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domenica 28 dicembre 2014

Politici e giornalisti: spesso maleducati e bugiardi



Premetto che, ovviamente, non voglio fare di tutta l’erba un fascio  e non sostengo che tutti i soggetti  menzionati abbiano quelle caratteristiche; tuttavia posso dire, in base all’esperienza diretta, che in molti casi è proprio così.
Essendo io un moderato, uso raramente espressioni forti e provocatorie come il titolo di questo post. Ma, come si dice a Roma,  “ quando ce vò, ce vò”.
Per spiegare i motivi della mia irritazione faccio un esempio recente. Prima di pubblicare l’ultimo post “ Avvio del Progetto Trasparenza” ho ritenuto opportuno cercare un’interlocuzione con politici regionali e nazionali  sul tema della legalità che, dati i ricorrenti scandali, dovrebbe essere un punto di loro forte attenzione, quantomeno in chiave di marketing politico verso gli elettori. Ho pertanto mandato loro, in anteprima, il testo del post, chiedendo di poter avere uno scambio d’idee in merito. I destinatari sono stati  esponenti politici nazionali  o lombardi dei seguenti partiti: PD, FI, M5S, Lega, FDI, NCD, SEL, Con Ambrosoli Presidente – Patto Civico.  Non faccio per il momento i nomi delle persone interpellate ma mi riprometto di farli in una prossima occasione se si ripeterà la situazione attuale:  ho  infatti avuto riscontro solo da una di loro  che mi ha fissato un incontro per approfondire la questione e che ringrazio per la disponibilità.
Dato che i politici sono eletti e pagati dai cittadini dovrebbero sentire il dovere morale di tener conto delle istanze degli stessi quando esse sono espresse in modo urbano e non comportano oneri eccessivi. Il dovere di dare risposta, anche se negativa, è comunque il minimo per chi assume funzioni pubbliche e non è escluso che, essendo i rappresentanti del popolo dei pubblici ufficiali possa essere loro contestato il reato di omissione d’atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328 c.p.. Ho intenzione di approfondire quest’ultimo aspetto con un penalista,  ma desidero sottolineare che si tratta, anzitutto, di buona educazione e che non c’è speranza di tirar fuori dal guado il nostro Paese  se non si ristabiliscono le regole elementari del vivere civile. Invito, pertanto, i politici che leggono questo scritto a contribuire, con il dialogo, al ripristino della fiducia dei cittadini che, come dimostrano le astensioni dal voto, è a livelli preoccupanti ed inaccettabili. Altrimenti le bugie raccontate in campagna elettorale sulla disponibilità della politica verso gli elettori si ritorceranno pesantemente su chi le esprime.
Venendo ai giornalisti, essi definiscono la loro professione come il “fare informazione” il che dovrebbe significare riportare le notizie rilevanti per la collettività, ma per una singolare  distorsione professionale probabilmente dovuta al bisogno di vendere il loro prodotto, prendono in considerazione solo ciò che, a loro avviso, “fa notizia”. Quindi lo spazio prevalente negli organi d’informazione è dato a fatti di guerra, violenza privata e pubblica, eventi eccentrici e “trash”, proteste di ogni tipo con personaggi urlanti, liti politiche, volgarità di ogni tipo. Ben poco spazio è dato alla società civile che studia, lavora, costruisce benessere e cerca di migliorare il Paese. Facendo così, a mio avviso, molti giornalisti tradiscono il loro mandato professionale e quindi sono anch’essi bugiardi.  Una riprova di quanto affermo è il recente annuncio del Corriere della Sera circa la pubblicazione , nel giorno di capodanno in cui non escono i quotidiani, del “Corriere delle buone notizie”, il che è in sé  positivo ma dimostra che nei 364 giorni precedenti ci viene propinato ben altro. Così non va. I cittadini si sono stancati di vedere una rappresentazione del Paese solo deprimente, che non rende giustizia alla realtà dei fatti.
Quanto alla maleducazione, se la giocano alla grande con i politici: a parte le “lettere al Direttore” che hanno uno spazio nei principali quotidiani e periodici ma che comunque solo in pochi casi hanno riscontro ,i messaggi inviati a singoli giornalisti ben raramente ottengono una risposta anche se contengono espressioni di apprezzamento per gli articoli  da loro scritti e magari chiedono solo chiarimenti in merito al loro contenuto. Esperienze dirette ed anche recenti  me lo confermano.
Non so se tale carenza sia dovuta a “ ordini di scuderia”  del Direttore o dell’Editore oppure soltanto all’atteggiamento del singolo giornalista, ma anche in questo caso qualcosa deve cambiare perché chi accusa quotidianamente i politici di essere una casta, forse non si rende conto di far parte di un’altra, spesso non meno arrogante e indisponente della prima.


domenica 14 dicembre 2014

Avvio del Progetto Trasparenza



Non essendo state proposte delle alternative all’iniziativa riportata nel titolo, da me lanciata nel dibattito seguito all’ultimo post, ritengo opportuno procedere con la stessa.
Devo dire che, a fronte del fosco quadro che emerge dall’inchiesta romana su Mafia Capitale, esiste un potente fascio di luce che potrebbe consentire d’ illuminare la scena ed eliminare le zone d’ombra che la stessa presenta.
Faccio riferimento ad una recente  ed  eccellente normativa, cioè il Decreto Legislativo sulla trasparenza, visibile al seguente link: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/04/05/13G00076/sg , che è molto opportunamente ispirata al “Freedom for information act” americano e che consente, ed anzi richiede, ai cittadini, di esercitare un diffuso controllo sull’operato della Pubblica Amministrazione, degli stessi organi di vigilanza e dei poteri politici sovraordinati. La lettura di questo importante e, a mio avviso, utilissimo strumento dà la netta impressione che vi sia, da parte del Legislatore, un forte appello alla società civile affinché essa si attivi opportunamente per esercitare i poteri di verifica e di azione che le competono. Come ho avuto occasione di dire nel dibattito predetto, ciò che caratterizza i Paesi dove minore è la corruzione è proprio il fatto che i cittadini non subiscono passivamente gli abusi della politica e le angherie dell’amministrazione senza reagire.
E’ quindi venuta l’ora in cui , possedendo lo strumento indicato, cui va aggiunta anche la legge sulla prevenzione della corruzione, visibile al seguente link:  http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/11/13/012G0213/sg , i cittadini possono iniziare a svolgere un ruolo attivo per affermare la cultura della legalità e creare un rapporto più bilanciato e virtuoso fra loro, la politica e l’amministrazione.
Qualche lettore può esser stupito delle mie affermazioni in chiave tanto positiva, che può ritenere piuttosto ingenue e, con un non infondato scetticismo, dire: la legge sarà anche buona ma siamo in Italia dove vige il principio “fatta la legge trovato l’inganno”.  Se qualcuno ha pensato così devo dirgli che non ha tutti i torti. Infatti sono andato a vedere i siti dei tre comuni nei quali sono scoppiati i più recenti scandali: Venezia (Mose), Milano ( Expo) e naturalmente Roma (Mafia Capitale) ed ho trovato che nella sezione “Amministrazione Trasparente” prevista dalla legge, dove pure vi è un profluvio di dati  anche molto utili sull’organizzazione  e sull’attività dell’istituzione comunale, vi sono alcune significative carenze dietro alle quali potrebbero nascondersi fatti di  malversazione e di corruzione. Non intendo in questo momento scoprire maggiormente le carte, riservandomi di condividere le mie scoperte anzitutto con coloro che decideranno di aderire al Progetto, al fine di concordare specifici obiettivi e linee d’azione.
Malgrado quanto precede, confermo la mia positività perché il Decreto sulla Trasparenza istituisce, sulla falsariga della legislazione americana, l’istituto dell’ “accesso civico” che consiste nel diritto di chiunque di  richiedere all’amministrazione informazioni, dati e documenti anche se non ancora pubblicati , fatta eccezione solo per quelli espressamente esclusi dalle leggi vigenti ( ad esempio per motivi di sicurezza o di privacy).  L’art. 5 comma 2 dice espressamente al riguardo una cosa che ritengo opportuno evidenziare con sottolineatura e  grassetto e che invito i lettori a leggere con attenzione e a memorizzare
La richiesta di accesso civico non è soggetta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, non deve essere motivata, è gratuita e va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione”.
Ci sono quindi ottime basi su cui i cittadini possono fondare le loro  ricerche e richieste finalizzate ad esplorare la correttezza delle iniziative portate avanti dalla P.A. e l’uso delle risorse pubbliche. Naturalmente lo sguardo può essere puntato non solo sui comuni ma anche su organismi provinciali, regionali e nazionali.  A mio avviso è comunque opportuno iniziare dai primi perché si sono rivelati particolarmente permeabili a condizionamenti impropri e pericolosi.
Un’altra ragione di ottimismo sta nel fatto che, essendo la P.A. obbligata a rispondere e a mettere online tutta la documentazione richiesta, i cittadini possono controllare ed agire semplicemente usando un computer e quindi con scarso dispendio di tempo e di denaro.
Invito quindi chi fosse interessato a far parte di questo stimolante progetto di farmelo sapere o tramite un commento a questo post oppure via mail all’indirizzo: robertobarabino@alice.it .


mercoledì 10 dicembre 2014

Mafia capitale: come reagire




In una bella vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera ad  una persona  che dice a proposito dello scandalo romano“sembra che abbia fatto tutto “er cecato” “ un’altra chiede: “ma gli altri che facevano?”  e la risposta è “ beh, chiudevano un occhio”. Questa vignetta, con l’humour e la concisione della satira, centra  in pieno il cuore del problema: cioè la totale assenza di controlli da parte di chi avrebbe dovuto e potuto accorgersi di quanto avveniva sotto i suoi occhi. Parafrasando un famoso detto popolare  si potrebbe dire che“non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere”.
Una possibile causa di questa distorsione che ha consentito il proliferare di comportamenti corruttivi  e criminali e di  un enorme spreco del denaro pubblico è, ovviamente, la collusione, cioè la copertura data da chi , pur non partecipando al sodalizio criminale,  non lo ha ostacolato perché ritiene di poterne trarre vantaggi  diretti o indiretti.  Ma certamente la causa principale è, come ha affermato il magistrato e Presidente della Commissione  Anticorruzione, Raffaele Cantone, di tipo culturale. Cito a memoria quanto da lui detto in un’intervista televisiva” quando una persona condannata per corruzione gira liberamente negli uffici comunali, ottiene l’affidamento di appalti pubblici e nessuno ha niente da ridire, c’è qualcosa che non va”.  Aggiungerei che quella persona, cioè Salvatore Buzzi, è anche stato condannato a 24 anni di reclusione per omicidio ed è poi stato graziato dall’ex Presidente Scalfaro.  Esiste una norma che prevede l’impossibilità di affidare appalti pubblici a chi manchi dei  requisiti di “onorabilità e correttezza”, che è stata totalmente ignorata.
La  diagnosi di Cantone è  confermata dal fatto che, pur avendo molti chiesto il commissariamento o le dimissioni della giunta comunale,  nessuno ha chiesto esplicitamente ai vertici dell’amministrazione romana  di spiegare perché  siano stati omessi  i controlli  sugli appalti  e sui servizi sociali affidati alla Cooperativa 29 giugno, e quali provvedimenti s’intenda prendere contro chi ha mancato al proprio dovere. Il Sindaco Marino ha cercato di difendere il proprio operato citando diverse e sue azioni di respingimento di personaggi equivoci  che avevano rapporti con vari assessorati, ma non ha detto una sola parola sui doveri di vigilanza di tali organismi e sulle azioni da  prendere nei confronti di chi li ha disattesi.  A parte l’ assessore alla Casa e quello alla Trasparenza , che sono  stati arrestati, non c’è nulla da chiedere e da dire, a titolo di esempio,  all’Assessore alle politiche sociali che non ha visto le condizioni  degradanti dei campi Rom per i quali il Comune dava a Buzzi molte decine di milioni di euro? Ciò indica che manca proprio una cultura della legalità e la conoscenza dei principi base su cui deve fondarsi una corretta amministrazione pubblica.
E’ ovvio che il desolante spettacolo di carenza istituzionale al quale stiamo assistendo potrebbe indurre allo scoramento e al desiderio di rinunciare a qualsiasi iniziativa, limitandosi a sfogare la propria giusta indignazione con anatemi o magari con l’astensione elettorale. Ma ciò non farebbe che perpetuare le ragioni di fondo della debolezza attuale.
Come sanno i miei lettori abituali, questo blog è nato per dar voce ai cittadini desiderosi di portare un contributo d’idee tese a migliorare il nostro sistema politico.  Ora mi pare che i tempi siano maturi  per valutare se oltre alle idee non sia il caso di pensare  anche ad azioni concrete.  Ne cito solo una come esempio : verificare quali leggi vengano  sistematicamente disattese dai pubblici poteri e poi presentare denuncia alla Magistratura contro le Amministrazioni  a vari livelli ( non solo quelle comunali) che ne sono colpevoli.
Mi piacerebbe sentire l’opinione di lettori su questa  o su altre ipotesi  , nonché sulla propria disponibilità a partecipare allo studio e alla realizzazione delle iniziative che venissero concordate.

lunedì 24 novembre 2014

Crescita e visione




Pubblico un interessante contributo di Giorgio Calderaro, attento osservatore della scena socioeconomica, che tratta opportunamente in termini strategici di un tema che è  centrale nel dibattito politico ma che spesso viene affrontato solo in termini contingenti.

Da qualche tempo si continua a recitare il mantra della necessità della crescita per l’Italia, e oggi si scopre che lo stesso problema vale anche per l’Europa.
Dunque dobbiamo tutti crescere, cioè aumentare il fatturato del sistema che vende prodotti e servizi, ma nessuno ha risposto alla domanda “si, crescere … ma vendendo che cosa e a chi?”
Divido il problema in due: 1) l’Italia deve mettersi oggettivamente in grado di crescere 2) l’Italia deve decidere su quali attività impegnarsi per sostenere la crescita.

1 - Mettiamoci in grado di crescere
Luca Ricolfi, in “L’Enigma della crescita”, Mondadori Editore, lettura che raccomando fortemente, analizza diversi dati econometrici dei 34 Paesi dell’OCSE tra il 1995 e il 2007, alla ricerca di una correlazione tra questi e il tasso di crescita. Così facendo, identifica dati alla mano quali fattori influenzano maggiormente(in positivo o in negativo) il tasso di crescita e quali lo influenzano meno, e commenta ampiamente i fatti riscontrati. Di questi, ne cito qui solo tre: perché su di questi voglio qui portare l’attenzione e perché la loro importanza è ormai di diffuso dominio: si constata che, nel periodo in questione per i paesi indagati, tanto più alta è la qualità della formazione, tanto più alta è l’efficienza di istituzioni e infrastrutture e tanto più basso è il carico fiscale sulle imprese, a parità del resto, tanto maggiore è stato il tasso di crescita.
Tra l’altro, l’analisi di Ricolfi aiuta a capire perché anche l’Europa nel suo complesso sta crescendo molto poco e perché in tutti i paesi si parla di necessità di riforme.
Viene voglia allora, spero non illecitamente, di estendere quelle correlazioni alla situazione dei giorni nostri, e cercare di capire con quanta incisività si stia operando per alzare la qualità della formazione, alzare l’efficienza di istituzioni e infrastrutture e abbassare il carico fiscale sulle imprese, per re-innescare la crescita. Il ragionamento fa intuire che per crescere ci vuole più lavoro, per avere più lavoro ci vogliono più imprese, per avere più imprese occorre incentivarne l’insediamento e semplificarne l’attività, per avere imprese che assumano occorre aiutarle a trovare personale adeguatamente preparato. La domanda è: stiamo operando in tal senso?
Il dibattito ora si sta applicando anche all’Europa, per farla crescere da ente chioccia e normatore a motore di sviluppo: anche l’Europa, come istituzione nel suo complesso, può migliorare la sua efficacia, a beneficio dei paese Europei.
Sto osservando con interesse i casi in cui le Istituzioni sono impegnate a rincorrere singoli investitori (italiani ed esteri) per convincerli a investire nel nostro paese: è ovvio che un investitore investe qui solo perché qui ha dei vantaggi e quindi penso che sia necessario pattuire di volta in volta condizioni che consentano al lavoro di restare da noi: con tanti saluti ad una interpretazione rigida del principio dell’uguaglianza delle norme per tutti. Sembrerebbe che l’espressione “mercato del lavoro” sia ormai completamente obsoleta, sostituita dall’espressione “mercato delle aziende”; come se alcune aziende dicessero: “Caro Stato, o mi concedi condizioni di favore, oppure trasferisco stabilimenti e lavoro altrove" (Lussemburgo insegna). Ci rendiamo conto di queste implicazioni, figlie di una sempre più inarrestabile globalizzazione?
Sarebbe altrettanto interessante esaminare i comportamenti che sarebbero più corretti da tenere con le aziende in fallimento, distinguendo tra quelle che chiudono perché non hanno più mercato e quelle che chiudono i per problemi finanziari: con fallimento ci perdono tutti, creditori e lavoratori ma anche lo Stato che deve erogare sussidi. Forse sarebbe meglio, nei casi in cui il mercato c’è, lasciare all’azienda due – tre anni sabbatici, magari trasferendola a nuovi manager e/o ai lavoratori  stessi: magari i creditori ci perdono lo stesso, ma il lavoro è salvato e lo Stato, anziché perderci, incassa l’Irpef.
Vedo molto critico il percorso che dovrebbe portare le nostre istituzioni ad una maggiore efficienza: lo constatiamo ogni giorno. L’aver sostituito il buon senso (per altro non oggettivamente riscontrabile) con l’iperregolamentazione (oggettivamente riscontrabile salvo illeggibilità) ha creato nel tempo una vastissima e onnipotente burocrazia con potere di “normare”: non cito casi, basta leggere il giornale. Però chi è in grado di semplificare le regole per ridurre i costi di applicazione e di controllo? Forse lo stesso insieme di persone che si vanta di aver creato proprio quelle indispensabili regole che si soffocano? E quando le regole, più semplici e meno costose, richiedano costi di controllo minori e quindi minor personale addetto, che fine fanno le persone in esubero? E poi, chi è in grado di distinguere tra semplificazione e apertura all’ abuso? In quest’area convergono le discussioni sulla Giustizia civile e non, sugli appalti, su permessi ed autorizzazioni, sulla incertezza e sulla variabilità nel tempo e nei luoghi delle norme stesse (cosa che dissuade le persone dall’affrontarle), ecc.
Sarebbe poi interessante, parlando di efficienza delle istituzioni, anche inserire il dibattito sui “diritti acquisiti”. Oggi che non siamo più liberi di batter moneta a piacimento, ci rendiamo conto che alcuni diritti acquisiti legati a fatti oggettivi non possano che essere ribaditi intangibili (es., la pensione di chi ha versato i contributi), mentre altri diritti che costino denaro alla collettività e che discendano da norme arbitrarie possano essere ridiscussi (es., i vitalizi). Forse, all’interno di questo tema, possono rientrare le concessioni (e quant’altro): laddove il concessionario, titolare di un diritto illimitato e poco oneroso, possa lucrare liberamente grazie a libertà di prezzi e di sub-concessione.
Sarebbe interessante esaminare se la legge di stabilità attuale va incontro o no e in che misura alle linee d’intervento delineate e se si pensa che sia efficace ai fini della crescita. Sarebbe interessante capire se esiste una configurazione economica che in situazione di PIL strisciante consenta di abbattere il debito pubblico, o se forse è necessaria la consapevolezza che se vogliamo destinare un po’ di risorse al finanziamento della crescita allora il nostro debito non calerà per molto tempo.
Concludendo per ora queste considerazioni, volendo far aumentare il nostro PIL per poter avere più lavoro, le infrastrutture debbono funzionare, le imprese debbono essere facilitate, la burocrazia deve essere “iper”-semplificata ed essere messa al servizio di imprese e cittadini (e non il contrario), le norme debbono essere stabili o modificarsi a vantaggio del fruitore, la formazione deve poter coniugare gli aspetti culturali, che ci caratterizzano nel mondo, con quelli operativi, che servono alle imprese.

2 -  Ma crescere per andare dove? Qual è la nostra visione del futuro?
Ormai siamo un paese de-industrializzato, e le grandi imprese che davano da lavorare stabilmente a migliaia di persone non torneranno più: si sono sparse per l’Europa e per l’Asia e là resteranno. Similmente i grandi capitali che finanziavano il nostro sistema industriale non ci sono più; i grandi capitali ora sono altrove, negli Stati Uniti, in Asia, ecc. e con la globalizzazione possono andare dove più gli conviene.
La domande da porci sono allora le seguenti.
·         Nell’ipotesi che 1) la globalizzazione perduri ancora sufficientemente, 2) per dare un futuro al nostro paese occorra creare lavoro nel nostro paese e 3) il nostro paese sia diventato intrinsecamente attrattivo per investimenti imprenditoriali, allora, fatte queste ipotesi, si possono prefigurare settori di attività tali da mantenersi attrattivi nel tempo e quindi garantirci un significativo periodo di tranquillità economica?
·         Esistono settori di attività che, radicati nel nostro territorio ma che hanno come mercato il mondo, continueranno ad avere solo nel nostro territorio ragione di esistere e quindi non potranno essere rilocati altrove?
·         Abbiamo noi risorse strategiche che siano solo nostre e che siano appetibili sul mercato mondiale (e che possano giustificare investimenti ed occupazione duraturi) e che quindi debbano essere particolarmente tutelate e incoraggiate, anche con facilitazioni e finanziamenti in ricerca e sviluppo, perché “di interesse nazionale”?
Oggi già si stanno delineando alcune risposte, altre potrebbe essere interessante identificarne e capire come proteggerle.
Però, se ci si interroga sul dove investire, occorre prima interrogarsi su che cosa, nell’economia ormai globalizzata, il mercato del mondo vorrà comperare alla bancarella Italia perché quello gli interessa e solo da noi lo trova? E prima ancora occorre chiedersi: che cosa il mercato del mondo nel prossimo futuro cercherà? Ma come vivrà il mondo del futuro prossimo e di che cosa potrà aver bisogno?
Ecco che qui serve capacità di visione e su questi temi occorre confrontarsi.
Formulo esempi di ragionamento: continuando le economie emergenti ad emergere a tassi di crescita per noi utopici, la massa di persone facoltose continuerà a crescere di numero. Pertanto tutto quello che è identificabile come “lusso” avrà sempre mercato: moda, arredo, agro-alimentare, turismo: questi sono fronti in cui creatività, capacità esecutive, tecnologia, cultura non ci mancano e possiamo combattere con successo.
Un altro esempio: la fabbriche di prodotti di massa sono altrove, ma i prodotti di massa possono necessitare di componenti speciali. Componentistica specializzata e macchine industriali saranno dunque sempre necessarie alle fabbriche del mondo: qui inventiva e capacità realizzative si sono già affermate e continueranno ad esserlo presumibilmente a lungo, se l’intero settore saprà tenersi sempre aggiornato.
Un altro esempio, doppio per amor di sinteticità: l’Europa, che è un continente con sviluppo geografico sull’asse est-ovest, ha fame di energia ma non ha risorse e vedrà moltiplicarsi sempre più le interazioni tra i suoi cittadini. Potrà l’Italia aver benefici dal diventare un hub per il trasporto di energia (rigassificatori, TAP) e persone (TAV e quant’altro), con importanti ricadute occupazionali?
Forse anche i settori delle nanotecnologie e delle bioplastiche potranno essere promettenti, ma se l’attenzione è sulla quantità di lavoro che potranno creare, occorre considerare la dimensione del relativo mercato e la non imitabilità delle proposte. Per questi motivi ritengo che il mercato dei droni, delle stampanti 3d, della applicazioni software, su cui è comunque necessario essere presenti per mantenere e sviluppare le relative conoscenze, non garantiscano importanti volumi di lavoro: ormai questi settori vedono produttori in tutto il mondo e quindi (a meno che non vi si inventi qualcosa di utile e difficilmente imitabile) non penso che porteranno da noi grandi volumi di lavoro.
Ci sono poi punte di eccellenza, e guai se non ci fossero perché fanno anche da traino per tutto il resto: nell’aerospaziale, nella robotica, nell’energie rinnovabili. Ma riusciranno questi settori, (o altri) su cui la presenza è indispensabile, a generare significativi volumi di lavoro?
Riusciamo a pensare quali azioni potranno essere svolte per fronteggiare l’impatto sulle nostre economie dei conflitti in medio oriente e delle guerriglie in Africa? Noi sappiamo che molti conflitti in Africa sono alimentati dalla competizione per l’accaparramento di materie prime. Possono essere individuate politiche da seguire per fronteggiare queste situazioni?

 3 -  Una riflessione finale, che è poi anche iniziale
Ai ponti gettati sul futuro occorre comunque garantire una base efficace e coerente. Non si può vendere all’estero senza un adeguato sistema comunicativo e finanziario di supporto. Non si può puntare su un turismo dall’estero di massa se alla prima occasione in merito, l’Expo, si scopre che persone straniere conosciute occasionalmente non ne sanno niente, se si legge che gli alberghi hanno moltiplicato i prezzi (come se un cittadino straniero sentisse l’obbligo di visitare l’EXPO e quindi fosse disposto a pagare qualunque cifra), disincentivando i tour operator, se si viene a sapere che le nostre eccellenze culturali non sanno erogare, coordinandosi con chi di dovere, servizi di trasporto, di ospitalità e di fruizione decenti. La nostra comunità nazionale, sfilacciata in innumerevoli centri decisionali e costellata di tabù intoccabili, sembra proprio che non riesca a far “sistema” a causa di incapacità, gelosie e miopie.

4 -  Conclusioni
In questo breve testo, ho posto diverse questioni, nella speranza che la ricerca di risposte, a queste come a mille altre domande, possa portare a migliori consapevolezze e, col tempo, a risposte efficaci da parte di chi ha il potere di trovar soluzioni e dar risposte.

Giorgio Calderaro