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martedì 24 dicembre 2013

Libertà non vuol dire licenza



Nel dibattito  seguito al post precedente  un lettore ha scritto il seguente pensiero, che condivido pienamente:

“Dato che si parla di principi liberali, dobbiamo ricordare che "la mia libertà finisce dove comincia la tua".
In Italia invece, soprattutto nell'ultimo ventennio, libertà ha spesso significato licenza di fare i propri comodi anche a scapito della collettività. Basta pensare ai ripetuti condoni fiscali, alla svendita di aziende pubbliche a capitalisti senza capitali, alle norme edilizie favorevoli agli speculatori.
Vorrei essere sicuro che chi è "in cammino per cambiare" tenga conto che queste prassi non devono ripetersi.”
Ho messo in grassetto  il concetto distorto di libertà , che ha prevalso non solo durante i governi di centrodestra ma anche durante quello delle larghe intese , in cui la sinistra è stata acquiescente, se non connivente, con l’impostazione data dal PDL.
Del  Far West edilizio, reso possibile da norme troppo permissive, questo blog si è occupato ripetutamente : solo nel 2013 sono stati  già pubblicati 5 post contenenti  i  ripetuti appelli lanciati dalla Rete dei Comitati per la Qualità Urbanistica al Governo, al Parlamento, alle Autorità regionali e comunali per denunciare i rischi derivanti da questa tremenda distorsione dei principi liberali. Il maggior fautore di una liberalizzazione senza limiti e senza  sostanziali controlli è l’attuale Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi, che dispone pure della delega all’edilizia , il quale, anche per la sua vicinanza alla Compagnia delle Opere, è stato sempre  molto ben disposto verso i costruttori.
Alcune norme del  Decreto del fare che consentono alle Regioni di legiferare  superando a piè pari  gli strumenti urbanistici in vigore, hanno aperto la strada (anzi, un’autostrada)  allo scempio edilizio più sfrenato. Uno dei maggiori giornalisti italiani d’inchiesta, Gianantonio Stella che insieme a Sergio Rizzo ha iniziato la critica alla classe politica con il famosissimo libro “La Casta”, si è recentemente occupato con un articolo su “Il Corriere della Sera”  che propongo di seguito, del  Piano Casa del Veneto che, sulla scia del predetto Decreto, prevede possibilità edilizie che hanno  creato gravissimo allarme. E’ una lettura molto istruttiva:

Il cemento del Veneto e l’offesa al territorio
di Gian Antonio Stella   02 Dicembre 2013


Perfino i sindaci leghisti: perfino loro sono saltati su contro il nuovo«Piano Casa» della «loro» Regione Veneto. Che razza di federalismo è se toglie ai sindaci la possibilità di opporsi a eventuali nefandezze e consente a chi vuole non solo di aumentare liberamente la cubatura in deroga ai piani regolatori ma anche di trasferirla, udite udite, in un raggio di 200 metri? Che la crisi pesi sul mattone, per carità, è ovvio. Ma può essere il «vecchio» cemento la soluzione? Per cominciare, un dossier dell’urbanista Tiziano Tempesta dimostra che l’edilizia occupa ancora oggi (dati 2011) l’8,2% degli occupati veneti e cioè un puntoe mezzo più che nell’«Età dell’Oro» degli anni Novanta. Non basta: già oggi il 59,6% dei veneti vivono in ville o villini uni o plurifamiliari contro una media italiana 16 punti più bassa: 42,9%. E abitano per il 64,9% (dati Istat) in case sottoutilizzate: gli altri italiani stanno dieci punti sotto. Di più, dopo la Lombardia il Veneto è la regione più cementificata con l’11,3% del territorio urbanizzato: il triplo della media europea, pari al 4,3%.

Non basta ancora. Quella di Zaia è la prima regione turistica nostrana. E anche nel 2012 ha registrato 15.818.525 arrivi per un totale di 62.351.657 presenze, per quasi il 65% di stranieri. Di fatto, ogni sei pernottamenti in Italia, uno è nel Veneto. Dove i soli stranieri hanno speso l’anno scorso 5 miliardi di euro. Più che in tutto il Sud messo insieme. Vale la pena di mettere a rischio questo patrimonio aggiungendo mattoni, mattoni, mattoni?

No, rispose qualche anno fa l’allora governatore berlusconiano Giancarlo Galan: «Basta col cemento». No, aveva ripetuto un anno fa Luca Zaia: «Nel Veneto si è costruito troppo, non possiamo continuare così. È necessario fermarci. Questo vale per i capannoni industriali, ma a maggior ragione per le abitazioni. È assurdo continuare ad approvare nuove lottizzazioni quando esistono già abbastanza case per tutti».

L’altra sera la maggioranza di destra ha fatto il contrario. Nonostante gli appelli preoccupatissimi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e delle associazioni ambientaliste. Nonostante la contrarietà dei sindaci (destrorsi, leghisti e sinistrorsi) di tutti e sette i capoluoghi, dal veronese Flavio Tosi al padovano Ivo Rossi: «Una cosa da pazzi. Anche nei centri storici magari resta tutelato quello specifico palazzo ma accanto si potrà fare qualunque schifezza. Fatte le somme (un tot per l’adeguamento energetico, un tot per il fotovoltaico, un tot per l’antisismico e così via…) saranno permessi ampliamenti del 140%. Un mucchio di soldi ed energie per fare piani regolatori seri ed ecco una leggina che dice: fate come vi pare».

«Ma non è vero! Al massimo l’ampliamento potrà essere del 80%. Qui si è fatta troppa demagogia — ribatte Zaia —. È una legge che va di pari passo con quella sulla cubatura zero. E non esautora affatto i sindaci. Pone fine a un eccesso di discrezionalità. Quanto allo spostamento di 200 metri, mi dicono fosse un emendamento della sinistra…».

Colpisce, però, che la maggioranza abbia tirato dritto nonostante la rivolta, come dicevamo, di moltissimi sindaci leghisti. «È chiaro l’intento degli alleati di forzare la mano per estromettere dal controllo del territorio i sindaci, da sempre baluardo della politica nazionale della Lega», aveva tuonato giorni fa Ivano Faoro, Responsabile Nazionale Enti Locali. E aveva chiuso invitando i consiglieri regionali leghisti a «votare secondo il chiaro indirizzo espresso dal partito». Macché. Contro il piano ha votato solo Matteo Toscani: «Mi ha convinto l’ostinazione dei miei colleghi nel voler esautorare i Comuni da ogni possibilità di intervento. Il piano casa viene imposto ai 581 comuni veneti d’imperio, senza alcuna possibilità di aggiustamenti locali». Un delitto: «Le amministrazioni comunali avranno buttato alle ortiche milioni di euro di risorse utilizzate per redigere i vari Prg, Pat e Pi. Ora si potrà edificare quasi ovunque cancellando decenni di pianificazione urbanistica».

Ma cosa prevede, questo piano, accolto con entusiasmo dall’Ance che pure ai convegni sostiene la necessità di riconvertire ciò che c’è? Prevede fino al maggio 2017, per tradurlo dal burocratese con le parole del Sole 24 Ore , una «norma che toglie ai Comuni la possibilità di limitare o escludere l’applicazione del piano casa nei centri storici» e «permette di operare in deroga alle norme urbanistiche ordinarie» e «in deroga ai piani urbanistici e ai piani ambientali dei parchi regionali anche se in questo caso», grazie a Dio, «è necessario il parere vincolante della Soprintendenza».

Ma ecco, abracadabra, la regola più stupefacente: «Gli ampliamenti potranno essere realizzati anche su un lotto adiacente, sino a 200 metri di distanza dall’edificio principale e su un diverso corpo di fabbrica». Come cantava Patty Pravo: «Oggi qui, domani là…». Più molti altri incentivi (basterà portare la residenza sul posto per 42 mesi: sai che fatica…) da far accapponare la pelle ai sindaci dei Comuni turistici più esposti. Come quello di Cortina Andrea Franceschi e di Asiago Andrea Gios, che pur essendo di destra avevano già dato battaglia contro il piano precedente portando il caso, ad esempio, di paesi come Roana (79% di seconde case), Gallio (82%) o Tonezza, dove le case abitate tutto l’anno sono solo il 13%. Con enormi problemi di gestione del territorio.

«È una pazzia: il nostro municipio per tagliare dieci metri quadrati di pino mugo deve presentare uno studio di impatto ambientale e invece ora per fare un ampliamento in zona agricola non serve niente di niente — attacca Gios —. È un intervento barbaro di deregulation che va contro ogni strategia organica di sviluppo e che sembra finalizzato solo a spronare meri interventi speculativi. Quella facoltà di spostare la cubatura supplementare nel raggio di 200 metri, poi! Abbiamo fatto una simulazione: ad Asiago potremmo ritrovarci dei villini a ridosso dell’Ossario. Un insulto, alla vigilia del centenario della prima guerra mondiale».

«Non ci volevo credere», confessa Tiziano Tempesta, che già aveva dimostrato come nei dintorni immediati delle meravigliose ville venete sia stato costruito il triplo della media, «è un ulteriore incentivo a favorire l’insediamento sparso». Cioè la sprawltown , quella poltiglia di case, campi, capannoni, sottopassi, villette, condomini che ha assassinato la campagna veneta.

«Non è un piano casa: è un “piano scempi”», accusa Stefano Deliperi, l’anima del Gruppo di intervento giuridico che si è fatto spazio facendo guerra ai nemici dell’ambiente non con gli striscioni ma con le carte da bollo, «un minuto dopo la pubblicazione, impugneremo tutto: qui rischiamo un Far West urbanistico». E se qualcuno esagerasse andando oltre perfino alle già generose concessioni? «Sarà costretto a pagare il 200% degli oneri di urbanizzazione che però non esistono», ride amaro Tempesta. Cioè, secondo gli ambientalisti, il doppio dello zero…

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Recentemente il Coordinamento nazionale dei comitati (CIVU) ha inviato al Ministro Lupi la seguente lettera che ripropone le preoccupazioni di chi ha interesse alla tutela del territorio e della qualità della vita e chiede al Governo di rivedere le norme nazionali che hanno dato il via a questa deriva; analoga richiesta è stata fatta a tutti i Parlamentari.



19 dicembre 2013

Lettera aperta al Ministro Lupi
Pc: Presidente e Vicepresidente del Consiglio – Membri del Governo
Esponenti di Istituzioni  ed Associazioni centrali e territoriali 
Organi d'informazione
Gentile Ministro,
come Lei ben sa, le recenti norme sulla semplificazione edilizia contenute nel Decreto del Fare hanno suscitato forti perplessità durante il dibattito in Parlamento sia da parte delle forze d’opposizione che all’interno della stessa maggioranza. Tanto che Lei ha ritenuto di spendersi, per farle approvare, non solo nella Camera dei Deputati in cui siede, ma anche al Senato, prendendo parte alle riunioni finali della Commissione preposta, quando all’interno della stessa era emersa una maggioranza trasversale che ne avrebbe fatto decadere alcune.
Dopo aver informato, con la lettera acclusa rivolta ai Presidenti delle Regioni  e inviata per conoscenza a numerosi attori istituzionali, dei gravi rischi per la qualità urbanistica delle nostre città e per la qualità della vita dei loro abitanti conseguenti alle norme predette, abbiamo poi segnalato, con la seconda lettera, rivolta ai Sindaci delle città capoluogo, delle gravi anomalie del Piano Casa della Regione Veneto, che amplifica a dismisura i rischi predetti e che ha suscitato un grave allarme fra i Sindaci di numerose città venete, che temono forti danni al territorio.
Siamo fermamente convinti che non è con la liberalizzazione indiscriminata in campo edilizio che si può riavviare l’economia nazionale e le sorti di questo settore penalizzato dalla crisi: essendo le nostre città uno degli “asset“ fondamentali del patrimonio economico, culturale e turistico nazionale, un’aggressione alla loro forma e al loro equilibrio urbanistico si tradurrebbe in una perdita secca per il Paese e in una forte perdita di consenso delle forze politiche che ne hanno la responsabilità.
Invitiamo pertanto Lei e l’intero Governo a valutare l’opportunità di correggere le disposizioni normative che hanno creato i rischi e l’allarme segnalati, ascoltando non solo i suggerimenti dei costruttori ma anche quelli dei cittadini e degli urbanisti, che hanno espresso forte contrarietà.
Il nostro Coordinamento nazionale,  su cui trova informazioni al seguente link:
sta raccogliendo adesioni in tutto il Paese e continuerà ad attivarsi per monitorare gli sviluppi della normativa a livello statale, regionale e comunale in modo da attivare le opportune e sinergiche azioni di contrasto, in ogni sede, alle ulteriori iniziative edilizie che dovessero danneggiare la vivibilità urbana.
Siamo a Sua disposizione per un confronto su questo argomento.
RingraziandoLa dell’ attenzione, La salutiamo cordialmente.

Per il Coordinamento CIVU:
I Portavoce
Roberto Barabino (Rete dei Comitati per la Qualità Urbanistica) - Milano
Anna Maria Bianchi ( Laboratorio Carteinregola) – Roma




mercoledì 18 dicembre 2013

Una nuova proposta politica



Pubblico con piacere il manifesto elaborato da un gruppo di partiti e movimenti  che intendono dar vita ad una nuova forza politica capace di attuare la riforma liberale e federalista di cui si parla da tanti anni e che non ha mai visto la luce.
E’ uno spazio politico importante, che attualmente è vuoto per il prevalere di logiche stataliste anche nei partiti che a tale riforma idealmente si richiamavano.
 Questa forza intende aggregare i ceti produttivi  in uno sforzo di modernizzazione dello Stato e di una riduzione del suo intervento nella società, per liberare le potenzialità che in essa esistono e favorire un rilancio culturale ed economico del nostro Paese.

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Il Manifesto

in Cammino per cambiare


Dichiarazione congiunta
Questa Italia, di cui siamo innamorati, va nella direzione sbagliata e corre il rischio di continuare sul sentiero di un inesorabile declino al quale è stata avviata dalle politiche adottate negli ultimi decenni. Bisogna invertire rapidamente la rotta, ma i partiti che sostengono questo governo sono incapaci di farlo. L’ondata di antipolitica che questo stato di cose ha generato si è espressa sia con l’astensione dal voto che con il sostegno al M5S, il quale non sa indicare al paese una via di uscita credibile.

Una radicale svolta politica, istituzionale, economica ed anche culturale si può mettere in atto solo cambiando la struttura dello Stato sia a livello nazionale sia a livello europeo, modernizzando la struttura statale italiana e gettando le basi per costruire un’Europa Federale, che superi i limiti istituzionali dell’attuale Unione Europea. Italia ed Europa devono tornare ad assumere la posizione di protagonisti nei confronti del resto del mondo. L’Italia ha bisogno di vere riforme ma l’attuale classe politica non le vuole per perpetuare i privilegi di cui si è appropriata a danno dei cittadini che lavorano e producono.

L’Italia ha quindi bisogno di una grande formazione politica che rappresenti le componenti sociali più vive e produttive del paese per realizzare quella riforma liberale di cui si discute inutilmente da trent’anni. In Italia, questo soggetto politico non esiste: va costruito. Questo è l’obiettivo per cui abbiamo deciso di cooperare superando le non rilevanti differenze di visione che ci hanno sino ad ora tenuti divisi, per cercare invece di valorizzare quel patrimonio culturale e di idee che ci accomuna. Per questo facciamo appello a tutte le persone ed istanze sinceramente riformatrici perché si associno a noi, con spirito critico ma positivo, per costruire un’aggregazione politica alternativa sia al conservatorismo di PD e PdL che alla critica distruttiva del M5S.

La proposta che avanziamo è di costruire assieme tale formazione politica su un programma ben chiaro e definito, unificando e valorizzando in essa le esperienze politiche che rappresentiamo e quelle molte altre che esistono nel paese e che, da diversi punti di vista, hanno a cuore quegli stessi obiettivi di rinascita della nazione che ci ispirano.

Non stiamo proponendo di unificare soltanto tutti coloro che si rifanno ai principi del liberalismo italiano ed europeo: occorre andare al di là delle vecchie barriere ideologiche che abbiamo ereditato dalla storia nazionale – o di quelle organizzative e di partito – per parlare ai cittadini ed in particolare a quelle realtà che maggiormente patiscono la crisi. Il nuovo soggetto politico che intendiamo costruire vuole essere alternativo all’attuale sistema partitocratico: vogliamo ribaltare la società dei divieti e dei privilegi che uccide l’economia del paese e nega libertà ai cittadini.

Unirsi non significa mortificare l’identità delle organizzazioni e delle persone che a questo progetto partecipano, costringendoli a rinunciare alla propria storia ed imponendo loro di abbandonare i propri valori. Al contrario, per noi unirsi consiste nel valorizzare ed esaltare queste storie, questi valori, queste visioni strategiche, per costruire, insieme e con altri, una nuova aggiornata sintesi politico-programmatica.

Le elezioni europee sono la prima scadenza che non possiamo mancare. Occorre sia riportare l’Italia in Europa, da protagonista, che cambiare l’Europa sburocratizzandole entrambe. Vogliamo arrivare preparati alle elezioni europee del maggio 2014 come parte integrante di una forza politica di ispirazione liberal-democratica.

Per arrivare a questo vogliamo raccogliere attorno a tavoli di lavoro tematici tutti coloro che siano disposti a contribuire attivamente a tale processo costituente. I concreti punti fondanti del nostro progetto, in cui noi tutti ci riconosciamo, sono:


  1. Riduzione del debito statale, mediante dismissione del patrimonio pubblico;
  2. Riduzione della spesa pubblica, mediante riduzione del perimetro dell’intervento pubblico nell’economia, con conseguenti privatizzazioni ed eliminazione d’ingiusti sussidi;
  3. Riforma fiscale, che porti ad una drastica riduzione della pressione complessiva e tuteli i cittadini e le imprese dagli abusi della burocrazia pubblica;
  4. Riforma dello Stato in senso federale, con attribuzione di autonomia impositiva e finanziaria alle Regioni e agli Enti locali in modo da rendere i governi decentrati responsabili delle proprie scelte davanti agli elettori e con meccanismi di perequazione trasparenti a favore delle aree più deboli. Costruzione di un’Europa federale che si ponga come soggetto politico unitario internazionale.
  5. Riforma del diritto del lavoro, per assicurare l’elasticità in ingresso ed in uscita, garantendo i più deboli mediante l’introduzione di un sussidio di disoccupazione universale;
  6. Riforma della Pubblica Amministrazione, con drastico taglio delle strutture burocratiche e delle procedure amministrative, riducendone i costi esorbitanti. Rivedere la giustizia civile e rivisitare quella penale per fare sì che la certezza e celerità del diritto diventino una realtà per tutti i cittadini e non solo propaganda elettorale;
  7. Riforma del sistema creditizio e tutela del risparmiatore, liberandoli da protezioni e influenze estranee al sistema bancario e finanziario;
  8. Lotta all’illegalità, con particolare attenzione alla criminalità organizzata e alla corruzione;
  9. Riforma del sistema educativo, per ridare alla scuola e all’università il ruolo di volani dell’emancipazione civile e socio-economica delle nuove generazioni. Occorre spendere meglio e di più per creare il capitale umano delle nuove generazioni e per fare questo vanno introdotti cambiamenti sistemici. La concorrenza fra istituzioni scolastiche e la selezione meritocratica di docenti e studenti devono trasformarsi nelle linee guida di un rinnovato sistema educativo.
  10. Riforma del finanziamento della politica, abolendo quello statale e sostituendolo con quello dei cittadini, inquadrato in precise regole di trasparenza e democrazia civili unite a tetti antimonopoli di influenza; adozione di una legislazione adeguata ad eliminare i conflitti d’interesse nella vita politica ed amministrativa.

 Tanto premesso e ritenuto, i soggetti firmatari della presente, per il tramite dei loro legali rappresentanti muniti dei necessari poteri di firma

dichiarano
di aderire al progetto di costituire insieme una nuova Formazione Politica, che si ponga lo scopo di far ripartire la crescita del paese per il tramite delle riforme retro specificate. Inoltre,

si impegnano
a collaborare tra di loro e, più in generale, a fare tutto ciò che è necessario perché il progetto possa essere realizzato nel più breve tempo possibile

Italia, 24 ottobre 2013

I promotori:
FARE per Fermare il Declino
Il Coordinatore Nazionale, Michele Boldrin 

Partito Liberale Italiano
Il Segretario Nazionale, Stefano De Luca

Progett’Azione
Il Coordinatore, Angelo Burzi

Uniti verso Nord
Il Presidente, Alessandro Cè

Partito Federalista Europeo
La Presidente Nazionale, Stefania Schipani

Liberalitaliani
Il Presidente Nazionale, Raffaello Morelli


sabato 14 dicembre 2013

Il ciclone Renzi: ora si cambia davvero


La schiacciante vittoria alle primarie del PD dà a Renzi un potere ed una responsabilità straordinari per trasformare questa forza politica in un partito capace di superare le barriere ideologiche e candidarsi finalmente ad una vittoria elettorale vera e non drogata e resa fasulla dai premi di maggioranza. Gli attribuisce anche la responsabilità di "cambiare verso" al Paese, come ama dire e come i cittadini,  non solo di sinistra, in larga maggioranza chiedono.
Ha le doti per realizzare questi obiettivi, come sostenevo nel blog che gli ho dedicato nella scorsa primavera e che ripropongo di seguito integralmente perché il suo contenuto mi sembra del tutto attuale. 
Assisteremo, nei prossimi mesi, ad una straordinaria accelerazione dei processi politici,  che saranno il lievito per un rilancio di quelli economici: forse siamo a un definitivo punto di svolta. Naturalmente purchè Renzi riesca a superare il "muro di gomma" della politica romana di cui parla acutamente e, come al solito,  brillantemente Massimo Gramellini nell'articolo apparso su La Stampa,  che riporto dopo il post.
Dalle prime mosse  direi che è decisamente sulla buona strada.la nomina lampo di una segreteria totalmente rinnovata  è un importante segnale di discontinuità nel partito; l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti indica che, stimolato opportunamente, il Governo è in grado di cambiare passo;  il  passaggio alla Camera della discussione sulla legge elettorale è la dimostrazione di una notevole abilità di "sparigliare lecarte" in un agone politico sclerotizzato: usare maggioranze variabili per definire le "regole del gioco" è assolutamente legittimo e, in fondo, è strano che nessuno ci abbia pensato prima. Con questa mossa è anche sdoganato il Movimento 5 Stelle che forse ora uscirà dal ruolo di oppositore " a prescindere": Staremo a vedere, ma la partita si fa interessante.

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sabato 6 aprile 2013

Renzi: un leader nazionale


Nel post del 21 novembre 2011 “Matteo Renzi: un potenziale leader nazionale?” (visibile cliccando sul seguente link: http://civicum.blogspot.it/2011/11/matteo-renzi-un-potenziale-leader.html) ho analizzato pro e contro della sua candidatura ad un ruolo di primo piano nella politica italiana ed ho messo in evidenza il singolare apprezzamento della sua figura da parte di elettori di diverse parti politiche, che ne facevano un caso unico nel panorama del nostro Paese.
Oggi, a un anno e mezzo di distanza, la sua popolarità è aumentata ( ha fiducia in lui il 56% degli italiani; Bersani è al 29%), a mio avviso per queste ragioni: ha confermato ad alta voce ciò che pensa la gente e cioè che il taglio dei costi della politica, a partire dal finanziamento pubblico ai partiti, è la priorità numero uno, senza la quale è impossibile procedere, in modo credibile, ai  tagli della spesa pubblica ed alle riforme; ha superato l’ambiguità iniziale sui suoi destini politici affermando chiaramente la sua intenzione di candidarsi alla guida del Paese, ha mantenuto, dopo le primarie, un atteggiamento assolutamente leale nei confronti del vincitore delle stesse, cosa rara in politica, ha preso una netta posizione contro il “corteggiamento” del Movimento 5 Stelle, che ha portato Bersani in situazioni imbarazzanti e talvolta umilianti senza produrre risultati.

E’ stato ridimensionato anche  il principale dei punti deboli da me segnalati, cioè la posizione di “ispiratore” assunta, nel suo entourage, da Giorgio Gori , per 11 anni coordinatore delle reti Mediaset, a mio avviso inquietante. Gori non è stato eletto al Parlamento ed  ha lamentato scarso supporto da parte del leader.

Nei giorni scorsi, di fronte alla continua “melina” con cui si stavano svolgendo i riti della politica, Renzi ha rotto gli indugi e chiesto al Partito di prendere una decisione: o un accordo con Berlusconi (accordo, non inciucio), legittimato dal fatto che circa 10 milioni di persone hanno votato per il centrodestra e dall’inesistenza di serie alternative, oppure il voto. Questa mossa conferma il  suo ben noto coraggio e ne dimostra l’acquisita maturità politica: Renzi sa bene che il timore per la sua discesa in campo può portare a un accordo  Bersani-Berlusconi tale da tagliarlo fuori dai giochi, almeno per un certo tempo, ma ha deciso di correrlo per far uscire il PD dalla china discendente in cui si è avviato con l’assurda rincorsa ai grillini  (e l’altrettanto assurda esclusione pregiudiziale nei confronti del centrodestra) e che è pienamente  confermata dai sondaggi. Con ciò ha dimostrato di saper anteporre gli interessi del Paese e del partito a quelli personali. Come ha ben detto su “La Stampa” di ieri Luca Ricolfi “è curioso che a restituire l’onore al PD non siano i  pasdaran di Bersani che sulle “radici” e sull’identità del partito avevano puntato tutte le loro carte, ma questo ragazzino bizzoso e un po’ strafottente che però della politica pare avere un’idea alta. Un’idea secondo cui la parola data si mantiene, quel che si pensa lo si dice, gli avversari si battono in campo aperto, gli elettori – tutti gli elettori – meritano rispetto”.

Quale che sia l’esito, a lui più o meno favorevole, delle trattative in corso fra le forze politiche, Renzi ha dimostrato una statura tale da giustificare pienamente le sue aspirazioni alla premiership. Tolgo quindi il punto interrogativo che avevo posto nel titolo del mio precedente post a lui dedicato e affermo, con il titolo di quello presente, la sua legittimazione a guidare il Paese.

Se il PD avrà l’accortezza di affidarsi a lui, potrà vincere, alla prossima tornata elettorale, in entrambi i rami del Parlamento; se non lo farà, dovrà probabilmente affrontare una dolorosa scissione.

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Il segretario fiorentino

(Massimo Gramellini, La Stampa) Come tutti i conquistatori di Roma, Matteo Renzi ha il problema di non venire conquistato. Lo si è capito già durante la prima visita alla cittadella espugnata. Il sovrano etrusco (venticinque secoli dopo Tarquinio il Superbo, che come denuncia il soprannome aveva in comune con Renzi una certa autostima) ha incrociato i muri di gomma contro cui va a scornarsi il decisionismo di tutti gli invasori dell’Urbe. Giornalisti smagati, burocrati inaffondabili e politici inafferrabili, categoria di cui Enrico Letta è il campione.  Va dato atto a Renzi di essersi difeso abbastanza bene. Ha nominato la segreteria in mezz’ora, neanche fosse il consiglio di amministrazione di una società svizzera di consulenza. Ha saltato il pranzo per evitare di finire attovagliato (direbbe Dagospia) in uno di quei ristoranti del centro che la romanità utilizza per fare precipitare in catalessi chiunque si sia messo in testa di cambiare qualcosa. E ha tenuto una conferenza stampa brevissima e sincopata pur di sottrarsi alle domande avvolgenti dei volponi di Palazzo, gente che ha visto passare papi, presidenti, capipopolo e marziani senza mai altra reazione che un lieve inarcamento di sopracciglia. Infine ha incontrato Letta cercando di rimanere sveglio e in parte riuscendoci addirittura. A quel punto è scappato a Firenze sano e salvo. Ma fino a quando? Roma è paziente e di solito vince sempre. Stavolta, per il bene di tutti, speriamo almeno in un pareggio.