Il
trentennio che va dal 1989 (caduta del muro di Berlino ) al 2008 (inizio della
seconda maggiore crisi economica della storia moderna) è stato il periodo in cui
la globalizzazione si è affermata non solo
a livello economico e finanziario, ma anche e forse soprattutto, a
livello culturale, diventando in tutto l’Occidente un tabù intoccabile: chi si
permetteva di sollevare dubbi al riguardo veniva tacciato di essere retrogrado
e spesso veniva ridicolizzato ed emarginato.
Sui pro e
sui contro di questo fenomeno si è recentemente espresso in modo incisivo Papa
Francesco nella prefazione al libro “ Potere e Denaro. La giustizia sociale
secondo Bergoglio”, pubblicata alcuni giorni fa sul Corriere della Sera. Ne
riporto alcuni stralci.
“ Se oggi guardiamo all’economia e ai
mercati globali, un dato che emerge è la loro ambivalenza. Da una parte, mai
come in questi anni l’economia ha consentito a miliardi di persone di
affacciarsi al benessere, ai diritti, ad una migliore salute e a molto altro.
Al contempo, l’economia e i mercati hanno avuto un ruolo nello sfruttamento
eccessivo delle risorse comuni, nell’aumento delle disuguaglianze e nel deterioramento
del pianeta. Quindi una sua valutazione
etica e spirituale deve sapersi muovere in questa ambivalenza, che emerge in
contesti sempre più complessi ………………………………..
Le istituzioni finanziarie e le
imprese multinazionali raggiungono dimensioni tali da condizionare le economie locali, mettendo
gli Stati sempre più in difficoltà nel
ben operare per lo sviluppo delle popolazioni. D’altronde, la mancanza di
regolamentazioni e di controlli adeguati favorisce la crescita di capitale speculativo , che non
si interessa degli investimenti
produttivi a lungo termine ma cerca il lucro immediato.”
Sono parole
profetiche: dove porti la mancanza di regolazioni e di controlli lo ha mostrato
in modo eclatante la recente vicenda riguardante
Facebook e l’uso improprio a fini commerciali dei dati personali di milioni di
utenti da parte della società Cambridge Analytica. Lo stesso Mark Zuckenberg,
fondatore di Facebook .ha dovuto ammettere l’esigenza di un maggior controllo interno e di una regolamentazione
pubblica per la tutela della privacy.
E’
interessante anche quanto scritto da Ernesto Galli della Loggia nella sua
recensione del libro “ Populismo sovrano” di Stefano Feltri, dove afferma:
“ Sovranismo, come è noto è il
termine carico di significato negativo
che le elite occidentali- avvalendosi della loro egemonia culturale e
del potere che glie ne deriva di dare il nome alle cose – hanno dato alla
difesa del “potere di decidere a livello
nazionale o regionale il proprio destino” fatta ostinatamente propria in genere da chi dell’elite non fa parte” .
Della Loggia
riconosce la validità delle critiche espresse da Feltri alle manifestazioni più
estreme del sovranismo populista (ad esempio, le interpretazioni complottiste) ma evidenzia un aspetto che l’autore del
libro non ha considerato e cioè che “
il potere di decidere del proprio destino a livello nazionale o regionale rappresenta puramente e semplicemente il cuore
del suffragio universale: il quale, a sua volta, è, come si sa, l’espressione più
compiuta della sovranità popolare.
…………………………………………..
Ciò che l’antisovranismo fatica ad
accettare è il fatto cle la sovranità
popolare, quale si esprime nel suffragio universale - ambedue pietre angolari
della democrazia – sia in realtà tutt’uno con la sovranità nazionale. Cioè sia
tutt’uno con uno spazio storico- culturale (quello della nazione appunto) che ,
tranne casi rarissimi, si identifica con uno spazio geografico ….. il che vuol
dire che non è facile mettere sotto accusa la sovranità e considerarla quasi
alla stregua di una reliquia del
passato, come in sostanza sembra faccia questo libro”.
Restituita
così al sovranismo la piena legittimità
che merita, si può attribuire al forte movimento in questa direzione iniziato
con la Brexit, proseguito con le elezioni americane e rinforzato da quelle
austriache, polacche, ungheresi e
italiane, il significato non di un incidente di percorso ma di un processo di
revisione del globalismo che non significa chiusura aprioristica nei confronti dei
flussi di merci, capirtali e persone ma che implica la chiara volontà di governarli all’unico
livello in cui si esprime concretamente la sovranità popolare che è attualmente
quello nazionale. In futuro ciò potrebbe avvenire anche a livello sovranazionale
( ad esempio europeo) se le aggregazioni di Stati riuscissero a far coincidere
l’esercizio della sovranità popolare con tale livello, cosa auspicata da Macron
nel suo recente discorso al Parlamento europeo ma ostacolata dalle diverse
posizioni dei singoli Stati, ai quali competono le decisioni primarie dell’Unione
Europea.
L’imposizione
di dazi alle importazioni dalla Cina, attuata dagli Stati Uniti, è giustificata
dall’abnorme disavanzo commerciale fra i due Paesi (400 miliardi di dollari all’anno)
che espone la nazione americana a grandi rischi sul piano dell’indebitamento pubblico
verso l’estero e del difficile mantenimento di un’adeguata base produttiva
nazionale. E’ vero che la Cina ha risposto con dazi più o meno equivalenti
sulle importazioni dagli USA, ma il Presidente Xi Jinping ha anche espresso la
volontà di avviare un negoziato per riequilibrare a situazione, che è appunto
quanto gli USA si proponevano di ottenere.
Il fatto che
gli USA abbiano promesso esenzioni agli Stati considerati “amici” testimonia di
un approccio flessibile che non necessariamente danneggerà il volume degli
scambi, ma che permetterà all’Amministrazione americana di rispondere in modo
concreto alle aspettative di chi l’ha votata e che non debbono necessariamente
coincidere con i desiderata dei potentati economici transnazionali, abituati da
ormai trent’anni a fare il bello e il cattivo tempo per i propri interessi e
spesso a scapito dei cittadini-elettori degli stessi Paesi in cui essi sono
nati.