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mercoledì 26 settembre 2018

I grandi giornali italiani: ci sono o ci fanno?



La domanda contenuta nel titolo di questo articolo mi frulla per la testa dalle elezioni del 4 marzo per questo motivo: fin dall’inizio delle trattative per la formazione del nuovo governo i tre principali quotidiani nazionali (Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa) hanno assunto posizioni molto simili  nei confronti delle due forze uscite vincitrici dalle elezioni politiche, che si possono riassumere in un diffuso scetticismo prima sull’esito della trattativa per dar vita al nuovo esecutivo e poi, una volta che esso si è formato, sulla solidità e sulle prospettive dello stesso. Una unanimità mai vista in passato.
Sono state sottolineate le differenze di posizioni su vari temi, i rischi derivanti dall’esistenza di “due galli nel pollaio” (Salvini e Di Maio), la situazione irrituale di un Presidente del Consiglio che opera in posizione defilata rispetto agli standard del passato, le promesse difficilmente mantenibili contenute nel contratto di governo,  la distanza fra le posizioni del governo italiano e quelle di altri Paesi europei, il rischio di reazioni pesanti dei mercati finanziari. Sono stati chiamati ad esprimersi su questi aspetti le più diverse figure: Direttori, Vicedirettori e opinionisti dei quotidiani, storici, sociologi, psicologi, attori, registi,  scrittori,  direttori d’orchestra, cantanti  e  molti altri: non meno dell’80% degli interventi sono stati critici nei confronti del governo gialloverde. Una parata impressionante di “bocche da fuoco”che avrebbero dovuto incenerire i “nuovi arrivati”ma che ha prodotto effetti opposti.
Nel frattempo, infatti, i sondaggisti davano la parola a campioni rappresentativi di tutta la popolazione italiana, da cui emergeva che il consenso nei confronti del governo è stato, dal 4 marzo, in continua crescita con i due partiti di maggioranza entrambi sopra il 30% nelle intenzioni di voto degli elettori e con alcuni provvedimenti del governo apprezzati da “maggioranze bulgare”, fino all’85%.
Credo che non vi possa essere una dimostrazione più evidente della distanza fra l’”establishment”, tutto unito e arroccato nella difesa dell’esistente e dei propri privilegi e il popolo. In una interessante intervista radiofonica, il Prof. Carlo Galli ha recentemente osservato che l’establishment bolla con i termini provocatori  e volutamente squalificanti di “populismo e sovranismo” l’azione delle forze che difendono il popolo e i confini nazionali e ha aggiunto: “provate a chiedere a Xi Jinping o a Trump se accetterebbero tali definizioni per le politiche di tutela dei rispettivi Paesi”. L’osservazione è corretta perché il suffisso “ismo” implica un riferimento ideologico, mentre il popolo e la sovranità sono realtà oggettive: il primo è , nei regimi democratici, il detentore dei poteri  e la seconda ne è la massima espressione, senza la quale uno Stato non può esistere.
Ora , dato che la predetta distanza fra popolo ed elite è visibile anche da un bambino, c’è da chiedersi come mai fior di giornalisti, di intellettuali e di personaggi dello spettacolo insistano nel cercare di demolire la credibilità della coalizione gialloverde quando  è evidente che tale azione è controproducente. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che vi sia un esplicito accordo di non meglio definiti “poteri forti” e della stampa che li tutela per far finire un tentativo di cambiamento che potrebbe mettere in discussione l’equilibrio delle forze politiche ed economiche che hanno dominato il nostro Paese e l’Europa dal dopoguerra ad oggi. Io però non credo alle teorie complottiste e penso invece che si sia inconsapevolmente verificato un potente fenomeno che gli psicologi chiamano “group think” che porta un gruppo che si sente minacciato nella sua sopravvivenza a coalizzarsi istantaneamente e acriticamente per respingere la minaccia, anche con azioni del tutto irrazionali e potenzialmente autolesionistiche.
Ovviamente, con quanto ho scritto finora non intendo assolutamente sostenere che il governo gialloverde abbia ragione ei suoi oppositori torto, ma vorrei invitare i quotidiani citati., come ho già fatto in precedenza per i partiti di minoranza, a valutare quanto sia dannoso per loro insistere con modalità di attacco frontale che rinforzano sempre di più negli elettori l’impressione che la ragione stia dalla parte di chi è attaccato.  li invito inoltre  a pubblicare anche contributi “fuori dal coro”, di cui questo scritto è un esempio.  Il compito della stampa è certamente quello di “fare le pulci” al potere  e di verificare la rispondenza  fra quanto promesso e quanto attuato (fact checking) ma non quello di proporsi  come contropotere politico; questo ruolo improprio è stato giocato storicamente da La Repubblica, da molti ritenuto un “giornale-partito”, ed è un peccato che a questa logica si stiano in parte allineando le due altre grandi testate nazionali. Se questa tendenza continuasse,molti lettori si sentirebbero manipolati e reagirebbero nelle urne elettorali, oltre che abbandonando le testate coinvolte.

domenica 9 settembre 2018

Fine delle ideologie e dell'opposizione tradizionale


Con la seconda guerra mondiale è terminato il fascismo, come ideologia praticata a livello nazionale, con la caduta del muro di Berlino quella comunista a livello  internazionale, e con la crisi finanziaria del 2007 quella liberista a livello globale. La principale conseguenza di tutto ciò è che, nei principali paesi occidentali  la maggior parte dei cittadini  si è liberata degli schematismi preconcetti  per le scelte elettorali e si muove liberamente in tutto, o quasi, l’arco politico per trovare offerte in grado di soddisfare le proprie aspettative.  Una conseguenza di questa fluidità  è che determinate iniziative politiche possono ottenere il consenso, misurato tramite sondaggi, della schiacciante maggioranza dei cittadini, indipendentemente dallo schieramento politico di appartenenza;  basta pensare,  a titolo d’esempio, al provvedimento  del Governo italiano che vieta la pubblicità  per il gioco d’azzardo, che è stato  apprezzato dall’85% dei cittadini.
Dato questo rilevante cambiamento di prospettiva risulta particolarmente stridente e anacronistico il modo, rituale e immutato, con cui le forze di opposizione si esprimono nei confronti delle azioni del Governo in carica: esse si limitano a ripetere in continuazione, come un disco rotto, che tali azioni sono totalmente sbagliate e rovinose per il Paese e che portano l’Italia all’isolamento in campo internazionale. Ciò anche quando i fatti dimostrano inequivocabilmente il contrario, come nel caso della lotta al  traffico di esseri umani e ai soggetti che, volontariamente o meno, lo favoriscono: dopo le iniziative prese dal Governo, in modo deciso, per bloccare tale  traffico, i flussi  migratori  si sono fortemente ridimensionati.  Circa il  rapporto con i partner internazionali, va detto che  l’Europa ha mostrato tutta la sua inconsistenza non riuscendo in alcun modo a far rispettare gli impegni di redistribuzione dei migranti presi solennemente in passato e poi sistematicamente disattesi; ciò è avvenuto anche in occasione della vicenda della nave Diciotti in cui la redistribuzione riguardava meno di 200 persone. A seguito di questa situazione, il Ministro Salvini ha avviato, mediante il colloquio con Orban, un “asse sovranista” che include anche l’Austria e gli altri Paesi del Patto di Visegrad, con l’intento di sfidare, in vista delle elezioni europee del 2019, l’Europa dello “statu quo”. Se questa manovra allontana l’Italia da Paesi come la Francia e la Germania, crea però le basi per una più vasta alleanza che presto potrebbe includere anche Paesi del Nord Europa dove le forze antisistema stanno crescendo. Non si può quindi parlare di isolamento ma semmai  di revisione delle alleanze.
A fronte di  una maggioranza che si muove  in modo spregiudicato, le forze di minoranza dovrebbero fare quanto affermato recentemente dal Segretario reggente del PD Martina “smettere di fare opposizione e produrre un’alternativa”, cioè rinunciare alla semplice contestazione delle iniziative del Governo e proporre un’offerta politica competitiva. Va detto che, per il momento, i commenti del Segretario PD sono ancora di mera contrapposizione (“Governo pericoloso e inconcludente, ci isola in Europa, ecc.”) ma si  attendono iniziative nella direzione da lui auspicata, che è assai opportuna.    
A mio avviso, per risultare competitiva la nuova offerta politica dovrebbe essere:
-         inclusiva, cioè rivolta a tutelare l’intera comunità nazionale e non frazioni di essa; ad esempio, dagli eccessi del liberismo e del globalismo, cioè dalla subordinazione degli interessi collettivi a quelli privati. La tristissima vicenda del Ponte Morandi  di Genova può essere assunta ad esempio emblematico di tali eccessi

-         plurale, cioè capace di fare sintesi fra istanze diverse ma tutte legittime; ad esempio quelle dell’impresa e quelle del lavoro.  La positiva conclusione del caso ILVA,  impostata dal Governo Gentiloni e  completata da quello in carica è un’applicazione di questo principio.

-         riformista, cioè capace di incidere realmente sulle “forme”, ossia sui contenitori attivi che hanno prodotto le inefficienze del passato. La più rilevante è la costruzione europea che è priva di solide fondamenta in quanto il potere decisionale risiede in organi non elettivi e quindi sottratti al giudizio popolare.

-         partecipata, cioè orientata a superare i limiti della democrazia rappresentativa che hanno allontanato i cittadini dalla politica (astensionismo) e da chi la costituisce (sentimento anticasta).

Prendendo ad esempio il PD, che è la maggior forza di opposizione, la situazione è la seguente.
-         Il “fronte renziano” si pone come oppositore assoluto delle forze sovraniste e populiste ed auspica un accordo a livello europeo con Macron

-         Il “fronte antirenziano” (Zingaretti, Franceschini, Orlando) accusa il primo di aver regalato i Cinque Stelle alla Lega ed auspica attenzione all’elettorato grillino e tendenzialmente un confronto dialettico con il Movimento..

-         L’ex  Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, “new entry e battitore libero” del PD, mira a superare rapidamente i riti congressuali per sviluppare una difesa della democrazia liberale, a suo avviso messa a rischio dalle forze di maggioranza.
Le posizioni esposte, diverse fra di loro, sono orientamenti di massima utili ad un posizionamento in vista del congresso nazionale che si terrà agli inizi del prossimo anno, ma richiedono di essere riempite di contenuti per poter rispondere ai requisiti indicati in precedenza.
Va osservato comunque che, dietro a questa diversità di posizioni vi è una interessante convergenza, che potrebbe dar luogo, nel tempo, ad una sintesi fra le diverse impostazioni:  sia Zingaretti che il renziano Del Rio, ex Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, hanno criticato nettamente l’attuale assetto del capitalismo che, a detta di Del Rio, non potrà più essere quello in cui “ l’1% della popolazione possiede ricchezze pari a quelle del restante 99% “e quindi un potere sovrastante a livello mondiale. Una proposta che traducesse tale ipotesi in concrete linee d’azione a livello almeno europeo, risulterebbe altamente inclusiva e riformista,  quindi coerente con i principi segnalati in precedenza  e interessante per la grande maggioranza dei cittadini-elettori.