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lunedì 2 maggio 2016

Burocrazia: ottusa lei oppure ottuse le norme ?



di Giorgio Calderaro

Poco tempo fa, in un articolo apparso sul Corsera, Susanna Tamaro si lamentava dell’ottusità della burocrazia, che, tra l’altro, non le permetteva più di far vendemmia con gli amici non sapendo la burocrazia distinguere tra loro, che vendemmiano in cambio di una abbuffata in compagnia e qualche bottiglia, e chi vendemmia in cambio di un salario con relativi contributi.
Poiché il tema dell’ottusità della burocrazia, che non è in grado di capire le situazioni in cui versa la gente, è a mio avviso di interesse ed attualità, soprattutto se si parla di rendere l’Italia un paese competitivo ed attrattivo per insediamenti lavorativi nuovi, ho deciso di approfondire la questione sollevata da Susanna Tamaro, ma qualche giorno dopo anche dalla Repubblica e l’11 di nuovo sul Corsera a proposito della burocrazia europea, e vissuta sulla propria pelle da tutti i cittadini. Mi concentrerò sulla burocrazia che redige le norme, lasciando ad altra occasione le riflessioni sulla burocrazia che applica le norme.
Cominciamo la riflessione con qualche esempio.

1.     Esempi di ottusità

·         Il caso degli amici vendemmiatori: per contrastare il lavoro in nero nei campi, la burocrazia ha deciso che chi lavora nei campi è necessariamente un salariato, che deve essere messo in regola con i contributi. Sicché chi ha una piccola vigna non può più raccogliere l’uva, mentre chi ha estensioni di pomodori può tranquillamente ricorrere a caporali e immigrati clandestini.
·         Il caso di quel tizio che, a Milano, si infila nella ZTL di corso Garibaldi (dove c’è una telecamera ad ogni incrocio) e si vede contestata una contravvenzione ad ogni incrocio. Eh certo, quello delle contravvenzioni è un processo automatico; chi ha l’ardire di intervenire?
·         Il caso delle detrazioni per ristrutturazioni edilizie: dalle 35 pagine di istruzioni dettagliate dell’Agenzia delle Entrate si deduce, ad esempio, che reimbiancare le scale comuni è detraibile mentre reimbiancare casa propria no: perché questa distinzione?

2.     Analisi degli esempi

Da questi esempi sembra di poter estrarre alcune considerazioni:
·         Non potendo disporre di un criterio oggettivo per discriminare dai casi di abuso i fatti che il buon senso riconosce subito, si preferisce la norma drastica.
·         Non essendo definibile il buon senso, si preferiscono norme che discriminino sottilmente tutti i possibili casi e che assegnino ad ogni caso l’inquadramento normativo. Così abbiamo norme leviataniche, eternamente rappezzate, in cui manca il principio guida a cui ispirarsi nei casi pratici che inevitabilmente sfuggono o potranno sfuggire in futuro. Sembra che l’elencazione minuziosa di casi e sottocasi abbia la sola funzione di limitare al più possibile la fruizione dell’oggetto della norma oppure di scoraggiarne la fruizione da parte del cittadino comune.
·         Sembrerebbe che il normatore, frettoloso e miope, viva in un altro pianeta, dove non si parli italiano ma un’altra lingua pur somigliante: dove le parole hanno un significato specifico, noto solo all’interno della burocrazia stessa, dove alla chiarezza dell’esposto è preferito il bizantinismo delle costruzioni, dove l’ambiguità dell’esposto è serva dei compromessi politici (cfr in proposito il corsivo di Paolo Di Stefano sul Corsera del 13 aprile).
In sintesi, secondo me, la caratteristica fondamentale della burocrazia normativa è quella di essere autoreferenziale e autoalimentante, di agire in conto proprio e non per conto e a favore dei cittadini. E questo a partire dal parlamento (primo organo legiferante) per estendersi alla numerosità di Enti che scrivono e gestiscono norme (dai Ministeri ed Enti statali in giù, sino ai Comuni).
Quanti progetti di semplificazione normativa o razionalizzazione apparentemente hanno fatto la fine di un famoso falò? Di quanti progetti di testi unici non se ne sa più nulla? Che fine han fatto i progetti di razionalizzazione delle competenze dei centri normativi? Quante volte a importanti disegni di legge poi corrisponde un articolato annacquato e sterilizzato?

3.     Possibile contromisure

Sarebbe bello che ogni nuova norma venisse sottoposta al vaglio di applicabilità da parte dei semplici cittadini, magari a sorteggio e senza conflitti di interessi, tramite un organo a questo preposto. Oppure da parte delle associazioni dei consumatori, che dei cittadini prendono le parti di fronte ai poteri.
E quest’organo dovrebbe poter intervenire su chiunque emetta normative: sulla pubblica amministrazione centrale e periferica, ma anche su banche, assicurazioni, ecc: con l’obiettivo di compensare l’asimmetria di potere di questi Enti, che altrimenti ribaltano sui cittadini quanto invece dovrebbe restare di loro responsabilità.
Questo contropotere sarebbe in grado di bilanciare la protervia arrogante della burocrazia, e magari potrebbe anche intervenire nei casi in cui il buon senso possa aiutare a discernere quando in caso specifico si verifichino abusi o no, sollevando il pubblico funzionario dall’incubo dell’Abuso di Ufficio.
Questo contropotere potrebbe anche intervenire sulla molteplicità delle norme, proponendo semplificazioni nel dettato e nella gestione.
Visto che la norma discende verso i cittadini a partire dall’organo normativo, secondo me è indispensabile introdurre un canale di ritorno: che dai cittadini riporti verso l’organo preposto le disposizioni ritenute poco efficaci e che possa produrre le opportune rettifiche, anche quando il tema non sia più sotto la luce dei riflettori della politica. Non alludo al referendum propositivo, che ha l’obiettivo di introdurre nuovi ordinamenti; alludo alla possibilità di ritoccare in tempi utili norme esistenti.
Infatti si discute in merito alla creazione di commissioni di cittadini a sorteggio per alcune funzioni di controllo, ad esempio sugli appalti. Quanto sto intravvedendo è una commissione di cittadini a sorteggio per controllare le leggi.
Chissà …

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Commento di Franco Puglia

Il tema è di quelli che mi appassiona, avendo io sofferto in tutta la mia vita l'ottusità delle regole a cui mi sono dovuto sottomettere nel mio paese, imparando anche come evitarle, qualche volta, inevitabile sport nazionale.

Le regole all'italiana sono figlie della sfiducia reciproca.
Sono diverse dalle “regole del gioco”, come in in qualsiasi gioco di carte, regole di cui nessuno si lamenta, perchè sono le regole di un gioco facoltativo, non di un gioco obbligato.
Le vere “regole” servono a capirsi, a dirsi reciprocamente come comportarsi per non interferire con la libertà altrui esercitando la propria, oppure come assollvere ad un incarico, ecc, ecc.

Le regole di cui parla Giorgio Calderaro sono ben altro.
Come ho anticipato sono figlie della sfiducia, dell'attitudine tutta nostra, capillarmente diffusa a fregare il prossimo appena possibile, a non rispettare mai nessuna regola del gioco.


Inoltre sono anche figlie della nostra attitudine nazionale all'astrazione, cioè al concepire un mondo che non esiste, inventando bisogni che non esistono, comportamenti che non esistono e costruendoci attorno delle regole, che inevitabilmente entrano in conflitto con la realtà, punendo i cittadini, responsabili soltanto di vivere nel mondo reale.
Quello che dirò adesso produrrà certamente il vivo dissenso di qualcuno, ma anche le religioni e le ideologie politiche, tutte, si basano su una visione astratta e distorta della realtà, con cui poi non reggono il confronto. Questo ci dice che il problema non compete solo a noi ma a tutti gli umani, anche se noi italiani, credo, li superiamo tutti alla grande.

L'amico che vendemmia per divertimento e produce una reazione risibile dell'ordine costituito, patisce una regola prodotta per tentare di scoraggiare pratiche di sfruttamento del lavoro.
Da qualche mese, a Milano, occorre convalidare il biglietto in MM anche all'uscita e non solo all'ingresso, sui tornelli. Perchè ? Perchè la pratica diffusissima del salto dei tornelli senza pagare il biglietto in voga tra i giovanissimi ha indotto le autorità di ATM a creare ulteriori ostacoli, che sono però subiti da tutti.
Perciò, più ci allontaniamo dalle regole minime necessarie, e più siamo sommersi dalle regole.
Laddove il “buon senso comune” è pratica sconosciuta, non restano che le regole, per ogni cosa che fai nella tua vita. Abusi di zuccheri e diventi obeso ? Ti razioneranno lo zucchero. Il meccanismo è questo. Più abusiamo della nostra libertà e più la perdiamo.

Assieme a questo, l'insufficienza delle pene. Chi fa il furbo, non paga pegno. Non solo : nessuno controlla che non ci siano dei furbetti. Per cui tutti fanno i furbetti.
La reazione sono altre regole, immaginando, in astratto, che limitando con le regole gli spazi d'azione si riducano le inadempienze delle regole fondamentali. Errore. Non funziona.

Le contromisure suggerite dall'articolista sono dei tappa buchi, perchè se l'errore è a monte, Istituzionalizzare una ulteriore conflittualità legislativa introducendo altri attori non semplifica le cose, ma amplifica i conflitti.

Le cose, in realtà, sono sempre MOLTO SEMPLICI, ma hanno un difetto : richiedono attenzione, lavoro, responsabilità individuale, controllo, pene severe per chi trasgredisce le poche regole.
No, gli Italiani che hanno il potere di farlo preferiscono scrive una regola su un pezzo di carta, per poi scaricare su altri la responsabilità. Così se il dorghiere regala una caramella ad un bambino avrà fatto una vendita senza scontrino !!!
E' difficile sentirsi fieri di essere italiani …..


Ing. Franco Puglia
2 Maggio 2016

roberto ha detto...

Hai pennellato un perfetto ritratto di alcuni dei tipici vizi italiani: la furbizia ( o presunta tale), la sfiducia reciproca, l'astrazione, che sottoscrivo pienamente.
E' un difetto sia dei cittadini che di coloro che li governano e non si limita alla propensione dei primi a ignorare le regole non gradite e dei secondi a reagire producendo ulteriori norme sempre più vessatorie e spesso inapplicabili. Si manifesta anche nei rapporti con gli altri Paesi: basta vedere lo stupore con cui il nostro governo ha reagito di fronte alla richiesta di quello austriaco di esercitare controlli sui flussi migratori, pena la chiusura della frontiera: da noi si da per scontato che i controlli non si facciano e si conta sul fatto che gli altri come noi "chiudano un occhio" o magari tutti e due per consentire a quei flussi di avvenire senza limiti e senza criteri, in nome del principio assurdamente astratto "è un fenomeno epocale, inevitabile".

In realtà, come tu scrivi, le cose sono semplici ma "richiedono attenzione, lavoro, responsabilità individuale, controllo, pene severe per chi trasgredisce".
A me pare che le contromisure proposte da Calderaro vadano in questa direzione perchè chiamano i cittadini a essere parte attiva nella verifica delle leggi in un rapporto che non deve essere di conflirttualità ma di collaborazione con le Istituzioni.
Ciao.
Roberto

Edvige Cambiaghi ha detto...

sarebbe molto utile una verifica da parte di un gruppo di cittadini eletti a sorteggio, proprio come si fa per le giurie: spesso basta il buon senso per ottenere ottimi risultati

roberto ha detto...

Concordo sul fatto che il buon senso è spesso sufficiente e aggiungo che la sua mancanza è la causa principale dei danni prodotti dalla burocrazia.
Roberto

Manuela ha detto...

A proposito del rapporto con l'Austria, il trattato di Schengen prevede la libera circolazione delle persone e delle merci all'interno dell'Unione Europea. Forse questa norma va cambiata visti i tempi che corrono, ma al momento la pretesa austriaca di chiudere la frontiera mi sembra illegittima.
Manuela.

roberto ha detto...


Lo sarebbe se l'Italia facesse il proprio mestiere, anch'esso previsto dal trattato di Schengen, di sorvegliare la frontiera esterna dell'Europa, cosa che non fa. E' vero che è più difficile controllare una frontiera marittima che una terrestre, ma almeno bisogna provarci.

Ciao.
Roberto

Dario Lodi ha detto...

La vedo così: la burocrazia si è formata nel tempo, assumendo le centinaia di leggi emanate dal Parlamento, a seconda del Governo. Quest’ultimo ha emendato pochissimo, lasciando di fatto il Paese nelle mani dei burocrati. Quel che non va non è la burocrazia (valle) ma il sistema (monte). Porcellum, Italicum e altre amenità sono al servizio esclusivo dei partiti, non riguardano la democrazia. Finché non lo capiremo, continueremo a baloccarci con distinguo per cose che sono solo conseguenze.Dario



roberto ha detto...

Mi pare che per te qualunque argomento stia "a valle" e perciò non valga la pena discuterlo.
A me sta benissimo trattare anche ciò che sta "a monte", purchè non si riduca al famoso detto di Bartali "qui gli è tutto sbagliato, tutto da rifare".
Che cosa bisogna rifare e soprattutto, chi lo fa e come ?

Roberto

Elena Passerini ha detto...

Ci sono regole assurde perché chi le dà non va d'accordo nemmeno con se stesso, ma in fondo in fondo sul buon senso ci conta. Ad esempio in questi giorni chi non è proprietario di tv deve compilare una dichiarazione su apposito modulo. Nel modulo la parola "tv" è annotata con la nota 2 che rimanda a piè pagina a un documento del 2012 che spiega cosa si deve intendere per "apparecchio tv". Il documento contiene una lunga spiegazione e anche una tabella finale divisa in tre parti: dispositivi atti, adattabili e non adattabili alla ricezione radiotelevisiva. La radio e l'autoradio sono inclusi tra quelli "atti", che dunque impediscono ai sensi del modulo di dichiarare di non possedere "apparecchio tv". Vedi qui il modulo da compilare per chi non è interessato al servizio televisivo: http://www.rai.it/dl/docs/1460379331096MODELLO_DND__AGG_8_APRILE_2016.pdf
Il modulo rimanda a: http://www.abbonamenti.rai.it/doc/nota-Agenzia-Entrate-canone-rai-22-02-2012.pdf
Fino a qui si capisce che per una nota dell'Agenzia delle Entrate del 2012 chi ha la radio deve pagare il canone della tv. Però se qualcuno chiede chiaramente se è proprio così (assurdo), la risposta è no, non si paga il canone tv per la radio dal 1997. http://www.abbonamenti.rai.it/Ordinari/RisposteFAQ.aspx?ID=43 Peccato che chi ha scritto la nota 15 anni dopo non lo sappia ed elenchi la radio tra i dispositivi "atti". Se le regole date sono contraddittorie, è normale diventare schizofrenici o "trasgressivi".
Scommetto che anche gli allegri vignaioli in realtà avrebbero potuto seguire il buonsenso senza subire l'obbligo di lasciar marcire la loro uva priva di vendemmia. Ricordo un cartello comunale di lavori in corso vicino a un casolare che dei montanari stavano sistemando. Diceva nella linea "ditta appaltatrice": "lavoro in economia".
Elena Passerini

roberto ha detto...

La nota dell'Agenzia delle Entrate del 2012 è un vero capolavoro di follia burocratica, non solo per il linguaggio ipertecnico usato, non certo alla portata di tutti i cittadini, ma soprattutto per le conclusioni incredibili cui arriva; ad esempio che il possessore di una radiolina portatile abbia uno strumento "atto" a ricevere trasmissioni televisive.
E' questa assoluta mancanza di buon senso e di senso del ridicolo che è davvero preoccupante.Poi c'è l'assoluta contraddizione con l'altro documento da te citato che dice esattamente l'opposto.
E non è detto che l'uso del buonsenso da parte dei destinatari di queste assurdità sia sufficiente: infatti alcuni dei vignaioli caserecci cui si riferisce il post hanno ricevuta la visita della Guardia di Finanza, che ha comminato multe perché gli amici dediti a vendemmiare non erano dipendenti in regola.
Se non fosse che il tema specifico riguarda solo le poche persone che rifiutano l'apparecchio TV, e che quindi non ha un appeal mediatico, sarebbe un caso di scuola da sollevare pubblicamente per contestare i comportamenti dei burocrati e le mancanze dei politici preposti, che non controllano le follie dei primi.

Roberto

Umberto ha detto...

Caro Roberto,

Hai sollevato un problema fondamentale ma alla fine non mi sembra che la risposta, da parte tua e degli interlocutori, sia stata conclusiva. Mi attengo al titolo, cercando di limitare le divagazioni: la burocrazia nel suo insieme è ottusa, ma i burocrati individualmente sono in larga parte tutt’altro che ottusi; le norme nel loro insieme sono – o appaiono - ottuse, ma ogni singola disposizione ha un preciso scopo spesso non percepibile all’esterno della burocrazia – e pertanto giudicato ottuso.

I politici, lasciati soli, non sarebbero capaci di redigere il testo di un singolo articolo di legge: dietro ciascun proponente di leggi, dietro ad ogni singolo membro di Commissione parlamentare o del Governo c’è sempre una schiera di esperti giuridici, economici, scientifici che consigliano, forniscono informazioni e statistiche, e finalmente mettono nero sul bianco le intenzioni dei rappresentanti del popolo. Potremmo dire che la legislazione venga attuata attraverso la collaborazione (sincera o meno è un’altra questione) della burocrazia con la politica: quest’ultima ci mette le idee, la burocrazia si incarica di aiutare a metterle in bella copia. Raramente una legge o un decreto sono ottusi in sé, a meno che non sia frutto di troppi stravolgimenti o emendamenti nel corso dell’iter parlamentare.

Il discorso cambia quando la burocrazia è lasciata con mano libera: fatte le leggi, i politici sono ben lieti di lasciarle il compito di occuparsi dei “dettagli” (dove sta il diavolo, come ben sappiamo): i regolamenti di attuazione, benchè a firma ministeriale, sono in gran parte redatti dai burocrati, e a firma dei direttori generali sono le circolari le guide pratiche per gli uffici periferici.

( il testo prosegue nel successivo commento)

Umberto ha detto...

La domanda che hai posto nel titolo arriva al cuore del problema: quando ci troviamo di fronte ad un burocrate che ci contesta un’infrazione o l’interpretazione di una certa norma, siamo portati d’istinto a considerare ottuso lui o ottusa la norma che non ha capito le nostre esigenze o le nostre intenzioni. Molto spesso, invece, il burocrate non è ottuso, solo non ha voglia di capire il cittadino per pigrizia mentale; e la norma è “intelligente”, nel senso che il burocrate che l’ha concepita sa bene quali saranno le nostre intenzioni o interpretazioni e si è messo di traverso per “proteggere gli interessi dello Stato”: poco importa, poi, se questo sia per coscienza civica o per quel perverso zelo professionale che considera il cittadino come qualcuno sempre dall’altra parte della barricata. Vediamo norme incomprensibili, con decine di riferimenti a disposizioni pregresse che si prestano a multiple interpretazioni, di cui una sola alla fine si rivela valida: quella avversa agli interessi o alle tesi del cittadino; siamo qui di fronte a una burocrazia tutt’altro che ottusa, bensì astuta e furbastra che, inconsapevolmente o no, gode del suo potere e lo esercita nel peggiore dei modi. Qua e là si notano segni di miglioramento: dal burocrate che ti aiuta e impiega il suo tempo ad aiutarti alla circolare redatta in modo comprensibile anche a chi non è avvocato o commercialista; ma si tratta di segnali ancora rari: se prendiamo ad esempio la storia del canone della RAI, dovremmo dire che siamo ancora in alto mare.

Scusa il ritardo, buona serata

Umberto









roberto ha detto...

Caro Umberto,

sono d'accordo con te sul fatto che i burocrati non siano ottusi ma piuttosto dei furbastri, assai abili a mettere nel sacco sia il cittadino che, a volte, i politici cui dovrebbero rispondere, ma lo sono i loro provvedimenti Richiamo quanto ha ben detto Giorgio Calderaro nel post: " la caratteristica fondamentale della burocrazia normativa è quella di essere autoreferenziale e autoalimentante, di agire in conto proprio e non per conto e a favore dei cittadini ". E' proprio questa caratteristica che rende ottuse certe loro disposizioni, perché esse scavano un solco sempre più profondo fra cittadini e Istituzioni e quindi contribuiscono al rifiuto del sistema politico - amministrativo che governa il Paese.

Come ho scritto rispondendo a Elena Passerini, è un peccato che l'esempio del canone RAI da lei portato, per quanto emblematico, non sia di quelli che possono "scaldare i cuori" e quindi diventare oggetto di una battaglia politica contro le vessazioni burocratiche.

Resta comunque valida la proposta contenuta nel post di creare un canale di ritorno che dai cittadini riporti ai politici una valutazione degli aspetti più critici della normativa in vigore al fine di apportarvi le necessarie correzioni. Devo dire al riguardo che questo tema, sottoposto in questi giorni ad alcuni candidati Sindaco di Milano nel corso degli incontri organizzati dall'Associazione "Le Forme della politica" incontra una certa apertura da parte dei politici, E' vero che siamo in campagna elettorale e che, in tale contesto, possono essere fatte "promesse da marinaio", ma è una pista su cui lavorare, anche se ovviamente il tema riguarda soprattutto il contesto nazionale.
Ciao.

Roberto

roberto ha detto...

A proposito di follia burocratica, pubblico il pezzo odierno di Massimo Gramellini nella sua rubrica "Buongiorno" su La Stampa, che evidenzia con l'acume e l'ironia che gli sono propri, l'assurdità di certi atteggiamenti dei pubblici poteri:
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SMESSA IN PIEGA

Francesca Lattante e Michela Pulieri sono due ragazze leccesi in cerca di rogne. Leggono di un concorso riservato a giovani donne con l’uzzolo dell’imprenditoria: l’idea più originale riceverà ventimila euro per l’avviamento. Si presentano in 141, vincono loro. L’idea in effetti non è male. Parrucchiere ambulanti. Con i soldi del premio comprano un furgone e lo attrezzano come si deve. Caschi, poltrone. Persino la toilette, obbligatoria per gli esercizi commerciali. Il piano delle ragazze consiste nel solcare il Salento durante l’estate, catturando clienti di ritorno dalla spiaggia o dedite all’aperitivo. Per non arrugginire i bigodini, in bassa stagione si muoveranno tra i Comuni peggio serviti della Puglia, facendo la permanente a domicilio. Lieto fine? In America, Germania e probabilmente Papuasia sì. Qui no. Qui un artigiano non può avere un luogo di lavoro semovente. Dev’essere il cliente a scomodarsi per andare da lui, giammai il contrario. La Camera di commercio nega l’iscrizione alle parrucchiere motorizzate e le rimbalza sul Comune. Ma al Comune non sanno che fare. Le leggi parlano chiaro (insomma): un itinerante può vendere oggetti e cucinare pietanze, anche scotte. Ma non può tagliare capelli. Non è previsto da alcun tabulato x al comma y del paragrafo z.
Riassumo per puro sadismo: in un Paese con il 40% di disoccupazione giovanile, due ragazze del Sud hanno un’idea brillante e i soldi per realizzarla. Ma non possono, perché manca un timbro. Vogliamo evitare che vadano a sforbiciare all’estero anche loro? Allora mettiamo questo benedetto timbro. E se qualche lobby della messa in piega si offende, facciamole uno shampoo.