azioni del tutto irrazionali e
potenzialmente autolesionistiche.
Ovviamente,
con quanto ho scritto finora non intendo assolutamente sostenere che il governo
gialloverde abbia ragione ei suoi oppositori torto, ma vorrei invitare i
quotidiani citati., come ho già fatto in precedenza per i partiti di minoranza,
a valutare quanto sia dannoso per loro insistere con modalità di attacco
frontale che rinforzano sempre di più negli elettori l’impressione che la ragione
stia dalla parte di chi è attaccato. li
invito inoltre a pubblicare anche
contributi “fuori dal coro”, di cui questo scritto è un esempio. Il compito della stampa è certamente quello di
“fare le pulci” al potere e di verificare
la rispondenza fra quanto promesso e
quanto attuato (fact checking) ma non quello di proporsi come contropotere politico; questo ruolo
improprio è stato giocato storicamente da La Repubblica, da molti ritenuto un
“giornale-partito”, ed è un peccato che a questa logica si stiano in parte
allineando le due altre grandi testate nazionali. Se questa tendenza
continuasse,molti lettori si sentirebbero manipolati e reagirebbero nelle urne
elettorali, oltre che abbandonando le testate coinvolte.