Nell’acceso
dibattito post voto circola un giudizio assai diffuso secondo cui il
“rosatellum” sarebbe una pessima legge elettorale perché non consente di
sapere, il giorno dopo le elezioni, chi
ha vinto e sarebbe quindi necessario fare una nuova legge con premio di maggioranza per andare presto
alle urne ed avere così un governo in grado di governare.
Dissento
totalmente da tale orientamento, anzitutto perché il 5 marzo si è saputo perfettamente chi ha vinto. (Il M5S e la
Lega) e tutti lo riconoscono . Il fatto che
nessuno dei due abbia la maggioranza assoluta è una condizione che esiste in
tutti i Paesi che non hanno un sistema presidenziale e quindi è normale che le forze vincenti siano costrette
a cercare alleanze per raggiungere la maggioranza parlamentare. Che non sia un
compito facile è evidente ma le difficoltà non possono essere eliminate con
artifici come un elevato premi o di
maggioranza che altera la
rappresentatività delle forze politiche e che
è già stato bocciato dalla Corte Costituzionale.
Sembra che
vi sia, nei politici e negli opinionisti, una
sorta di “rimozione collettiva”non solo nei confronti delle sentenze della
suprema Corte ma anche nei confronti del referendum del 4 dicembre 2016 (e della collegata legge elettorale) che si
proponeva, fra l’altro, di aumentare la cosiddetta “governabilità”, intento sonoramente bocciato dagli elettori , che si
sono espressi chiaramente con un 60% di
no alle riforme. Il “rosatellum” non ha
fatto altro che seguire puntualmente le indicazioni degli elettori perché ha
introdotto un sistema che è appunto proporzionale al 60% e maggioritario per il
restante 40%. Non si capisce perché questa indicazione dovrebbe essere
sovvertita.
Fra l’altro
uno studio compiuto dall’Istituto Carlo Cattaneo ha dimostrato che anche con
tutte le precedenti leggi elettorali (Mattarellum, Porcellum, ecc,) nessun partito o coalizione avrebbe raggiunto la maggioranza
assoluta. I cittadini vedrebbero quindi come una presa in giro il tentativo
di forzare la mano modificando ancora una volta
le regole del gioco sperando che una legge elettorale possa risolvere
miracolosamente il problema delle scelte che competono agli attori politici
Nessuno può “togliere le castagna dal
fuoco” ai due vincitori che devono quindi trovare una soluzione tenendo conto che tutte le tre
combinazioni teoricamente possibili (
M5S + Lega, M5S + PD, Centrodestra + PD)
avrebbero il numero di seggi per
governare sia alla Camera che al Senato e sarebbero ugualmente legittime.
Tuttavia, dato che la maggioranza degli italiani ha chiaramente espresso una
forte volontà di cambiamento, la
soluzione più probabile e, direi, più coerente
con i risultati elettorali è un accordo fra i due vincitori: è vero che ci
sono punti di forte diversità nei programmi delle due forze, ma ce ne sono molti anche di chiara convergenza e
il compito della politica, quando si cerca di formare un governo, è appunto
quello di trovare una sintesi di bisogni differenziati (ad esempio: lo sviluppo delle forze produttive e la tutela dei più deboli) che garantisca
l’interesse complessivo del Paese. A favore di questa soluzione c’è anche il
fatto che entrambe le forze sono ormai forze nazionali: non è vero infatti che
il M5S sia confinato al Sud, anche se lì ha raggiunto risultati straordinari,
perché in quasi tutte le regioni del
Nord ha superato il 25% dei consensi e lo stesso può dirsi, a parti invertite,
della Lega che, pur essendo fortissima al nord, ha spodestato il PD da varie
regioni centrali storicamente “rosse” ed ha registrato risultati ragguardevoli
anche in varie zone del Sud.
L’accordo fra i vincitori avrebbe
anche il pregio di costringerli a fare i conti con l’onerosità dei rispettivi
programmi (basta
pensare ai costi derivanti dalla “Flat Tax” della Lega e del “ reddito di
cittadinanza” del M5S). La necessità di giungere ad un ragionevole compromesso
sarebbe l’occasione per ridimensionare in modo credibile tali oneri, senza
venir meno alle promesse fatte agli elettori, che certamente non pretendono
“tutto e subito” ma vogliono l’indicazione di una chiara direzione di marcia.
Dato che
l’Italia si aspetta un significativo cambiamento non solo delle scelte ma anche
delle vecchie regole e liturgie politiche, i due vincitori dovrebbero usare una certa creatività nella ricerca di
soluzioni. Un esempio al riguardo potrebbe essere quello di assegnare la premiership ad uno
dei due leader (Di Maio o Salvini) prevedendo
la cessione dell’incarico al secondo dopo un anno e così via: ciò sarebbe
un incentivo a far durare la legislatura per tutto il tempo previsto.
Se i due vincitori non trovassero un
solido accordo fra loro o con altre forze politiche, gli elettori li
punirebbero certamente e severamente , magari a favore di nuove forze che potrebbero presentarsi
nell’agone politico e, in base alla ormai conclamata “fluidità elettorale”,
ottenere risultati rilevanti, sottraendo voti a chi non ha saputo rispondere
alle istanze di cambiamento ormai insopprimibili.