Visualizzazioni totali

lunedì 23 ottobre 2017

Referendum: il festival dell'ipocrisia


La cosa che più colpisce nel sentire i commenti  dei politici ai risultati dei referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto è l’insopportabile tasso di ipocrisia di molte dichiarazioni.
 
Se si trattasse di una gara a chi la spara più grossa, la medaglia d’oro andrebbe certamente al Presidente Maroni il quale ha dichiarato: “avendo fissato un obiettivo di affluenza molto ambizioso pari al 34% sono molto soddisfatto perché  abbiamo superato il 40%.” In realtà quell’obiettivo, largamente insufficiente,  era stato fissato per il fondato timore di avere una bassa affluenza, come poi si è verificato.  E’ evidente che la maggioranza dei cittadini lombardi, manifestando, con l’astensione dal voto, il proprio disinteresse per il referendum, lo ha sostanzialmente ridimensionato e di questo Maroni dovrà tenere conto, sia nella trattativa che comunque verrà aperta con il Governo, sia  in vista delle prossime elezioni politiche regionali, dato che i lombardi, in maggioranza,  non condividono velleità  troppo autonomiste.

La medaglia d’argento andrebbe invece assegnata al Ministro De Vincenti il quale ha dichiarato che il referendum non era necessario perché  “si poteva fare come l’Emilia Romagna che ha aperto direttamente un confronto col Governo ai sensi dell’art. 116 della Costituzione, facendo finta di non sapere che diverse Regioni, fra cui la Lombardia nel 2007, hanno per anni inutilmente chiesto di aprire un dialogo con il Governo, che è stato sempre rifiutato e che la richiesta di trattativa fatta dall’Emilia Romagna, solo dopo l’azione di Lombardia e Veneto, è,stata una mossa strumentale, finalizzata a togliere forza all’iniziativa referendaria. Senza il referendum una discussione sull’autonomia non sarebbe stata e non  verrebbe mai avviata.

La medaglia di bronzo andrebbe  al Presidente Zaia che, dopo l’indubbia affermazione del referendum in Veneto, ha subito affermato “chiederemo i nove decimi del gettito fiscale”, che è esattamente ciò che la Costituzione non consente perché farebbe venir meno il principio della solidarietà interregionale, senza la quale l’Italia non esisterebbe. Già nel 2014  il Veneto aveva avviato un referendum mirante , fra l’altro, a trattenere l’80% delle imposte riscosse  nella regione, bocciato dalla Corte Costituzionale perché avrebbe prodotto “ alterazioni stabili e profonde della finanza pubblica”.  Ciò dimostra che il quesito referendario, formalmente rispettoso dell’art. 116 della Costituzione era in realtà la foglia di fico utile a nascondere le velleità di diventare una regione a statuto speciale e magari andare oltre verso la richiesta di indipendenza, che già serpeggia nelle dichiarazione di  vari esponenti politici locali. Che, sotto la spinta dell’entusiasmo,  il Governatore esageri, ci sta ma se dovesse confermare questa linea al tavolo della trattativa, lo Stato dovrebbe abbandonare il tavolo, altrimenti si avallerebbe  una situazione molto pericolosa, foriera di  una deriva “alla catalana”.

Il problema che sorge  da questo campionario d’ipocrisie è duplice: da un lato i politici dimostrano di credere che i cittadini abbiano “l’anello al naso” e che sia possibile infinocchiarli con le loro evidenti menzogne; dall’altro, non dicendo la verità, creano le condizioni peggiori per la trattativa sull’autonomia, fatte di malintesi, false affermazioni,  dissimulazioni, negazione dell’evidenza e così via.
Se vogliamo partire col piede giusto dobbiamo, a mio avviso, affermare e sostenere  quanto segue:

-          la richiesta di  maggiore autonomia è pienamente legittima in base al dettato costituzionale, ma deve mantenersi nella logica delle regioni a statuto ordinario
-          il referendum ha indubbiamente dato forza  contrattuale alle Regioni, anche se in misura differenziata fra Veneto e Lombardia, ma questa forza non deve dar  luogo a “eccessi e abusi” ( difetto attribuito da Roja Salgado, maggiore esperto spagnolo di federalismo, al processo di autonomia delle regioni di quel Paese, che ha portato ai  gravissimi problemi attuali).

-          lo Stato deve smetterla di  fare “orecchie da mercante” e ascoltare sul serio le richiesta che mirano a dare una positiva propulsione alle regioni più produttive, ma al contempo non dve cedere a pressioni indebite, miranti a ledere, sia pure indirettamente, l’unità nazionale.

-           il confronto fra Regioni e Governo deve essere alla luce del sole e comporta l’avvio di un ampio dibattito pubblico in cui i cittadini devono essere protagonisti e non comparse.
-          I cittadini non possono più tollerare le menzogne e devono sanzionarle duramente con il voto alle elezioni politiche e amministrative.


16 commenti:

Gianmaria Scapin ha detto...

La Lega ha avvallato il Rosatellum che significa un aumento del debito pubblico poichè garantirà a chi ha governato negli ultimi vent'anni (Lega, Forza Italia, Renzi, Alfano e Verdini), di proseguire con il medesimo andazzo generando debito su debito.
Quindi la Lega da un lato illude i veneti e lombardi dall'altro gli da l'ennesima mazzata.
Chi pagherà il debito dello Stato che, prima o poi qualcuno, sotto varie forme, dovrà accollarsi? Saranno le Regioni in base alla % di PIL? Bene allora i veneti e i lombardi si preparino a pagare più degli altri. Nessuno li ha inormati di questo?

Unknown ha detto...

Eh giá. Bracci di ferro politici sulla pelle dei cittadini.

consulente ha detto...

Hanno voluto il referendum. Bene, quindi rispettino sia i diritti, tanto auspicati, che i doveri mai dichiarati.
Un caro saluto da Fausto

roberto ha detto...

Rispondo a Gianmaria:

Quando il nodo del debito pubblico, sempre crescente, verrà al pettine pagheranno i contribuenti e i risparmiatori/ investitori (non solo italiani) che acquistano i titoli dello Stato italiano e ce ne sarà per tutti: inevitabilmente chi più ha, più pagherà.

roberto ha detto...


Rispondo a Giorgio:

Il braccio di ferro politico, su cui concordo, ora si svilupperà nella campagna elettorale per le ormai prossime elezioni nazionali. Dobbiamo porci l'obiettivo di smascherare tutte le strumentalizazioni che verranno fatte, da una parte e dall'altra ( o meglio, altre) sul voto referendario.

roberto ha detto...


Rispondo a Consulente ( Fausto)

Hai toccato un punto fondamentale: in Italia tutti sono disposti a parlare di diritti, assai meno di doveri. Anche questo è un punto che dovremo sollevare, facendo esempi concreti, man mano che gli egoismi di parte verranno fuori con richieste che avvantaggiano solo la propria parte.

Fulvia Steardo ha detto...


Concordo con le tue osservazioni ma bisogna tener conto che lo Stato ha una grande responsabilita' in tutto questo. L'enorme carico fiscale gravante sulla produttività del Nord (motore del Paese) ha portato all'esasperazione delle categorie che avrebbero dovuto operare in condizioni economiche accettabili. Ad oggi, solo portando avanti un'azienda o una libera professione si puó capire esaurientemente il problema. A parte l'effetto spagnolo sono almeno 10 anni che il Nord soffre ed erano da prevedere certe manifestazioni di disagio. Buona giornata Fulvia Steardo

roberto ha detto...


Sono pienamente d'accordo sulle responsabilità dello Stato: come hai visto nel post, ho stigmatizzato il fatto che i Governi che si soo succeduti abbiano "fatto orecchie da mercante" alle legittime richieste delle Regioni.
Il problema del Nord esiste e certamente lo squilibrio fra tasse riscosse e risorse spese sul teritorio richiede una correzione, ma occorre un approccio serio, non le sparate che alludono alla secessione, quando non ne parlano direttamente.
Buona giornata anche a te.
Roberto

Lauretta ha detto...

caro Robi,ho letto con vera soddisfazione la tua denuncia di ipocrisia a proposito del referendum.sono totalmente d'accordo con tutto quello che dici.la gente,per lo più sprovveduta,viene facilmente manipolata a sua insaputa.come sempre l'ignoranza e' causa del peggio.ciao!

roberto ha detto...


Ciao Lauretta,
mi fa piacere la tua soddisfazione. Concordo che ci sia stata manipolazione: sia Maroni che Zaia avevano infatti affermato che il quesito referendario era "una domanda alla quale non si può dire di no" e Tabacci questa mattina giustamente ha fatto, al riguardo, questo commento: "è come chiedere a qualcuno se vuole bene alla mamma".
Anche sul fatto che una quota di persone sia facilmente influenzabile concordo, ma va anche detto che circa il 64% dei lombardi ha disatteso il referendum, astenendosi dal voto o votando no e ciò indica che quella quota si sta riducendo. La situazione del Veneto è più complessa: lì c'è da sempre una spinta indipendentista che risalle alla fine del settecento quando Napoleone pose fine alla millenaria Repubblica di Venezia. Le implicazioni di questa realtà vanno al di là di questo spazio. Magari ne tratterò in un post futuro.

Andrea Figna ha detto...

Ciao Roberto


Sempre interessante il tuo contributo, che condivido appieno. Sottolineo il fatto che quando stato, regioni, province e comuni sono retti da maggioranze diverse è quasi impossibile che collaborino. Questo perché non c’è legittimazione reciproca tra le parti, forse anche con più vigore da parte della sinistra.

Un caro saluto

Andrea

roberto ha detto...


Ciao Andrea,
grazie per l'apprezzamento.
La tua giusta osservazione sulla mancanza di collaborazione mi offre lo spunto per sottolineare la proposta da me fatta diverso tempo fa e poi ripresa nel penultimo post di superare la "forma partito" che è stata costruita nel 900 in funzione della lotta di classe e che non risponde più alle esigenze di una società globalizzata e secolarizzata in cui le ideologie lasciano il tempo che trovano. Neppure la forma attuale dei "partiti personali" è in grado di offrire soluzioni adeguate. Per cambiare la situazione si può procedere in due modi: o modificando i partiti dall'interno per indurli ad accogliere persone e istanze diverse al fine di raggiungere una sintesi connotata ma credibile per molti, oppure costituire una nuova forma, che ho chiamato "unito", in cui la motivazione principale dei membri dovrebbe essere quella d superare la sterile logica "di parte". Questa seconda forma potrebbe fare proseliti fra coloro, e sono ormai la maggioranza degli elettori, che si astengono dal voto.

Roberto

Unknown ha detto...

Le reazioni del giorno dopo mi portano alla convinzione che con l'espressione "piú autonomia" i nostri politici regionali intendano in realtá "libertá di spesa incontrollata" e "libertá di sviluppo della burocrazia locale". Parlano infatti di trattener piú risorse, cioè di spender di piú. Proprio il contrario di quello che la gente sogna da tempo. Uno scenario veramente terribile. Il vino delle domande ovvie sta dando l'ebbrezza a tutti e, come al solito, allontanando le risposte efficaci (ormai note e stranote) dai problemi (ormai noti e stranoti).
Giorgio

roberto ha detto...

E' proprio come dici tu, se ci riferiamo ai promotori del referendum. ma altri esponenti politici hanno una visione più realistica: ho sentito una conversazione radiofonica su Rai 1 con Bonaccini, Presidente dell'Emilia Romagna e con Gori, Sindaco di Bergamo, che hanno entrambi sottolineato la necessità di mettere a fuoco alcune priorità (e non tutto l'insieme delle 23 materie) e solo in base a queste valutare se occorrono, o meno, nuove risorse. Hanno anche evidenziato che la pretesa di Zaia di chiedere il 90% del gettito tributario è un'inaccettabile "secessione fiscale" che minerebbe l'unità nazionale eindurrebbe l'Emilia Romagna a non sedere allo stesso tevolo con chi ha questa impostazione.
Ho anche letto sul Corriere una bella intervista a Piero Bassetti, primo Presidente della Lombardia, convinto federalista e persona assai saggia (che accompagnerà Maroni nella trattativa con il Governo) il quale ha tassatiammente escluso che si vada a Roma a chiedere più soldi.

Gerardo Mazziotti ha detto...

E’ convinzione largamente condivisa che le Regioni hanno deluso le aspettative dei padri costituenti. Ricordo un Direttivo del PdS che nel 2009 invocò” il ritorno alla sobrietà, alla eticità della politica, al primato degli interessi delle donne, degli anziani, dei bambini e dei lavoratori delle regioni amministrate”. Di fronte alle ruberie, agli scandali, agli sperperi di denaro pubblico che le vedono protagoniste ( penso alle costosissime e inutili sedi regionali in mezzo mondo, alla proliferazione delle commissioni consiliari e ai gruppi di un solo consigliere e ai loro trattamenti economici e pensionistici, agli abusi di ogni genere quali crociere, cene, trastulli vari a spese del contribuente) sono del parere che le Regioni vanno abolite. Del resto non è irrilevante il fatto che sono state pensate nel 1946, tra mille dubbi e preoccupazioni, e che sono state istituite un quarto di secolo dopo. E tra mille dubbi e preoccupazioni. Quanto al “sorteggio” ci ho ripensato e penso anch’io che è una soluzione da attuare. La "qualità" della rappresentanza parlamentare ne trarrà giovamento.

roberto ha detto...


Convengo sulla delusione delle aspettative e credo che le Regioni dovrebbero emendarsi dalle enormi magagne che presentano e che tu hai ben descritto. Se invece continuassero nella solita strada, una loro eliminazione sarebbe un'opzione da valutare.

Vediamo intanto come Lombardia e Veneto agiranno nella prevista trattativa col Governo conseguente al referendum: se cercheranno di abusare del potere negoziale attribuito loro dal voto popolare, l'ipotesi predetta ne uscirebbe rafforzata.

Roberto