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lunedì 18 luglio 2016

Democratici sul serio o per finta ?



Subito dopo la vittoria, nel Regno Unito, della Brexit il Premier inglese Cameron ne ha tratto le conseguenze: si è dimesso, rispettando la scelta degli elettori che lui non condivideva. Anche Theresa May che pure era favorevole a rimanere in Europa  e che  lo ha sostituito alla guida del Partito Conservatore e del Paese, ha immediatamente affermato, dopo la sua designazione: “Brexit è e Brexit sarà e sarà comunque un successo”. Questo significa avere profondamente assimilato il senso della democrazia,  in cui ciò che conta è il parere della maggioranza.
In Italia invece le cose vanno diversamente e le minoranze sono sempre riottose ad accettare le decisioni dei più . Ciò è particolarmente evidente quando in minoranza sono le elite del Paese: finché il voto dei più va nella direzione da esse auspicata, si sprecano gli elogi sulla capacità di decidere della gente ma, se le cose vanno diversamente, allora le elite, senza distinzione di orientamento politico, si scatenano contro il popolo, accusato di essere ignorante e inadatto a prendere decisioni complesse
La reazione alla Brexit di molti illustri  editorialisti ( ad esempio: Calabresi, Mauro, Severgnini, Polito, Gramellini, Sallusti)  è stata un’immediata  campagna tendente a delegittimare la maggioranza degli elettori britannici, con l’argomentazione sostanzialmente razzista che chi ha votato Brexit è in prevalenza anziano e di classe sociale inferiore . Severgnini in un articolo sul Corriere intitolato  “La decrepita alleanza”  ha accusato gli  anziani di “fare lo sgambetto alle nuove generazioni” ; gli ha fatto eco su La Stampa Gramellini che ha affermato “ I giovani, i laureati e i londinesi hanno votato in larga maggioranza per restare. Gli anziani, i meno istruiti e gli inglesi di provincia per andarsene” ed ha aggiunto “ La prova evidente che si è trattato di una scelta di paura, determinata da persone  che non avendo strumenti conoscitivi adeguati hanno fatto prevalere la pancia sulla testa. E conclude con una frase davvero terrificante  : “ la retorica della gente comune ha francamente scocciato. Una democrazia ha bisogno di cittadini evoluti che conoscano le materie su cui sono chiamati a deliberare”.
E’ veramente preoccupante che due giornalisti di vaglia (Severgnini, fra l’altro,  conosce benissimo il mondo anglosassone e Gramellini è solitamente dotato di un profondo senso dell’humour) non si rendano conto che il loro ragionamento porta dritti dritti alla negazione del suffragio universale e del principio basilare della democrazia per cui i voti si contano e non si pesano. Negazione alla quale fa  esplicitamente un pensierino Sallusti che, dopo aver detto che il risultato del voto va rispettato, aggiunge “ la sproporzione dei numeri è tale che qualche dubbio sulla validità del suffragio universale ci sta”.

Evidentemente lo spirito elitista che caratterizza il nostro Paese e che non a caso altri due bravi giornalisti ,Stella e Rizzo, hanno stigmatizzato nel famoso  libro “La Casta” impedisce a molti di accettare che il potere appartiene al popolo e non a chi ha posizioni preminenti dal punto di vista economico, culturale o politico, come invece afferma Mauro che mette in discussione l’istituto referendario perchè, con esso, “i rappresentanti si spogliano delle loro responsabilità e delegano i cittadini”, forse senza rendersi conto dell’enormità  e dell’involontaria comicità di questa affermazione che pone l’oligarchia e non il popolo come fonte ultima del potere.
Va comunque detto che non tutti i giornalisti si sono uniti a questa sgradevole operazione. . Vittorio Feltri e Mario Giordano su Libero ed Ernesto Galli della Loggia sul  Corriere hanno espresso opinioni fuori dal coro. Feltri ha avviato una campagna per chiedere che anche gli italiani possano esprimersi circa la permanenza in Europa, Giordano ha messo a nudo le incongruenze degli opinionisti citati in precedenza; ad esempio quella di Mauro che, dopo il referendum promosso dalla destra nel 2005 e bocciato dagli elettori, scriveva  di “validità dell’istituto referendario” e del fatto che i cittadini hanno dimostrato “capacità di decidere anche di fronte a questioni complicate”: esattamente l’opposto di quanto dice oggi.
Galli della Loggia allarga il discorso alle elite europe: dopo aver riportato gli epiteti usati da un intellettuale francese, Henry Levy, nei confronti dei fautori della Brexit ( populisti, demagoghi, ignoranti, cretini, ecc) scrive” mi chiedo come sia possibile … non rendersi conto che proprio pensando, dicendo e scrivendo da anni …cose come quelle scritte da Hanry Levy, le elite intellettuali e politiche europee  sono riuscite a scavare fra sé e le opinioni pubbliche un solco profondo di avversione e di disprezzo. A rendersi insopportabili con la loro sicumera e la loro superficialità” E aggiunge “ è al popolo o no, è agli elettori o no che spetta l’ultima parola sulle cose importanti che li riguardano? E ai primissimi posti tra questi non c’è forse la costruzione europea? E se questa…ha previsto la cessione proprio di parti rilevanti della sovranità, è così assurdo pensare che il popolo avrebbe dovuto o debba dire la sua?
Parole sagge ma che i nostri intellettuali fanno fatica a digerire come dimostra l’articolo sul Corriere di Angelo Panebianco che, pur stigmatizzando chi ritiene il popolo “troppo bue e ignorante per poter decidere alcunché di serio” sostiene “Non sarebbe meglio, almeno in certi frangenti, mettere da parte l’ambiguo mito della sovranità popolare?
Quindi per Panebianco ciò che è l’essenza stessa della democrazia, sancita anche dalla nostra Costituzione, diventa un “ambiguo mito”!!,  al quale lui contrappone la “democrazia rappresentativa” in cui “il popolo non decide sulle questioni pubbliche , fa una scelta fra coloro che, dicendo il vero oppure millantando, asseriscono di saper prendere decisoni sagge”, perché secondo lui “ la democrazia diretta non è la migliore risposta a problemi complessi”. Ancora una volta spunta fuori la vocazione elitaria ed oligarchica di molti opinionisti e non basta certo a dissimularla il retorico rifiuto del “popolo bue”.
E’ora che gli intellettuali si rendano conto che, continuando a trattare i cittadini da “minus habens”, si danno la zappa sui piedi perché la loro credibilità sta sprofondando e la loro possibilità di formare l’opinione pubblica si sta azzerando.
Ed è bene che i cittadini si facciano sentire e non subiscano passivamente gli sproloqui di chi si sente a loro superiore pur non avendo la capacità di cogliere il senso del cambiamento in atto in Europa e nel nostro Paese.

martedì 5 luglio 2016

Il nuovo quadro politico



La vittoria del Movimento 5 Stelle alle recenti elezioni amministrative, la flessione del PD e la temporanea marginalizzazione del centrodestra  creano un contesto molto diverso da quello di due anni fa, quando il netto successo dei  democratici, col 41%  dei voti, alle elezioni europee dava un forte  impulso all’azione del governo.
L’aspetto più rilevante della nuova situazione è che la fluidità nelle scelte politiche degli elettori  è diventata assoluta e nessuna forza politica può più “vivere di rendita”.
Ne sa qualcosa Renzi che si era illuso, sulla scorta del predetto successo, di poter dirigere in modo incontrastato il processo di riforme avviato; da qui era scaturita la contrapposizione frontale nei confronti della minoranza dem e l’estrema disinvoltura con la quale il premier ha prima concordato il “patto del Nazareno” per poi scioglierlo improvvisamente e accordarsi con  la componente verdiniana del centrodestra. Ora Renzi si sta forse rendendo conto che gli elettori non hanno gradito la sua eccessiva sicurezza, spesso sfociata in sfrontatezza, e la personalizzazione  del confronto sulle riforme (“ o con me o contro di me”) che lo ha messo in un “ cul de sac” dal quale fatica ad uscire.
Ma ne sa qualcosa anche Salvini che, alzando troppo la voce ed estremizzando situazioni serie ma delicate come quella migratoria, si è alienato molte simpatie anche in quella parte dell’elettorato di centrodestra che è alla disperata ricerca di una leadership credibile, dopo il fallimento di quella berlusconiana.
Per i 5 Stelle che sono ora sulla cresta dell’onda e che possono realmente candidarsi alla guida del Paese, se riusciranno a gestire in modo appropriato la difficile situazione romana e a non far rimpiangere Fassino nel capoluogo piemontese, c’è il problema di come attrezzarsi seriamente per fare il salto di qualità necessario per un impegno di governo. In positivo c’è il “passo di lato” fatto da Grillo che gli consente di esercitare il ruolo di garante senza interferire nella maturazione della giovane classe dirigente del movimento.
Sull’evolvere del quadro politico giocherà un ruolo cruciale il referendum costituzionale di ottobre, strettamente legato alla legge elettorale recentemente entrata in vigore.
Renzi non ha più la convenienza a mantenere la logica dello scontro frontale con i fautori del no perché, come hanno chiaramente dimostrato i ballottaggi delle amministrative, rischia di finire schiacciato dall’alleanza tattica fra 5 Stelle e Centrodestra, mirante a “farlo fuori”. Deve quindi scendere a patti ma non può farlo  favorendo una modifica dell’Italicum mirante ad attribuire il  premio di maggioranza alla coalizione anziché al primo partito perché ciò produrrebbe due conseguenze nefaste:
-          si favorirebbe nuovamente la frammentazione partitica e il potere di veto delle minoranze
-          si manderebbe  il segnale che si vuole impedire ai 5 Stelle, refrattari alle coalizioni, di candidarsi alla guida del Paese e ciò potrebbe portare ad una rivolta del corpo elettorale
E’ quindi necessario procedere ad un confronto serio e reale su alcuni punti controversi della riforma elettorale che lasciano perplessi non solo gli oppositori di Renzi ma anche gran parte dei cittadini: faccio riferimento in particolare a:
-          la mancanza di una soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza che davvero renderebbe possibile che il Paese venisse governato da una forza rappresentativa di una minoranza sparuta dell’elettorato.
-           la presenza delle liste bloccate, espressione delle segreterie dei partiti, ritenuta dai più come una perpetuazione dell’inviso potere della casta.
Sia la minoranza dem sia l’opposizione di centrodestra hanno un’occasione di dimostrare nei fatti di voler contribuire al miglioramento del sistema di governo e non solo quella di scalzare chi ha attualmente il ruolo di gestirlo.
Ci vuole maturità da parte di tutti, compresi i 5 Stelle, che non possono esimersi da dare un contributo costruttivo se vogliono candidarsi al governo del Paese.
I cittadini valuteranno i comportamenti delle diverse forze politiche ed orienteranno in base ad essi le loro scelte, punendo chi agisce solo in ottica di parte.