L’Economist
ha definito Renzi “Il giocatore d’azzardo con una grande fretta”.
Su questo
tema si è espresso anche l’economista Mario Deaglio che, in un
editoriale del 15 marzo sul “Corriere
della Sera” intitolato “ La politica dell’azzardo in quattro atti”
, ha messo al primo posto, fra le scommesse
di Renzi, quella di “ riuscire a cambiare subito qualcosa
d’importante nel processo di decisione politico-amministrativa del Paese: approvare una legge elettorale in poche
settimane, mettere a punto progetti
legislativi importanti in pochi giorni, rendere operative decisioni sempre
rinviate nei fatti, come quella della vendita delle auto blu, passare da un eterno dire a un rapidissimo
fare….Si tratta di una scommessa molto ardita perché prevede il rovesciamento del
gattopardismo che ha governato a lungo la politica e l’economia italiana”.
Dopo il
primo viaggio a Bruxelles in cui Renzi
ha esposto le linee d’azione del Governo e ha dovuto incassare
i risolini di Barroso e Van Rompuy, “Il Fatto Quotidiano” ha interpellato alcuni esperti in merito a questo episodio e tutti hanno
convenuto che si tratta di una manifestazione del deficit di credibilità che tuttora pesa sull’Italia e che non si è ancora ristretto. Una delle cause, nel caso specifico del Premier, è ritenuta l’eccessiva
fretta. Daniel
Gros, Direttore del Center for European Policy Studies e buon conoscitore dell’Italia
( si è laureato a Roma e ha incarichi nel nostro Paese) ha detto : “dal lato della politica fiscale un Governo
può promettere dei risultati che sono subito certificabili…..se liberalizziamo
il mercato del lavoro i risultati non possiamo conoscerli in anticipo. Queste
riforme devono ancora passare dal Parlamento, poi ci vogliono i decreti
attuativi, bisognerà vedere come sarà applicata la legge, come si comportano i
tribunali e le parti sociali. Renzi ci
mette del suo, dice “ce la faccio in 30 giorni”….perchè dovrebbe riuscire dove
gli altri hanno fallito? Sono cose che richiedono tempo. Poi c’è la
copertura per la riduzione delle tasse, per il momento è davvero troppo vaga e
poco credibile. Quegli accenni di risata forse si riferivano a questo.”
Un terzo
contributo sul tema è di Roger Abravanel, uno dei massimi consulenti d’impresa,
che in un articolo sul Corriere del 24 marzo, a proposito della promessa di
Renzi di mettere 1000 euro in busta paga di molti lavoratori entro maggio, ha scritto: “ Avendo preso un impegno così forte (“se non ci riesco sono un buffone”)
un modo per riuscirci lo troverà. Ma se lo farà
semplicemente aumentando il deficit spending…sarà un successo minore….il vero successo sarà se riesce a farlo
in gran parte con un taglio di spesa strutturale come un primo passo verso
quei 35 miliardi di tagli previsti dalla spending review fra due
anni…..Soprattutto sarà necessario un
grande miglioramento della capacità di realizzare le iniziative e non solo di
studiarle”.
Come si vede
i pareri non sono convergenti: la fretta è vista da alcuni come un requisito indispensabile per rompere
il blocco politico – burocratico che da
sempre impedisce le riforme nel nostro Paese: se qualcosa non si vede subito,
il rischio è che anche Renzi venga risucchiato dall’Italica incapacità di
cambiare. Per altri invece il rischio è che
Renzi prometta l’impossibile e diventi vittima della sua ansia di “cambiare
verso” al Paese
A mio avviso
c’è del vero in entrambe le posizioni: solo se riesce a dare dimostrazione di
saper rompere realmente i tabù, soprattutto della sinistra, e “portare a casa”
dei risultati, Renzi può sperare di sopravvivere politicamente e diventare un
vero agente di cambiamento. Ma per fare questo non può trattare tutti i
problemi con la stessa urgenza, altrimenti non è credibile.
Sul primo
aspetto bisogna dire che un buon passo avanti è
stato quello di intestarsi pienamente la responsabilità delle decisioni
governative, senza farsi condizionare dai vecchi riti della “concertazione” con
le parti sociali. Sul secondo è necessario che venga distinto con chiarezza ciò
che può essere ottenuto a breve (ad esempio il taglio delle spese militari) e
ciò che, come dice Gros, “richiede tempo” (ad esempio la riforma del mercato
del lavoro).
In ogni caso
per ricreare un accettabile livello di credibilità internazionale, bisogna
rinunciare alle scorciatoie, che non ci sono, e imboccare la strada maestra
del taglio strutturale delle spese, che
ovviamente non può essere indolore e accontentare tutti, ma deve anzi forzare le resistenze delle
lobby e dell’apparato burocratico. Di questo sembra esservi consapevolezza nel
Governo avendo dichiarato il Ministro del lavoro, a proposito dell’opposizione
di Confindustria e CGIL alla riforma proposta, “se strillano entrambi vuol dire che forse l’abbiamo imbroccata”