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sabato 23 dicembre 2017

Campagna elettorale: considerazioni e suggerimenti


Se  vogliamo capire le “forme” della nuova legge elettorale, cioè i suoi principi guida,  che “danno forma” alle successive azioni politiche e le indirizzano , dobbiamo guardare non tanto alle intenzioni di chi l’ ha approvata quanto alla realtà di ciò che è stato costruito e che non coincide necessariamente con le prime.
 Per fare questo ci aiutano due numeri: 60 e 40 che sono, all’incirca, le percentuali di seggi che verranno attribuiti con un sistema rispettivamente  proporzionale e maggioritario. L’intenzione che molti attribuiscono agli autori della legge è quella di danneggiare il Movimento 5 Stelle che, non facendo coalizioni, dovrebbe perdere nei collegi uninominali.  Ma l’analisi delle forme ci dice un’altra cosa: i principi guida reali , che si desumono dai numeri, sono due:  “il necessario compromesso”, che deriva dall’essere la stessa legge elettorale un compromesso fra proporzionale e maggioritario e “la prevalenza della logica proporzionale”.  Ciò ha delle conseguenze pratiche rilevantissime:

-     1   -   Il futuro Capo del Governo dovrà essere necessariamente un mediatore

-     2 -     I confini delle attuali coalizioni elettorali non potranno reggere, perché nessuna di esse  potrà vincere

-    3 -       la mediazione vincente sarà fra forze oggi percepite come incompatibili 

Ne consegue che la legge elettorale potrebbe favorire i 5 Stelle  anziché danneggiarli.

A fronte di questo quadro, che suggerisce moderazione e prudenza, la campagna elettorale  ( non ancora ufficiale ma già molto attiva) viene condotta con toni ultimativi e denigratori  come neanche ai tempi del maggioritario che induceva a polarizzare le posizioni: la mancanza di rispetto reciproco  è arrivata ad assurdità come quella di Di Maio che ha definito Maria Elena Boschi “il Mario Chiesa della seconda repubblica” , ottenendo la promessa di una querela dall’interessata,  e come quella della Meloni che non solo ha chiesto , come altri, le dimissioni dell’ex Ministro ma addirittura di tutto il Governo. Sono parole in libertà, poco meditate e  assolutamente inadeguate ad affrontare  la delicata situazione del Paese. La Boschi è stata certamente imprudente a occuparsi attivamente di Banca Etruria in cui lavorava il padre in posizione di vertice, ma le varie audizioni fatte dalla Commissione sulle banche non hanno  mostrato richieste improprie da parte sua , né vantaggi per la sua famiglia derivanti dai colloqui avuti con esponenti  istituzionali. Se la Boschi dovesse fare un passo indietro, almeno due li dovrebbe fare il Direttore di Repubblica Calabresi che, in un editoriale del 21 dicembre si comporta come un capo partito  intimando alla Boschi di farsi da parte e al PD di non ricandidarla:  non proprio ciò che ci si aspetta da chi dovrebbe fare informazione e non politica. E’ un esempio evidente del  detto: “vedere il fuscello nell’occhio altrui ma non la trave nel proprio”:

Un minisondaggio da me fatto con persone inclini ad astenersi alle prossime elezioni indica che la ragione principale del loro orientamento sta nella “conflittualità fasulla e inconcludente fra i partiti politici”,  di cui è un buon esempio la canea che si è scatenata sul caso Etruria.  Ne consegue che le forze politiche dovrebbero:

-        -   moderare i toni, evitando la costante delegittimazione dell’avversario, che molti cittadini  non gradiscono

-         -  smetterla con le facili e false promesse, che irritano gli elettori, e concentrasi sulla sostanza dei problemi nazionali da risolvere                                                      

-       -    non sottovalutare le gravi conseguenze dell’aumento dell’astensionismo

Sul primo punto bisogna dare atto che qualche passo in avanti è stato fatto da alcuni leader politici, ad esempio Matteo Salvini su temi quali l’Europa e l’integrazione degli immigrati, ma molto c’è  da fare se non si vogliono disgustare ancor più  gli elettori i quali, nei sondaggi, premiano come politici più graditi Gentiloni  e Franceschini, accomunati da sobrietà e senso delle istituzioni..

Sul secondo punto i politici dovrebbero rendersi  conto che gli elettori, in grande maggioranza, sono diventati adulti e non sono più disposti a “bere” come un tempo, una propaganda smaccata e infondata che suona offensiva alle orecchie dei più ( tipo: i mille euro di pensione minima promessi da Berlusconi,  che porterebbero l’Italia alla bancarotta). Ha scritto al riguardo Ferruccio De Bortoli in un editoriale sul Corriere della Sera del 3 dicembre: “Basta ingannare gli elettori illudendoli che ci sia una torta da dividere. Non c’è più da tempo. E non è detto che proposte  serie, circostanziate e credibili  non raccolgano più consensi dei giochi di prestigio programmatici”.

Sul terzo punto cito  Gustavo Zagrebelsky che, in un editoriale su Repubblica del 23 novembre, dopo aver osservato che  l’astensione di cittadini sfiduciati lascia spazio non solo ai cittadini che sanno per chi votare ma anche a  coloro che sanno a chi votarsi perché hanno ricevuto promesse di favori o minacce. Il voto dei primi è libero, il secondo è forzato. Coloro che appartengono al mondo di chi sa a chi votarsi di certo non si astengono. Così tanto maggiore è il loro numero, tanto maggiore è l’incidenza del voto corrotto su quello libero. Se -  supponiamo – votano in cento e i voti corrotti sono venti, i venti rappresentano un quinto del totale, se votano in sessanta e i voti corrotti sone sempre venti, i venti rappresentano un terzo del totale. Ciò significa, in breve, che l’astensionismo  attribuisce un plusvalore al voto di scambio e, in genere, all’influenza delle varie forme di  criminalità organizzata che operano nel nostro Paese”:
Sono parole su cui le forze politiche ed anche i cittadini  dovrebbero riflettere  attentamente.

Per concludere, chi vuole davvero recuperare voti dall’ampia fascia degli astenuti e di chi vota scheda bianca deve dimostrare serietà e rispetto per gli avversari politici e per i cittadini, anche facendo proposte articolate e credibili ed  evitando gli slogan e la demagogia a buon mercato. Gli elettori sapranno  tenerne conto.

sabato 2 dicembre 2017

Di Maio ci ripensi



Il  candidato Premier del Movimento 5 Stelle ha recentemente dichiarato che, se arrivasse al governo del Paese, vorrebbe “ fare, come Trump, una manovra in deficit per abbassare le tasse”. Non sappiamo se si tratta solo di propaganda elettorale o di un’effettiva convinzione ma, nel secondo caso, sarebbe un proposito estremamente pericoloso per l’Italia che ha un debito pubblico vicino ai 2300 miliardi, fra i primi tre al mondo in rapporto al Prodotto Interno Lordo.
Il  recente miglioramento del PIL, che cresce ora fra 1,5 e il 2%, è certamente una buona notizia ma non è sufficiente a riassorbire, neppure gradualmente, il macigno del debito che rischia di far deragliare il nostro sistema economico e sociale. Aggiungere altro debito porterebbe questo rischio a livelli insostenibili e scatenerebbe  quasi certamente  una violenta reazione dei mercati finanziari, dai quali dipende la nostra possibilità di acquisire risorse a credito. Giustamente nei giorni scorsi  e prima della affermazione fatta da Di Maio il Vice Presidente della Commissione Europea Katainen aveva dichiarato che i nostri conti non sono ancora  in ordine e che “occorre dire la verità agli italiani”. Il problema è che non ci sono in Italia politici disposti a fare i conti con la realtà: se l’Italia non affronta i nodi della riduzione della spesa pubblica improduttiva e dell’evasione fiscale non si allontanerà mai dall’orlo dell’abisso e potrebbe finire per cadervi dentro.
In un  efficace editoriale del  19 novembre sul Corriere della Sera, intitolato “ I politici dei pasti gratis”,  Angelo Panebianco ha detto cose rilevanti su questo tema partendo dalla  “ formula magica” che ha portato alla bancarotta numerosi Paesi (l’Argentina di Peron, Il Venezuela di Chavez e Maduro, lo Zimbawe di Mugabe, ecc.) “occorre che una parte sufficientemente ampia della popolazione creda a quei governanti i quali sostengono che sia possibile avere pasti gratis, che sia possibile campare bene a scrocco di qualcun altro.
 La discesa all’inferno avviene solitamente in due tappe . Nella prima i nuovi governanti si dedicano ad una generalizzata distribuzione di risorse varie che va molto al di là delle capacità economico-finanziarie del Paese. E’la fase del consenso”. Ma prima o poi “ il meccanismo economico s’inceppa, l’inflazione comincia a galoppare, le imprese annaspano e falliscono, i capitali scappano, i creditori, nazionali e internazionali, rumoreggiano dietro la porta, si affaccia lo spettro della bancarotta.
Si  entra nella seconda fase. Contrariamente a quanto pensano gli ingenui, i governanti che hanno così clamorosamente fallito non vengono cacciati a furor di popolo. Si salvano dando il via a una caccia alle streghe: attribuiscono il loro fallimento ad una congiura di nemici esterni  ( la “finanza internazionale” e gli Stati Uniti sono capri  espiatori perfetti) e interni.
……………..
Non si creda che i Paesi più ricchi e liberi siano immuni. La politica può fare disastri anche lì…… Anche l’Italia è a rischio. Si ricordi che qui ci sono aree (territoriali e professionali)  nelle quali la fede nei pasti gratis è  la regola. Ci sono zone del Paese che campano di trasferimenti ma che li hanno sempre usati per creare rendite, non per favorire sviluppo. . E ci sono sacche di parassitismo annidate nella Pubblica Amministrazione ….
Poiché ora è un candidato premier, Luigi Di Maio  dei 5 Stelle non dovrebbe proporre soluzioni economiche che ci porterebbero verosimilmente alla bancarotta. Ridurre fortemente le tasse sulle imprese aumentando il deficit, senza ridurre il debito e senza preoccuparsi dei vincoli europei significa proporre pasti gratis. Dimenticando che l’Italia non è l’America di Trump e non può fare leva su una posizione internazionale di preminenza. E’ sacrosanto ridurre le tasse ma non prescindendo dai vincoli finanziari e non. Né, in seguito, la ricerca del capro espiatorio sarebbe di aiuto per un Paese afflitto da guai  economici crescenti”.
Il Movimento 5 Stelle s’è presentato sulla scena politica italiana come il portatore dei valori di legalità, onestà e trasparenza ed anche  per questo è stato premiato alle elezioni politiche dl 2013 e, più recentemente, alle amministrative siciliane e quelle del Municipio di Ostia. Deve quindi  fare molta attenzione a non cadere nella logica della “captazione del consenso a tutti i costi” che è totalmente contraria a tali valori. Vale la pena di ricordare quanto prescrive la nostra Costituzione all’art. 81:
“Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”.
La statura politica di Luigi Di Maio si misurerà dalla sua capacità di tener fede al dettato costituzionale.



domenica 12 novembre 2017

Trump: basta con i pregiudizi




In un recente intervento pubblicato su La Stampa  il 26 ottobre col titolo  “ Non dobbiamo isolare Trump”                                                                                                                                                               Charles A,. Kupchan, già Assistente  speciale per la sicurezza Nazionale del Presidente Obama, fa un ritratto apocalittico del PresidenteTrump e afferma:” I partner dell’America sono comprensibilmente preoccupati e si chiedono se sia giunto il momento di smettere di lavorare con lui e iniziare a lavorare senza di lui, se non contro di lui ….. gli alleati americani devono accettare la dura realtà: i leader più esperti potrebbero non riuscire a contenere Trump, e la sua presidenza nei prossimi mesi potrebbe andare peggio invece che migliorare …. Trump cavalca il suo populismo sfrenato … il nazionalismo con tinte razziali è rimasto , e addirittura diventato più radicato”. Poi invita i partner a coinvolgerlo perché “snobbarlo o isolarlo  non farà che peggiorare le cose”.
Dopo queste considerazioni che dipingono il Presidente USA come una specie di “minus habens” che deve essere protetto da se stesso, Kupchan ammette che  “perfino quando Trump si mostra pronto a smantellare quello che non gradisce, tende ad offrire una scappatoia: Invece di cancellare semplicemente l’accordo con l’Iran, l’ha passato al Congresso. Ha annunciato la fine del programma dei “dreamers” (i residenti entrati o rimasti negli USA illegalmente …)ma ha iniziato con i democratici un dialogo su come preservarlo ……” e si domanda  con apparente candore “non possiamo sapere se questo stile sia frutto di un congenito essere scostante, o parte di una abile strategia negoziale”.
L’articolo infine si conclude con il tono che aveva all’inizio: “A giudicare dal discorso di Trump alle Nazioni Unite di settembre, vuole riportarci indietro, in un mondo dove ogni nazione stia per conto suo. Dobbiamo fare in modo che non ci riesca”.
Francamente è un ritratto che non convince sia per il tono esageratamente negativo  che  per l’evidente contraddizione fra l’immagine offerta di Trump come persona incapace e intrattabile e l’abilità riconosciutagli, sia pure “obtorto collo”, di un approccio flessibile ai problemi.
Nello stesso giorno e sempre su La Stampa è comparso un articolo che riporta dichiarazioni di Steve Bannon, già Chief Strategist della Casa Bianca, ritenuto comunque la sua eminenza grigia, dipinto dai suoi avversari politici come l’ispiratore delle posizioni estremiste di Trump. Cito alcuni passaggi del suo discorso: “associare America First all’isolazionismo non ha senso. Trump non è disconnesso dal mondo. Lo vede attraverso la lente jacksoniana dell’interesse vitale per la sicurezza degli USA, che però può coincidere con l’interesse degli alleati. L’Isis ad esempio è stato distrutto con l’aiuto dei curdi e di altre forze….Nessuno in America vuole combattere per generazioni. Perciò ero contrario ad inviare altri soldati in Afghanistan, dove cerchiamo di imporre un sistema liberal-democratico ad una società che non lo vuole. Basta con il nation building, abbiamo una nazione da ricostruire qui in America. Ad Alleati come l’Arabia o l’Egitto abbiamo detto che la riforma dell’Islam, la sfida contro l’estremismo, è una lotta loro, non nostra. Noi ci siamo ed aiutiamo ma devono condurla loro affinché abbia successo. Abbiamo valori che riteniamo universali, però gli altri devono arrivare ad una propria conclusione su come si vogliono governare. La pax americana non si realizzerà imponendo i nostri principi agli altri. Dobbiamo essere una società forte e mostrare al mondo come li applichiamo, sperando poi che il mondo li voglia emulare”.
Mi sembrano considerazioni moderate, di notevole buon senso, ben lontane dalla filosofia dell’”esportare la democrazia con le armi” che ha caratterizzato la politica estera americana per molti decenni.
Forse è opportuno guardare al fenomeno Trump, che è certamente inusuale perché rifiuta il “politically correct” , con occhi più attenti alla sostanza che alla forma.
Se avesse quest’ottica, Sergio Romano avrebbe potuto evitare l’evidente pregiudizio che lo porta a scrivere, nell’odierno editoriale sul Corriere della Sera, che Trump è contradditorio perché, dopo avere a suo tempo, criticato Obama per aver dato un’accoglienza regale a Xi Jinping quando era vicepresidente della Cina “ora il presidente americano dichiara pubblicamente che il popolo cinese ha il diritto di andare orgoglioso del suo leader”:  si aspettava forse che in una visita di Stato Trump dicesse qualcosa di diverso?   Anche il disagio che Romano esprime circa l’insistenza di Trump sul principio “America First” è sorprendente : ritiene forse che  Xi o la Merkel o Macron mettano gli interessi altrui davanti a quelli della loro nazione?
Come ha ben detto Bannon nel passo citato in precedenza, Trump non vuole che gli USA facciano gli "indottrinatori democratici” e i poliziotti del mondo, il che mi sembra un passo avanti, non indietro.

lunedì 23 ottobre 2017

Referendum: il festival dell'ipocrisia


La cosa che più colpisce nel sentire i commenti  dei politici ai risultati dei referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto è l’insopportabile tasso di ipocrisia di molte dichiarazioni.
 
Se si trattasse di una gara a chi la spara più grossa, la medaglia d’oro andrebbe certamente al Presidente Maroni il quale ha dichiarato: “avendo fissato un obiettivo di affluenza molto ambizioso pari al 34% sono molto soddisfatto perché  abbiamo superato il 40%.” In realtà quell’obiettivo, largamente insufficiente,  era stato fissato per il fondato timore di avere una bassa affluenza, come poi si è verificato.  E’ evidente che la maggioranza dei cittadini lombardi, manifestando, con l’astensione dal voto, il proprio disinteresse per il referendum, lo ha sostanzialmente ridimensionato e di questo Maroni dovrà tenere conto, sia nella trattativa che comunque verrà aperta con il Governo, sia  in vista delle prossime elezioni politiche regionali, dato che i lombardi, in maggioranza,  non condividono velleità  troppo autonomiste.

La medaglia d’argento andrebbe invece assegnata al Ministro De Vincenti il quale ha dichiarato che il referendum non era necessario perché  “si poteva fare come l’Emilia Romagna che ha aperto direttamente un confronto col Governo ai sensi dell’art. 116 della Costituzione, facendo finta di non sapere che diverse Regioni, fra cui la Lombardia nel 2007, hanno per anni inutilmente chiesto di aprire un dialogo con il Governo, che è stato sempre rifiutato e che la richiesta di trattativa fatta dall’Emilia Romagna, solo dopo l’azione di Lombardia e Veneto, è,stata una mossa strumentale, finalizzata a togliere forza all’iniziativa referendaria. Senza il referendum una discussione sull’autonomia non sarebbe stata e non  verrebbe mai avviata.

La medaglia di bronzo andrebbe  al Presidente Zaia che, dopo l’indubbia affermazione del referendum in Veneto, ha subito affermato “chiederemo i nove decimi del gettito fiscale”, che è esattamente ciò che la Costituzione non consente perché farebbe venir meno il principio della solidarietà interregionale, senza la quale l’Italia non esisterebbe. Già nel 2014  il Veneto aveva avviato un referendum mirante , fra l’altro, a trattenere l’80% delle imposte riscosse  nella regione, bocciato dalla Corte Costituzionale perché avrebbe prodotto “ alterazioni stabili e profonde della finanza pubblica”.  Ciò dimostra che il quesito referendario, formalmente rispettoso dell’art. 116 della Costituzione era in realtà la foglia di fico utile a nascondere le velleità di diventare una regione a statuto speciale e magari andare oltre verso la richiesta di indipendenza, che già serpeggia nelle dichiarazione di  vari esponenti politici locali. Che, sotto la spinta dell’entusiasmo,  il Governatore esageri, ci sta ma se dovesse confermare questa linea al tavolo della trattativa, lo Stato dovrebbe abbandonare il tavolo, altrimenti si avallerebbe  una situazione molto pericolosa, foriera di  una deriva “alla catalana”.

Il problema che sorge  da questo campionario d’ipocrisie è duplice: da un lato i politici dimostrano di credere che i cittadini abbiano “l’anello al naso” e che sia possibile infinocchiarli con le loro evidenti menzogne; dall’altro, non dicendo la verità, creano le condizioni peggiori per la trattativa sull’autonomia, fatte di malintesi, false affermazioni,  dissimulazioni, negazione dell’evidenza e così via.
Se vogliamo partire col piede giusto dobbiamo, a mio avviso, affermare e sostenere  quanto segue:

-          la richiesta di  maggiore autonomia è pienamente legittima in base al dettato costituzionale, ma deve mantenersi nella logica delle regioni a statuto ordinario
-          il referendum ha indubbiamente dato forza  contrattuale alle Regioni, anche se in misura differenziata fra Veneto e Lombardia, ma questa forza non deve dar  luogo a “eccessi e abusi” ( difetto attribuito da Roja Salgado, maggiore esperto spagnolo di federalismo, al processo di autonomia delle regioni di quel Paese, che ha portato ai  gravissimi problemi attuali).

-          lo Stato deve smetterla di  fare “orecchie da mercante” e ascoltare sul serio le richiesta che mirano a dare una positiva propulsione alle regioni più produttive, ma al contempo non dve cedere a pressioni indebite, miranti a ledere, sia pure indirettamente, l’unità nazionale.

-           il confronto fra Regioni e Governo deve essere alla luce del sole e comporta l’avvio di un ampio dibattito pubblico in cui i cittadini devono essere protagonisti e non comparse.
-          I cittadini non possono più tollerare le menzogne e devono sanzionarle duramente con il voto alle elezioni politiche e amministrative.