In un
recente intervento pubblicato su La Stampa il 26 ottobre col titolo “ Non dobbiamo isolare Trump”
Charles A,. Kupchan, già
Assistente speciale per la sicurezza
Nazionale del Presidente Obama, fa un ritratto apocalittico del PresidenteTrump
e afferma:” I partner dell’America sono
comprensibilmente preoccupati e si chiedono se sia giunto il momento di
smettere di lavorare con lui e iniziare a lavorare senza di lui, se non contro
di lui ….. gli alleati americani devono accettare la dura realtà: i leader più
esperti potrebbero non riuscire a contenere Trump, e la sua presidenza nei
prossimi mesi potrebbe andare peggio invece che migliorare …. Trump cavalca il
suo populismo sfrenato … il nazionalismo con tinte razziali è rimasto , e
addirittura diventato più radicato”. Poi invita i partner a coinvolgerlo
perché “snobbarlo o isolarlo non farà che peggiorare le cose”.
Dopo queste
considerazioni che dipingono il Presidente USA come una specie di “minus
habens” che deve essere protetto da se stesso, Kupchan ammette che “perfino
quando Trump si mostra pronto a smantellare quello che non gradisce, tende ad
offrire una scappatoia: Invece di cancellare semplicemente l’accordo con l’Iran,
l’ha passato al Congresso. Ha annunciato la fine del programma dei “dreamers”
(i residenti entrati o rimasti negli USA illegalmente …)ma ha iniziato con i
democratici un dialogo su come preservarlo ……” e si domanda con apparente candore “non possiamo sapere se questo stile sia frutto di un congenito essere
scostante, o parte di una abile strategia negoziale”.
L’articolo
infine si conclude con il tono che aveva all’inizio: “A giudicare dal discorso di Trump alle Nazioni Unite di settembre, vuole
riportarci indietro, in un mondo dove ogni nazione stia per conto suo. Dobbiamo
fare in modo che non ci riesca”.
Francamente
è un ritratto che non convince sia per il tono esageratamente negativo che per l’evidente contraddizione fra l’immagine
offerta di Trump come persona incapace e intrattabile e l’abilità
riconosciutagli, sia pure “obtorto collo”, di un approccio flessibile ai
problemi.
Nello stesso
giorno e sempre su La Stampa è comparso un articolo che riporta dichiarazioni
di Steve Bannon, già Chief Strategist della Casa Bianca, ritenuto comunque la
sua eminenza grigia, dipinto dai suoi avversari politici come l’ispiratore delle
posizioni estremiste di Trump. Cito alcuni passaggi del suo discorso: “associare America First all’isolazionismo
non ha senso. Trump non è disconnesso dal mondo. Lo vede attraverso la lente
jacksoniana dell’interesse vitale per la sicurezza degli USA, che però può
coincidere con l’interesse degli alleati. L’Isis ad esempio è stato distrutto
con l’aiuto dei curdi e di altre forze….Nessuno in America vuole combattere per
generazioni. Perciò ero contrario ad inviare altri soldati in Afghanistan, dove
cerchiamo di imporre un sistema liberal-democratico ad una società che non lo
vuole. Basta con il nation building, abbiamo una nazione da ricostruire qui in
America. Ad Alleati come l’Arabia o l’Egitto abbiamo detto che la riforma
dell’Islam, la sfida contro l’estremismo, è una lotta loro, non nostra. Noi ci
siamo ed aiutiamo ma devono condurla loro affinché abbia successo. Abbiamo valori
che riteniamo universali, però gli altri devono arrivare ad una propria
conclusione su come si vogliono governare. La pax americana non si realizzerà
imponendo i nostri principi agli altri. Dobbiamo essere una società forte e
mostrare al mondo come li applichiamo, sperando poi che il mondo li voglia
emulare”.
Mi sembrano
considerazioni moderate, di notevole buon senso, ben lontane dalla filosofia
dell’”esportare la democrazia con le armi” che ha caratterizzato la politica
estera americana per molti decenni.
Forse è
opportuno guardare al fenomeno Trump, che è certamente inusuale perché rifiuta
il “politically correct” , con occhi più attenti alla sostanza che alla forma.
Se avesse
quest’ottica, Sergio Romano avrebbe potuto evitare l’evidente pregiudizio che
lo porta a scrivere, nell’odierno editoriale sul Corriere della Sera, che Trump
è contradditorio perché, dopo avere a suo tempo, criticato Obama per aver dato
un’accoglienza regale a Xi Jinping quando era vicepresidente della Cina “ora il presidente americano dichiara
pubblicamente che il popolo cinese ha il diritto di andare orgoglioso del suo
leader”: si aspettava forse che in
una visita di Stato Trump dicesse qualcosa di diverso? Anche il disagio che Romano esprime circa l’insistenza
di Trump sul principio “America First” è sorprendente : ritiene forse che Xi o la Merkel o Macron mettano gli interessi
altrui davanti a quelli della loro nazione?
Come ha ben
detto Bannon nel passo citato in precedenza, Trump non vuole che gli USA
facciano gli "indottrinatori democratici” e i poliziotti del mondo, il che mi
sembra un passo avanti, non indietro.