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giovedì 19 aprile 2018

Dalla globalizzazione imperante al sovranismo selettivo



Il trentennio che va dal 1989 (caduta del muro di Berlino ) al 2008 (inizio della seconda maggiore crisi economica della storia moderna) è stato il periodo in cui la globalizzazione si è affermata non solo  a livello economico e  finanziario, ma anche e forse soprattutto, a livello culturale, diventando in tutto l’Occidente un tabù intoccabile: chi si permetteva di sollevare dubbi al riguardo veniva tacciato di essere retrogrado e spesso veniva ridicolizzato ed emarginato.
Sui pro e sui contro di questo fenomeno si è recentemente espresso in modo incisivo  Papa Francesco nella prefazione al libro “ Potere e Denaro. La giustizia sociale secondo Bergoglio”, pubblicata alcuni giorni fa sul Corriere della Sera. Ne riporto alcuni stralci.
“ Se oggi guardiamo all’economia e ai mercati globali, un dato che emerge è la loro ambivalenza. Da una parte, mai come in questi anni l’economia ha consentito a miliardi di persone di affacciarsi al benessere, ai diritti, ad una migliore salute e a molto altro. Al contempo, l’economia e i mercati hanno avuto un ruolo nello sfruttamento eccessivo delle risorse comuni, nell’aumento delle disuguaglianze e nel deterioramento del pianeta.  Quindi una sua valutazione etica e spirituale deve sapersi muovere in questa ambivalenza, che emerge in contesti sempre più complessi ………………………………..
Le istituzioni finanziarie e le imprese multinazionali raggiungono dimensioni tali  da condizionare le economie locali, mettendo gli Stati sempre più in difficoltà  nel ben operare per lo sviluppo delle popolazioni. D’altronde, la mancanza di regolamentazioni e di controlli adeguati favorisce  la crescita di capitale speculativo , che non si interessa degli  investimenti produttivi a lungo termine ma cerca il lucro immediato.”
Sono parole profetiche: dove porti la mancanza di regolazioni e di controlli lo ha mostrato in modo eclatante la  recente vicenda riguardante Facebook e l’uso improprio a fini commerciali dei dati personali di milioni di utenti da parte della società Cambridge Analytica. Lo stesso Mark Zuckenberg, fondatore di Facebook .ha dovuto ammettere l’esigenza di un maggior  controllo interno e di una regolamentazione pubblica per la tutela della privacy.
E’ interessante  anche quanto scritto da Ernesto Galli della Loggia nella sua recensione del libro “ Populismo sovrano” di Stefano Feltri, dove afferma:
“ Sovranismo, come è noto è il termine carico di significato negativo  che le elite occidentali- avvalendosi della loro egemonia culturale e del potere che glie ne deriva di dare il nome alle cose – hanno dato alla difesa del “potere di decidere  a livello nazionale o regionale il proprio destino” fatta ostinatamente propria  in genere da chi dell’elite non fa parte” .
Della Loggia riconosce la validità delle critiche espresse da Feltri alle manifestazioni più estreme del sovranismo populista (ad esempio, le interpretazioni complottiste)  ma evidenzia un aspetto che l’autore del libro  non ha considerato e  cioè che “ il potere di decidere del proprio destino a livello nazionale o regionale  rappresenta puramente e semplicemente il cuore del suffragio universale: il quale, a sua volta, è, come si sa, l’espressione più compiuta della sovranità popolare.
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Ciò che l’antisovranismo fatica ad accettare  è il fatto cle la sovranità popolare, quale si esprime nel suffragio universale - ambedue pietre angolari della democrazia – sia in realtà tutt’uno con la sovranità nazionale. Cioè sia tutt’uno con uno spazio storico- culturale (quello della nazione appunto) che , tranne casi rarissimi, si identifica con uno spazio geografico ….. il che vuol dire che non è facile mettere sotto accusa la sovranità e considerarla quasi alla  stregua di una reliquia del passato, come in sostanza sembra faccia questo libro”.
Restituita così al sovranismo la  piena legittimità che merita, si può attribuire al forte movimento in questa direzione iniziato con la Brexit, proseguito con le elezioni americane e rinforzato da quelle austriache,  polacche, ungheresi e italiane, il significato non di un incidente di percorso ma di un processo di revisione del globalismo che non significa chiusura aprioristica nei confronti dei flussi di merci, capirtali e persone ma che  implica la chiara volontà di governarli all’unico livello in cui si esprime concretamente la sovranità popolare che è attualmente quello nazionale. In futuro ciò potrebbe avvenire anche a livello sovranazionale ( ad esempio europeo) se le aggregazioni di Stati riuscissero a far coincidere l’esercizio della sovranità popolare con tale livello, cosa auspicata da Macron nel suo recente discorso al Parlamento europeo ma ostacolata dalle diverse posizioni dei singoli Stati, ai quali competono le decisioni primarie dell’Unione Europea.
L’imposizione di dazi alle importazioni dalla Cina, attuata dagli Stati Uniti, è giustificata dall’abnorme disavanzo commerciale fra i due Paesi (400 miliardi di dollari all’anno) che espone la nazione americana a grandi rischi sul piano dell’indebitamento pubblico verso l’estero e del difficile  mantenimento di un’adeguata base produttiva nazionale. E’ vero che la Cina ha risposto con dazi più o meno equivalenti sulle importazioni dagli USA, ma il Presidente Xi Jinping ha anche espresso la volontà di avviare un negoziato per riequilibrare a situazione, che è appunto quanto gli USA si proponevano di ottenere.
Il fatto che gli USA abbiano promesso esenzioni agli Stati considerati “amici” testimonia di un approccio flessibile che non necessariamente danneggerà il volume degli scambi, ma che permetterà all’Amministrazione americana di rispondere in modo concreto alle aspettative di chi l’ha votata e che non debbono necessariamente coincidere con i desiderata dei potentati economici transnazionali, abituati da ormai trent’anni a fare il bello e il cattivo tempo per i propri interessi e spesso a scapito dei cittadini-elettori degli stessi Paesi in cui essi sono nati.