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giovedì 31 agosto 2017

Elezioni politiche 2018: listone unico o premio di coalizione?



In un commento al post precedente ho citato una notizia di stampa che dà per possibile, o quantomeno non impossibile, la presentazione di una lista unica del centrodestra, in base ad un sondaggio fatto dall’Istituto Euromedia Research diretto da Alessandra Ghisleri, che gode della fiducia di Berlusconi.
 La ricerca ha messo in evidenza che gli elettori di questa Area politica vedrebbero bene la presentazione congiunta di tutte le forze, grandi e piccole , che ne fanno parte perché una coalizione visibilmente unita avrebbe una buona probabilità di successo. Questo orientamento, che può apparire sorprendente viste le posizioni spesso antitetiche assunte su vari temi dai leader del centrodestra, è probabilmente dovuto all’eccellente risultato raggiunto alle  recenti  elezioni amministrative, che hanno mostrato la capacità di attrazione di un polo politico chiaramente alternativo alla sinistra, dopo la stagione delle convergenze fra Berlusconi e Renzi, che hanno disorientato buona parte dell’elettorato.
Le reazioni negative a questa ipotesi non sono mancate, nei giorni successivi, da parte di esponenti della Lega e di Forza Italia (Fratelli d’Italia invece è compattamente favorevole a tale opportunità), ma il fatto stesso che se ne parli è indicativo di un atteggiamento dei cittadini votanti fortemente contrario a riproporre, nel nuovo quadro elettorale di tipo proporzionale in cui avverranno le prossime elezioni, i  riti della vecchia politica. In essa i cittadini non potevano controllare i patti, spesso presi  sottobanco, fra i partiti destinati a costituire una più o meno labile maggioranza e quelli destinati ad un’opposizione spesso consociativa, che tanti danni ha prodotto nel nostro Paese soprattutto con l’esplosione del debito pubblico per soddisfare le numerose clientele dell’una e dell’altra parte.
Bisogna rendersi conto che, anche se si torna al proporzionale, non si può non riconoscere l’esigenza ormai  diffusa nell’elettorato di ricevere offerte politiche chiaramente alternative fra cui i cittadini possano, di volta in volta, scegliere quella preferita. E’ questo un lascito del sistema maggioritario che non può essere cancellato con un colpo di spugna. E’ anche il frutto di un atteggiamento più laico e fluido dell’elettorato che vuole esprimere sì una propria identità, ma è disposto a “cambiare cavallo”, se il proprio si dimostra inadeguato.
A mio avviso l’ipotesi della lista unica è molto interessante, anche se di non facile attuazione,  perché offre al centrodestra l’opportunità di accedere al premio di maggioranza alla Camera (dove il premio va alla lista),  cosa attualmente impossibile per il centrosinistra, in cui le recenti scissioni rendono improponibile l’ipotesi della lista unica. Questo fatto può essere una “spada di Damocle” e quindi un  forte strumento di pressione negoziale per indurre il centrosinistra ad accettare una limitata modifica della legge elettorale al fine di  estendere alla Camera il premio di coalizione (che oggi esiste solo al Senato). Se centrodestra e centrosinistra trovassero un accordo su questa ipotesi ( i 5 Stelle sono autoesclusi da questa logica perché contrari alle coalizioni), sarebbe possibile avere un sistema di voto omogeneo nei due rami del parlamento, che soddisferebbe il requisito minimo posto dal Presidente Mattarella e sarebbe più facile per  le varie forze dei due poli “trovare la quadra” per proporsi in modo credibile agli elettori.  Il rischio per tali forze , se non accettassero una proposta di questo tipo, sarebbe quello di perdere la partita ancor prima di iniziare a giocarla. Questa circostanza è favorevole allo sforzo di coalizione portato avanti da Pisapia.
La prospettiva che ho delineato allontana invece  la possibilità di alleanze fondate sull’equilibrio tripolare, ad esempio un nuovo “Patto del Nazareno” fra  Renzi e Berlusconi, o un’alleanza “in salsa sovranista” fra Grillo e Salvini ed apre le porte ad un sistema di convergenze che definirei  “proporzionale con governabilità”, che consentirebbe di coniugare  un elevato grado di rappresentanza politica della società italiana  con un adeguato potere decisionale della coalizione vincente.
Credo che i partiti di centrodestra e di centrosinistra  debbano riflettere sulle opportunità di un loro rilancio derivanti da questa scelta.  Un semplice ritorno all’antico segnerebbe probabilmente la loro fine e l’avvento del Movimento 5 Stelle, che da tempo li aspetta” sulla sponda el fiume “.

martedì 15 agosto 2017

Se volete "marciare divisi per colpire uniti" non vi votiamo




In due recenti articoli sul Corriere della Sera Angelo Panebianco e Stefano Passigli hanno trattato delle conseguenze del ritorno al sistema proporzionale: entrambi sottolineano l’assurdità di affermazioni e credenze  (es: “Il leader del Partito che risulterà più forte alle elezioni sarà il candidato premier” detto da Renzi) che  erano valide con il maggioritario ma non lo sono più col cambiamento di regime elettorale.  Come dice Panebianco, nel maggioritario si vota “contro” cioè per far perdere l’avversario, mentre nel proporzionale si vota “per”, cioè con l’intento di affermare la propria identità, il che porta a un panorama politico molto variegato e a coalizioni instabili e rissose. In queste condizioni è difficile che vi sia consenso per un premier espresso dal partito di maggioranza relativa ed è probabile che “ la Presidenza del Consiglio vada ad un esponente politicamente meno forte, con meno truppe al seguito” Per i partner infatti “un Gentiloni sarebbe sempre più accettabile di un Renzi”
Gli fa eco Passigli che scrive al riguardo “in mancanza di maggioranze certe un reincarico a Gentiloni non sarebbe da escludere, e persino auspicabile”.
Dove i due opinionisti in parte si differenziano è sulle conseguenze. Panebianco  afferma “non siamo in pochi a tremare per gli effetti che può avere il ritorno della proporzionale. Essa ha garantito in Italia la democrazia ( pur al prezzo di una continua instabilità governativa) quando esistevano partiti forti, radicati nel Paese, Ora quei partiti non si sono più (nè mai più ci saranno): ci attende un futuro di instabilità e forse anche di rischi per la democrazia”. Non vede quindi possibili vie d’uscita.
Passigli sostiene invece che non tutto è perduto, pur non nascondosi le difficoltà: “la sola misura che potrebbe dar vita ad una stabile maggioranza di governo sarebbe l’estendere alla coalizione vincente il premio ora previsto per la lista che superi il 40” dei suffragi. Questa semplice soluzione è però rifiutata dai maggiori partiti per l’identico motivo che……non conviene ai rispettivi leader”. Riferendosi ad essi ( Berlusconi, Grillo, Renzi, Salvini) Passigli aggiunge: “ Sta ai nostri quattro “Signori della guerra” firmare una tregua nell’interesse del Paese. E’ auspicabile che sia proprio sulla loro disponibilità a ricercare un accordo sulla legge elettorale che i cittadini li giudichino e se necessario li puniscano”.
Condivido la riflessione  evidenziata anche se, dopo il fallimento dell’accordo sul “modello tedesco”, ci sono forti dubbi sulla volontà di riprovarci.
 In ogni caso ritengo non solo auspicabile ma necessario  ed anche  molto probabile che i cittadini rifiutino la logica cha sta alla base dello slogan citato nel titolo di questo post, slogan che significa: cercare di differenziarsi al massimo in campagna elettorale (anche con plateali ed estreme contrapposizioni, come quelle fra Salvini e Berlusconi) al fine di raccogliere più voti, salvo poi accantonare le apparenti differenze per riprendere insieme “nelle segrete stanze” i giochi di potere della vecchia politica, dopo il risultato elettorale.  Tutto ciò porterebbe a scelte nell’interesse della casta ma non dell’Italia.  
Ciò che i leader politici devono capire è che gli elettori si sono “scafati” e  non vogliono più avere il ruolo degli “utili idioti” ai quali li ha ridotti un sistema politico autoreferenziale. Il “teatrino della politica” che ci viene quotidianamente somministrato attraverso gli organi d’informazione è ormai indigesto ai più ed è quindi assai probabile che gli elettori facciano, alle prossime consultazioni elettorali, uno scherzetto a quelle forze e a quei politici  che più indulgono nella triste commedia della contrapposizione quotidiana e premino quelli che si comportano  più seriamente a fronte dei gravi problemi che tuttora incombono sul Paese. Suggerisco quindi a coloro che si ostinano nella sgradevole rappresentazione,  di attenersi ad alcune semplici regole, se non vogliono prendere una  seria batosta:
-           Abbassare decisamente i toni del confronto politico
-           Smetterla con il quotidiano e controproducente ping-pong di accuse e controaccuse
-          Proporre soluzioni meditate e credibili ai problemi più urgenti del Pese  (in primis il debito pubblico)
-          Agire in modo propositivo per un confronto su programmi realistici, sui quali cercare convergenze vere da proporre agli elettori  prima e non dopo le consultazioni
-          Farsi parte attiva per attribuire il premio di maggioranza alla coalizione vincente
Seguendo tali orientamenti si può dar vita ad un sistema proporzionale realmente rappresentativo delle diverse componenti della società e non vittima designata dell’inconcludenza e della rissosità.
Anche se il panorama politico complessivo è piuttosto desolante, non mancano forze che già si muovono in questa direzione: esse saranno premiate dall’elettorato.


martedì 1 agosto 2017

Per l'immigrazione ci vuole la dissuasione



Il più grave errore dell’Italia su questo tema è aver sottovalutato la forza di  attrazione esercitata sui migranti da un’accoglienza indiscriminata   ( ma anche sulle organizzazioni che  hanno motivi e interessi, non sempre commendevoli,  per portarli da noi) . Occorre invertire la rotta, come dice chiaramente nella seguente intervista un esperto che sa il fatto suo.
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Intervista di Davide Lerner a Gerald Knaus – La Stampa  22/7/2017

Ad Ankara lo presentano come l’inventore dell’accordo UE-Turchia, il patto con cui Bruxelles delegò la chiusura della rotta balcanica ai turchi in cambio di miliardi di euro da investire sui migranti.
Gerald Knaus, fondatore e anima dell’influente think-tank “European Stability Initiative, vicino a Merkel, sostiene che ora il patto con Erdogan andrebbe replicato per “tamponare” la rotta del Mediterraneo centrale.

Come si fa?
“L’Italia deve presentare un piano che garantisca la riduzione dei flussi oltre che insistere sulla solidarietà se vuole essere ascoltata. Serve creare gli incentivi necessari affinché gli Stati africani, a partire da un giorno prestabilito, si impegnino a garantire i rimpatri immediati di chi non ottiene alcuna forma di protezione in Europa. In maniera analoga a quanto fatto dalla Turchia a partire dal 20 marzo 2016”.

Perché è importante identificare un giorno X per i rimpatri?
“I numeri ci dicono che al momento gli Stati europei non hanno un meccanismo efficiente per i rimpatri. Prendiamo ad esempio proprio l’Italia: malgrado le sei principali nazioni di provenienza dei migranti abbiano tassi di riconoscimento dello status di rifugiato bassissimi (attorno al 3%) quasi nessuno viene rimandato a casa. I Paesi d’origine non hanno interesse a collaborare, sia perché non vogliono rinunciare alle rimesse economiche degli  emigranti sia perché sarebbe una politica impopolare sul piano domestico”.

Come fare quindi per rallentare gli arrivi?
“Serve stabilire una data X a partire dalla quale c’è la certezza del rimpatrio, proprio come fecero gli USA con Cuba nel 1994-1995. I nigeriani, i più numerosi a compiere il viaggio verso l’Italia, non sceglierebbero certo di  attraversare Sahara, Libia e Mediterraneo centrale se sapessero che hanno l’80% di chance di essere rispediti indietro.”.

Crede che basti fissare una scadenza  per scongiurare le partenze dal Sahel?
“No, per convincere i Paesi d’origine a questo tipo di collaborazione servono incentivi: aiuti umanitari, magari qualche concessone sui visti, ma soprattutto quote annuali per l’emigrazione sicura e legale in Europa. Devono avere interesse a collaborare con l’Ue, proprio come ce l’aveva Ankara”.

Ma in questo caso l’accordo non sarebbe analogo a quello con la Turchia, che è un Paese di transito.
“E’ inutile ragionare sui Paesi di transito sulla rotta del Mediterraneo centrale, bisogna smettere di pensare alla Libia come a un partner per un accordo sui migranti. Non è pensabile replicare l’accordo che fece Berlusconi con Gheddafi nel 2009 per il semplice motivo che la Libia, a differenza della Turchia, non è un Paese “sicuro”. Da un punto di vista legale e morale, oltre che da quello pratico visto che in Libia non c’è uno Stato. Non si possono confinare lì i migranti. Bisogna parlare coi Paesi di provenienza  e poi costruire un sistema di valutazione delle richieste d’asilo fulmineo: l’esempio da seguire è quello olandese”.

Come funziona?
“ Decisioni rapide. Redistribuzione interna per chi ha le carte in regola e rimpatrio per chi non ha titoli per restare. Così si aggirerebbe anche l’annosa questione della riforma di Dublino e si potrebbe dare il là alla redistribuzione interna in Europa”.