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venerdì 23 marzo 2018

Di Maio e Salvini: premier a rotazione ?



Nell’acceso dibattito post voto circola un giudizio assai diffuso secondo cui il “rosatellum” sarebbe una pessima legge elettorale perché non consente di sapere, il giorno dopo le  elezioni, chi ha vinto e sarebbe quindi necessario fare una nuova legge  con premio di maggioranza per andare presto alle urne ed avere così un governo in grado di governare.
Dissento totalmente da tale orientamento, anzitutto perché il 5 marzo si è saputo perfettamente chi ha vinto. (Il M5S e la Lega)  e  tutti lo riconoscono . Il fatto che nessuno dei due abbia la maggioranza assoluta è una condizione che esiste in tutti i Paesi che non hanno un sistema presidenziale e quindi è  normale che le forze vincenti siano costrette a cercare alleanze per raggiungere la maggioranza parlamentare. Che non sia un compito facile è evidente ma le difficoltà non possono essere eliminate con artifici come  un elevato premi o di maggioranza  che altera la rappresentatività delle forze politiche e che  è già stato bocciato dalla Corte Costituzionale.
Sembra che vi sia, nei politici e negli opinionisti, una sorta di “rimozione collettiva”non solo nei confronti delle sentenze della suprema Corte ma anche nei confronti del referendum del 4 dicembre 2016  (e della collegata legge elettorale) che si proponeva, fra l’altro, di aumentare la cosiddetta “governabilità”, intento  sonoramente bocciato dagli elettori , che si sono espressi  chiaramente con un 60% di no alle riforme. Il  “rosatellum” non ha fatto altro che seguire puntualmente le indicazioni degli elettori perché ha introdotto un sistema che è appunto proporzionale al 60% e maggioritario per il restante 40%. Non si capisce perché questa indicazione dovrebbe essere sovvertita.
Fra l’altro uno studio compiuto dall’Istituto Carlo Cattaneo ha dimostrato che anche con tutte le precedenti leggi elettorali (Mattarellum, Porcellum, ecc,) nessun partito  o coalizione avrebbe raggiunto la maggioranza assoluta. I cittadini vedrebbero quindi come una presa in giro il tentativo di forzare la mano modificando ancora una volta  le regole del gioco sperando che una legge elettorale possa risolvere miracolosamente il problema delle scelte che competono agli attori politici
Nessuno può “togliere le castagna dal fuoco” ai due vincitori che devono quindi trovare una soluzione tenendo conto che tutte le tre combinazioni  teoricamente possibili ( M5S + Lega,  M5S + PD, Centrodestra + PD) avrebbero  il numero di seggi per governare sia alla Camera che al Senato e sarebbero ugualmente legittime. Tuttavia, dato che la maggioranza degli italiani ha chiaramente espresso una forte volontà di cambiamento, la soluzione più probabile e, direi,  più coerente con i risultati elettorali è un accordo fra i due vincitori: è vero che ci sono punti di forte diversità nei programmi delle due forze, ma  ce ne sono molti anche di chiara convergenza e il compito della politica, quando si cerca di formare un governo, è appunto quello di trovare una sintesi di bisogni differenziati (ad esempio:  lo sviluppo delle forze produttive e  la tutela dei più deboli) che garantisca l’interesse complessivo del Paese. A favore di questa soluzione c’è anche il fatto che entrambe le forze sono ormai forze nazionali: non è vero infatti che il M5S sia confinato al Sud, anche se lì ha raggiunto risultati straordinari, perché  in quasi tutte le regioni del Nord ha superato il 25% dei consensi e lo stesso può dirsi, a parti invertite, della Lega che, pur essendo fortissima al nord, ha spodestato il PD da varie regioni centrali storicamente “rosse” ed ha registrato risultati ragguardevoli anche in varie zone del Sud.
L’accordo fra i vincitori avrebbe anche il pregio di costringerli a fare i conti con l’onerosità dei rispettivi programmi (basta pensare ai costi derivanti dalla “Flat Tax” della Lega e del “ reddito di cittadinanza” del M5S). La necessità di giungere ad un ragionevole compromesso sarebbe l’occasione per ridimensionare in modo credibile tali oneri, senza venir meno alle promesse fatte agli elettori, che certamente non pretendono “tutto e subito” ma vogliono l’indicazione di una chiara direzione di marcia.
Dato che l’Italia si aspetta un significativo cambiamento non solo delle scelte ma anche delle vecchie regole e liturgie politiche, i due vincitori dovrebbero  usare una certa creatività nella ricerca di soluzioni. Un esempio al riguardo potrebbe essere quello di assegnare la premiership ad uno dei due leader (Di Maio o Salvini) prevedendo la cessione dell’incarico al secondo dopo un anno e così via: ciò sarebbe un incentivo a far durare la legislatura per tutto il tempo previsto.
Se i due vincitori non trovassero un solido accordo fra loro o con altre forze politiche, gli elettori li punirebbero certamente e severamente , magari a favore di nuove forze che potrebbero presentarsi nell’agone politico e, in base alla ormai conclamata “fluidità elettorale”, ottenere risultati rilevanti, sottraendo voti a chi non ha saputo rispondere alle istanze di cambiamento ormai insopprimibili.

giovedì 8 marzo 2018

Elezioni italiane: i mercati guardano lontano



Il fatto che i mercati finanziari abbiano reagito assai compostamente ai nostri risultati elettorali è stato spiegato dai più come frutto di due elementi concomitanti: una posizione attendista che rimanda un giudizio alla futura composizione del Governo e il fatto che i mercati siano attualmente “narcotizzati” dagli effetti del massiccio “quantitative easing” esercitato dalla BCE.
Sono interpretazioni certamente fondate in un’ottica di breve termine ma  insufficienti a capire ciò che si sta muovendo sotto la superficie degli eventi politici.
Ciò che si è verificato il 4 marzo è, in effetti,  un radicale cambiamento della principale “forma” che ha governato la politica del novecento, ossia la distinzione fra destra e sinistra, intese come forze favorevoli rispettivamente alle ragioni del capitale  ed a quelle del lavoro subordinato. Gli elettori italiani si sono divisi infatti non su questa distinzione ma fra i favorevoli alla “globalizzazione comunque”  e  i favorevoli alla “sovranità nazionale o plurinazionale”  e la vittoria è andata nettamente ai secondi che hanno raggiunto per la prima volta nella storia mondiale la maggioranza assoluta delle preferenze (sommando quelle di M5S, Lega e FDI): il fatto che il popolo di un Paese industrializzato, membro fondatore del G7 e dell’Unione Europea, faccia questa scelta è gravido di conseguenze che vanno ben al di la dei suoi confini e che possono riflettersi sui futuri equilibri economici e politici a livello planetario.
Non è certo un caso che nei giorni immediatamente precedenti le elezioni fosse in Italia Steve Bannon, l’autore della campagna elettorale che ha portato al successo Donald Trump, il quale ha dichiarato in un’intervista a La Stampa di star lavorando per creare un’Internazionale Sovranista, di cui l’esperienza italiana sarà il principale laboratorio: le sue previsioni si sono avverate per i motivi esposti in precedenza. Non condivido però la sua opinione che il movimento partito dall’Italia porterà necessariamente alla caduta dell’euro perché le forze che hanno vinto, cioè M5S e Lega, pur essendo partite da forti concezioni antieuropeiste, hanno cambiato il tiro e non solo per ragioni di convenienza politica ed elettorale, essendosi rese conto che l’aumento della sovranità nazionale è insufficiente a garantire la tutela dei nostri cittadini, che solo la dimensione europea può permettere. Il punto è che l’attuale “governance” dell’Europa con la dominanza informale ed irrituale, perché non prevista da alcun trattato, di Germania e Francia non può più star bene al nostro Paese che  ora, a differenza del passato, può contare su una maggioranza nettamente favorevole alla modifica delle regole del gioco continentali.
Questa prospettiva è ben chiara ai mercati finanziari che non sono qui intesi come la massa indistinta degli investitori ma come le “mani forti” che possono influire sostanzialmente sui movimenti degli indici di borsa e che coincidono con le grandi multinazionali del mondo digitale e dei servizi finanziari. Questi attori prominenti  a carattere transnazionale, che hanno accumulato in pochi anni la gran parte del potere economico a scapito  della stragrande maggioranza dei cittadini dei Paesi da cui essi provengono, hanno iniziato a capire, dopo la Brexit e l’elezione di Trump ,che l’illusione da loro sapientemente instillata in Occidente della globalizzazione come fattore di benessere diffuso è ormai svanita. La scelta fatta ora dagli elettori italiani suona alle loro orecchie come un ulteriore e duro campanello d’allarme di un potenziale “tsunami” che potrebbe metterne in discussione il primato. Questa è la ragione vera della prudenza con cui si sono mossi e si muoveranno i mercati nel futuro prevedibile. Essi sanno che è meglio “non svegliare il can che dorme” ma che manifesta segnali di profonda irritazione.
Ciò non esclude ovviamente che la speculazione finanziaria possa in futuro attaccare il nostro Paese se non si riuscisse a fare un Governo solido o se questo si lanciasse in spericolate avventure demagogiche aumentando deficit e debito pubblico, ma che – se i nuovi vincitori sapranno cogliere la storica occasione superando le beghe che hanno caratterizzato la campagna elettorale – il nostro Paese potrebbe davvero diventare arbitro del proprio destino come attore maturo e propositivo di un’Europa rinnovata.