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lunedì 23 luglio 2018

La reindustrializzazione dell'Occidente



di Giorgio Calderaro

Dicendo "Faró l'America di nuovo grande", Trump vuol significare l'intenzione di riportare negli USA il lavoro che grazie agli esistenti accordi di libero scambio è stato sostituito da importazioni. Trump lotta contro gli sbilanci commerciali che a suo dire hanno portato molte aziende americane a chiudere creando disoccupazione.
Magari questo non è del tutto vero, perché negli USA la disoccupazione non è mai stata cosí bassa, peró è vero che con questo i tempi del libero scambio basato su accordi multilaterali sono finiti, cosí come è finita per adesso la solidarietá atlantica che ci ha portato a chiudere una guerra e ad arrivare fin qui nel benessere.Posts
In effetti il risultato del libero scambio, accompagnato dalla globalizzazione finanziaria, è stato quello di spostare gli investimenti industriali verso i paesi a minor costo di mano d'opera - per poter usufruire di costi inferiori, margini maggiori, volumi maggiori e utili piú alti - creando ricchezza a est e povertá a ovest - anche all'interno dell'Europa.
E adesso, volendo Trump pareggiare i bilanci commerciali, aumenterá nel mondo la quota di acquisti dagli USA e diminuirá parallelamente la quota di acquisti dall'Europa, tra cui l'Italia. Sicché l'Italia, ma non sola lei, si troverá a breve tra gli artigli dei mercati che si stringono e delle aziende che a maggior ragione delocalizzano.

Che fare? Che dire di non banale o giá ribadito da molti?

Innovazione, semplificazione, aumento della produttivitá sono tutte vie che aiutano, ma non credo riescano a compensare i posti di lavoro persi.
Allora provo a citare idee meno dibattute.

Possiamo a livello europeo modificare le regole della libera concorrenza e permettere aiuti di Stato - cioè aiuti EU - ad imprese che investano su piani strategici; oppure aiutare lo sviluppo di aziende radicate nel loro distretto - che non rilocheranno perché il distretto non è rilocabile.
Possiamo a livello europeo spingere su tecnologie concorrenziali, come ad es. il sistema Galileo che presto fará concorrenza al GPS, o inventarci nell'automotive qualcosa di competitivo rispetto all'ibrido elettrico o alla guida autonoma.
Possiamo irrobustire canali commerciali ora non primari:
- trovando (con l'EU) il modo diplomatico di digerire la questione della Crimea e riaprire il commercio con la Russia, prima che il boccone grosso lo prendano gli Stati Uniti
- cercando partnership nella nuova via della seta
- cercando nuove partnership commerciali laddove non siano soddisfacenti (ma perché la Cina investe tanto in Africa in infrastrutture?)
Possiano cercare, magari un po' cinicamente, di trasformare l'immigrazione da problema a risorsa: questo è un fenomeno epocale che già ha scosso l'Europa e rischia di travolgerla e non è certo il respingimento di una nave che permetterá di gestirlo.
Possiamo rendere la vita facile a chiunque voglia intraprendere una qualunque attivitá economica di modeste dimensioni: la gente ha voglia di fare, ma di fronte alle complicazioni burocratiche e ai rischi amministrativi, quanti dicono "ma chi me lo fa fare, per i due soldi in piú che mi rimarrebbero in tasca!". Cosí le famiglie tornerebbero ad essere centri di produzione invece che centri di solo consumi.
Questo (oltre ovviamente alle iniziative di peso a livello di trasporti, cultura, ospitalitá) potrebbe potenziare moltissimo la nostra natura di paese turistico - e  non solo!

Commento di Roberto Barabino:
Le riflessioni di Giorgio Calderaro mettono in evidenza un dato di fatto, che può piacere o meno, e cioè l’avvenuto superamento della forma del “libero scambio” che ha caratterizzato le relazioni commerciali internazionali nel secondo dopoguerra e il profilarsi di una nuova forma, la “concorrenza regolata” in cui  gruppi di Stati nazionali faranno specifici accordi per definire le regole con cui governare le reciproche relazioni economiche.
Questa situazione è un riflesso del “sovranismo ben temperato” che ho previsto nel precedente post come assetto di riferimento dei prossimi decenni. Si tratta di una situazione non scevra da rischi di guerre commerciali e di squilibri ulteriori ma ciò appare, al momento, il male minore rispetto all’assetto precedente che ha portato alla rovinosa crisi iniziata nel 2008, contro i cui effetti si sono ribellati gli elettori di molti Paesi occidentali.
E’ interessante il mix di proposte ipotizzate nello scritto, che vanno da ampi accordi sovranazionali alla stimolazione delle famiglie, mediante la semplificazione delle modalità per fare impresa, affinché diventino creatrici di ricchezza. Sono temi che sembrano essere presi in considerazione da alcune forze politiche, che dovranno auspicabilmente lavorarci per tradurle in scelte normative e politiche appropriate ad affrontare la sfida di un mondo che non sarà più come prima e richiederà coraggio, inventiva e determinazione.