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lunedì 21 marzo 2016

Lettera al ministro Boschi



Milano, 14 marzo 2016.
Gentile  Ministro Boschi,
sono un cittadino, osservatore della politica e della società, e vorrei inserirmi nel dibattito avviato da Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera del  5 Marzo e proseguito con la Sua risposta a proposito del "fossato" tra eletti e cittadini, manifestando le mie opinioni in merito: opinioni sviluppate anche dal dibattito che abitualmente conduco con persone ed associazioni che dell’osservazione della politica fanno impegno civico.
Si discute se le riforme promosse dal Parlamento contribuiscano a colmare o no il fossato: la mia opinione è che queste riforme certamente migliorano l’efficienza delle Istituzioni centrali (così come quelle in cantiere certamente miglioreranno la competitività del Paese), ma non  toccano le cause prime della disaffezione. Tra queste ne cito due, per sviluppare poi le considerazioni sulla seconda:  
1.       La palese vacuità degli aspri contrasti interni alla varie forze politiche, che sanno molto più di lotta per le poltrone che di confronto di idee
2.       La grande asimmetria di diritti / doveri tra classe dirigente del Paese ed Enti da loro diretti, classe che gli eletti comprende e dagli eletti discende, e cittadini comuni.
Le cronache e le TV raccontano estesamente episodi di questa asimmetria, che ha ricadute drammatiche sui cittadini. Qui cito solo qualche esempio tratto dalle cronache recenti , per chiarezza:
·         Alcuni  membri della classe dirigente possono decidere l’entità delle proprie retribuzioni, delle proprie buonuscite, delle proprie pensioni, dei propri vitalizi, senza nessun vincolo né di budget né di risultato;
·         Altri membri della classe dirigente possono liberamente decidere il valore economico legale dell’ente diretto, con  cui coprire malaffari e da cui derivarne prebende, senza nessun vincolo né di mercato né di controllo;
·         Altri  possono liberamente esigere dagli utenti del proprio ente l’immediata riparazione di vecchi errori commessi dai propri funzionari oppure cambiare a piacimento a proprio vantaggio le condizioni contrattali;
·         Altri ancora  possono liberamente scegliere chi ai fini legali giudicherà se il proprio lavoro è ben fatto o meno, e il controllore può liberamente scegliere che cosa dire e che cosa fare e se e quando;
·         Ecc.
Quali normali cittadini possono fare altrettanto?
Come vede, non alludo alla questione morale, ma alle regole che sanciscono a favore della classe dirigente e degli enti di pubblico servizio l’asimmetria dei diritti, l’asimmetria di doveri, la non responsabilità per i  risultati prodotti; la modifica di queste regole, in chissà quanti meandri della nostra legislazione nascosti, permetterebbe di contenere l’autoreferenzialità della classe dirigente e di recuperarla alla fiducia dei cittadini.
In concreto, auspico che, proseguendo nel  significativo slancio riformista, si recuperino molti dei principi di giustizia ed equità la cui assenza ha portato ai fenomeni di cui sopra.
Inoltre, apprezzando lo spazio dato ai cittadini con la riforma del referendum propositivo ma andando ancora più avanti, auspico l’istituzione di meccanismi che consentano una partecipazione organica dei semplici cittadini e delle loro associazioni ad alcuni processi ordinari dello Stato, per esempio ad alcuni processi di controllo.
A mero titolo di esempio, secondo me potrebbe essere utile definire che:
·         Nessuno possa decidere, né direttamente né indirettamente, dei propri emolumenti correnti e futuri
·         Gli enti di controllo siano sempre terzi, abbiamo poteri di contrasto, siano responsabili in caso di omesso controllo, e magari comprendano semplici cittadini, a sorteggio o a rotazione
·         La definizione delle regole di comportamento reciproco tra Enti ed utenti passi attraverso le associazioni dei consumatori e tenga sempre conto che gli utenti, non avendo potere contrattuale, rischiano sempre soprusi
·         Ecc.
Ringraziandola dell’attenzione, le auguro buona prosecuzione nel suo importante e faticoso lavoro.
Con ossequi,
Giorgio Calderaro


venerdì 11 marzo 2016

Vincolo di mandato: sì o no ?



di: Franco Puglia

L'Articolo 67 della Costituzione Italiana recita :
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Un articolo molto laconico, che neppure definisce cosa sia il mandato, ma afferma che il parlamentare non ha vincoli nei suoi confronti.

La norma non è una esclusiva della costituzione italiana, ma è comune alla quasi totalità delle democrazie rappresentative e deriva dal principio del libero mandato (ovvero del divieto di mandato imperativo), formulato da Edmund Burke già prima della Rivoluzione Francese  nel suo Discorso agli elettori di Bristol, tenuto il 3 novembre 1774, dopo la sua vittoria elettorale in quella contea. In quel discorso, Burke propugnò la difesa dei principi della democrazia rappresentativa contro l'idea, da lui considerata distorta, secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli interessi dei propri elettori: «Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti ed ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale»

Bastano queste poche parole a farci capire da dove derivi questo principio, ed in quale contesto “idealistico” sia maturato. Poi c'è la realtà dei nostri giorni, quella sotto i nostri occhi, in cui gli eletti spesso se ne infischiano del loro mandato, occupandosi d'altro (specialmente tra i parlamentari europei) oppure anticipano la fine di un mandato per assumerne un altro, passando con disinvoltura, e magari per soldi da una aggregazione politica ad un'altra  e tutto questo in un contesto, almeno in Italia, ma non solo, dominato dai partiti politici che in realtà tendono a condizionare pesantemente l'operato “senza vincoli” dei loro parlamentari, che sono chiamati ad operare in nome di precisi interessi e non per il “bene generale”.

In altre parole, questa assenza di vincolo di mandato appare il frutto di una concezione idealistica del parlamentare, immaginato come missionario del bene comune, privo di interessi personali e scelto a prescindere da questi, da una popolazione attenta solo al bene comune e disinteressata a livello personale. E' un  mondo che non esiste, non è mai esistito e mai esisterà.

La politica nasce e si esprime come luogo della mediazione di interessi convergenti e divergenti, in sostituzione del conflitto diversamente espresso tra masse di cittadini.
La pretesa che il parlamentare sia espressione di un interesse comune generalizzato è assurda.
Il parlamentare esprime, e così deve essere, precisi e dichiarati interessi, espressi in una visione di organizzazione sociale che deve privilegiare i suoi rappresentati senza scontentare troppo tutti gli altri. La mediazione tra interessi contrapposti dei diversi gruppi parlamentari esprime poi la scelta migliore possibile in quel momento.

La scelta del parlamentare da parte dei cittadini viene fatta affinchè questi rappresenti gli specifici interessi di quei cittadini elettrori, che conferiscono al parlamentare un mandato, cioè una autorizzazione ad agire per loro conto, per un fine predeterminato, sulla base del quale il candidato si è presentato ed è stato scelto.
Se così non fosse, il mandato non sarebbe un “mandato” , venendo a mancarne i presupposti , che sono quelli dell'azione in via sostitutiva per il raggiungimento di uno scopo.

Quindi, se il mandato esiste, chi lo riceve non può essere “non” vincolato a rispettarlo, oppure il mandato non esiste, ed allora non sussiste il vincolo. Quindi il dettato costituzonale è contraddittorio in termini, assumendo l'esistenza di un mandato che tuttavia non è tale.

Che poi questa norma derivi da ragioni storiche, come si è visto, non attenua la contraddizione della norma.

Detto questo, chiediamoci se è utile questa assenza di vincoli, se è vera ed espressa, e come lo è, e se invece non sia funzionale agli interessi collettivi globali di un paese una rappresentanza vincolata, come il Movimento 5 Stelle suggerisce, e come accadeva negli stati socialisti dove era invece in vigore il mandato imperativo, che assoggetta a vincolo il mandato rappresentativo dei membri delle assemblee ai diversi livelli territoriali, fino al parlamento nazionale, rendendone possibile la revoca da parte del partito comunista di appartenenza, vero dominus dell'iniziativa politica in tali sistemi.

Il riferimento ai paesi del “socialismo reale” mette in evidenza come in questi casi il mandato imperativo altro non fosse che una estensione del potere centrale esercitato non da un organo elettivo (il Parlamento) ma da un organo sostanzialmente monocratico, il Partito Comunista, esautorando di fatto il ruolo dei rappresentatnti eletti in queste pseudo democrazie.

Questa circostanza mette in bella evidenza il ruolo distorsivo del partito nei confronti del mandatario della rappresentanza popolare, ruolo distorsivo presente anche nelle democrazie occidentali, dove più dove meno, e secondo il partito di appartenenza.
Questa distorsione tuttavia è giustificata anche dal fatto che l'elettore sceglie più il partito in sé che non il candidato parlamentare, e quindi l'attesa è che il parlamentare si esprima come estensione del partito in Parlamento, anche se formalmente non ha vincoli di mandato.

Il risultato pratico è che i parlamentari sono fortemente condizionati ad agire in sintonia col partito di appartenenza, salvo scostarsene con rotture clamorose, in genere condannate dall'opinione pubblica, che le vede come “tradimenti”.
In effetti molti parlamentari si trovano dove sono grazie al partito, perchè in sua assenza sarebbero dei signor nessuno. Il dettato costituzionale però consente loro di ribellarsi ; se non ci fosse non potrebbero farlo perchè il loro mandato sarebbe imperativo.

Quindi, visto che Partiti e Parlamento non esistono fine a se stessi, ma come espressione di una necessità dei cittadini, in che modo i cittadini possono meglio esprimersi per delega, cioè attraverso una democrazia rappresentativa ?
Se guardiamo ai cittadini, questi esprimono dei bisogni che non possono soddisfare direttamente, per cui hanno bisogno di una organizzazione collettiva che se ne occupi. Non potendo partecipare tutti assieme alle organizzaazioni pubbliche ed alle scelte, danno mandato ad alcuni tra loro affinchè operino nel loro interesse.
Sin qui il rapporto tra cittadini elettori e mandatari eletti è vincolante, intrinsecamente.
Che diritto ha il mandatario di violare il mandato ? Sarebbe come se un avvocato pagato per difendermi in una causa fosse libero di allearsi con la parte avversa.
Ma poi c'è il partito : questo rappresenta un corpo intermedio tra cittadini elettori e parlamentari eletti. La sua funzione è essenziale : consente di aggregare le forze sociali ed esprimere le candidature. In assenza di un partito d'appoggio nessun candidato avrebbe mai la forza per proporsi in solitaria all'elettorato. Il partito però condiziona il candidato, al momento della sua elezione, ma anche in seguito. Se il partito si sciogliesse dopo le elezioni, il candidato eletto sarebbe libero da condizionamenti e dovrebbe esercitare il suo mandato, vincolante. Invece il partito non si scioglie, ed il candidato eletto può, almeno in teoria, agire liberamente, grazie al dettato costituzionale che non lo vincola al suo mandato.
E qui sta l'errore : l'assenza di vincolo non dovrebbe essere nei confronti del suo mandato, ma del suo partito d'origine.
Infatti il nodo da spezzare è questo : la dipendenza dell'eletto dal suo partito.

Il dettato costituzionale dovrebbe recitare :
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di partito.

Una sola parola cambierebbe tutto. Il parlamentare sarebbe vincolato verso i suoi elettori, ma svincolato dal suo partito d'elezione.
Il vincolo verso gli elettori lo obbligherebbe a non tradire la linea politica con la quale si è proposto ed è stato eletto, lo obbligherebbe a condurre a compimento il mandato affidatoli senza interromperlo e lo obbligherebbe ad agire secondo coscienza, in nome e per conto di chi lo ha eletto. Se nel frattempo la linea del suo partito d'origine dovesse mutare, non dovrebbe mutare quella del parlamentare, anche se questo potrebbe significare che, alla scadenza del suo mandato, potrebbe non venire rieletto nel medesimo partito.

Ottenere questo implica cambiare radicalmente la FORMA dei partiti per come sono oggi.
Implica infatti distinguere tra il partito visto come terreno di coltura (con la “o”) di una visione politica, luogo di incontro e dibattito tra quanti vi si riconoscono, e candidati ad incarichi istituzionali, che si propongono all'interno di questo ambiente politico con la loro personale visione e le loro proposte, all'interno della visione generale che accomuna quanti si riconoscono nel partito.
Implica anche distinguere in maniera mutuamente esclusiva i ruoli interni del partito, finalizzati al suo sviluppo culturale ed organizzativo, dalle candidature ad incarichi istituzionali.
Implica spezzare definitivamente il legame di potere tra partito ed istituzioni attraverso i candidati eletti, fonte prima della corruzione che devasta la politica attraverso le collusioni diffuse degli interessi più diversi e meno trasparenti.

In conclusione il tema della FORMA partito e del rispetto del mandato in assenza di vincoli sono temi inscindibili tra loro, facendo parte di un unicum strutturale.