Subito dopo la vittoria, nel Regno Unito, della Brexit il
Premier inglese Cameron ne ha tratto le conseguenze: si è dimesso, rispettando
la scelta degli elettori che lui non condivideva. Anche Theresa May che pure
era favorevole a rimanere in Europa e
che lo ha sostituito alla guida del
Partito Conservatore e del Paese, ha immediatamente affermato, dopo la sua
designazione: “Brexit è e Brexit sarà e sarà comunque un successo”. Questo
significa avere profondamente assimilato il senso della democrazia, in cui ciò che conta è il parere della
maggioranza.
In Italia invece le cose vanno diversamente e le minoranze
sono sempre riottose ad accettare le decisioni dei più . Ciò è particolarmente
evidente quando in minoranza sono le elite del Paese: finché il voto dei più va
nella direzione da esse auspicata, si sprecano gli elogi sulla capacità di
decidere della gente ma, se le cose vanno diversamente, allora le elite, senza
distinzione di orientamento politico, si scatenano contro il popolo, accusato
di essere ignorante e inadatto a prendere decisioni complesse
La reazione alla Brexit di molti illustri editorialisti
( ad esempio: Calabresi, Mauro, Severgnini, Polito, Gramellini, Sallusti) è stata un’immediata campagna tendente a delegittimare la
maggioranza degli elettori britannici, con l’argomentazione sostanzialmente
razzista che chi ha votato Brexit è in prevalenza anziano e di classe sociale
inferiore . Severgnini in un
articolo sul Corriere intitolato “La decrepita
alleanza” ha accusato gli anziani di “fare lo sgambetto alle nuove generazioni” ; gli ha fatto eco
su La Stampa Gramellini che
ha affermato “ I giovani, i laureati e i londinesi hanno votato in larga
maggioranza per restare. Gli anziani, i meno istruiti e gli inglesi di
provincia per andarsene” ed ha aggiunto “ La prova evidente che si è trattato
di una scelta di paura, determinata da persone
che non avendo strumenti conoscitivi adeguati hanno fatto prevalere la
pancia sulla testa. E conclude con una frase davvero terrificante : “ la
retorica della gente comune ha francamente scocciato. Una democrazia ha bisogno
di cittadini evoluti che conoscano le materie su cui sono chiamati a deliberare”.
E’ veramente preoccupante che due giornalisti di vaglia
(Severgnini, fra l’altro, conosce
benissimo il mondo anglosassone e Gramellini è solitamente dotato di un
profondo senso dell’humour) non si rendano conto che il loro ragionamento porta
dritti dritti alla negazione del suffragio universale e del principio basilare
della democrazia per cui i voti si contano e non si pesano. Negazione alla
quale fa esplicitamente un pensierino Sallusti che, dopo aver detto
che il risultato del voto va rispettato, aggiunge “ la sproporzione dei numeri
è tale che qualche dubbio sulla
validità del suffragio universale ci sta”.
Evidentemente lo spirito elitista che caratterizza il nostro
Paese e che non a caso altri due bravi giornalisti ,Stella e Rizzo, hanno
stigmatizzato nel famoso libro “La
Casta” impedisce a molti di accettare che il potere appartiene al popolo e non
a chi ha posizioni preminenti dal punto di vista economico, culturale o
politico, come invece afferma Mauro
che mette in discussione l’istituto referendario perchè, con esso, “i rappresentanti si spogliano delle loro
responsabilità e delegano i cittadini”, forse senza rendersi conto
dell’enormità e dell’involontaria
comicità di questa affermazione che pone l’oligarchia e non il popolo come fonte
ultima del potere.
Va comunque detto che non tutti i
giornalisti si sono uniti a questa sgradevole operazione. . Vittorio Feltri e
Mario Giordano su Libero ed Ernesto Galli della Loggia sul Corriere hanno espresso opinioni fuori dal
coro. Feltri ha avviato una
campagna per chiedere che anche gli
italiani possano esprimersi circa la permanenza in Europa, Giordano ha messo a nudo le incongruenze degli
opinionisti citati in precedenza; ad esempio quella di Mauro che, dopo
il referendum promosso dalla destra nel 2005 e bocciato dagli elettori,
scriveva di “validità dell’istituto
referendario” e del fatto che i cittadini hanno dimostrato “capacità di
decidere anche di fronte a questioni complicate”: esattamente l’opposto di
quanto dice oggi.
Galli della Loggia allarga il discorso alle elite europe:
dopo aver riportato gli epiteti usati da un intellettuale francese, Henry Levy,
nei confronti dei fautori della Brexit ( populisti, demagoghi, ignoranti,
cretini, ecc) scrive” mi chiedo come sia possibile … non rendersi conto che
proprio pensando, dicendo e scrivendo da anni …cose come quelle scritte da
Hanry Levy, le elite intellettuali e politiche europee sono riuscite a scavare fra sé e le opinioni
pubbliche un solco profondo di avversione e di disprezzo. A rendersi
insopportabili con la loro sicumera e la loro superficialità” E aggiunge “ è al popolo o no, è agli elettori o no
che spetta l’ultima parola sulle cose importanti che li riguardano? E ai
primissimi posti tra questi non c’è forse la costruzione europea? E se
questa…ha previsto la cessione proprio di parti rilevanti della sovranità, è
così assurdo pensare che il popolo avrebbe dovuto o debba dire la sua?
Parole sagge ma che i nostri
intellettuali fanno fatica a digerire come dimostra l’articolo sul Corriere di Angelo Panebianco che, pur stigmatizzando
chi ritiene il popolo “troppo bue e ignorante per poter decidere alcunché di
serio” sostiene “Non sarebbe meglio,
almeno in certi frangenti, mettere da parte l’ambiguo mito della sovranità
popolare?
Quindi per Panebianco ciò che è
l’essenza stessa della democrazia, sancita anche dalla nostra Costituzione,
diventa un “ambiguo mito”!!, al quale
lui contrappone la “democrazia
rappresentativa” in cui “il popolo non decide sulle questioni pubbliche , fa
una scelta fra coloro che, dicendo il vero oppure millantando, asseriscono di
saper prendere decisoni sagge”, perché secondo lui “ la democrazia diretta non è la migliore
risposta a problemi complessi”. Ancora una volta spunta fuori la
vocazione elitaria ed oligarchica di molti opinionisti e non basta certo a
dissimularla il retorico rifiuto del “popolo bue”.
E’ora che gli intellettuali si
rendano conto che, continuando a trattare i cittadini da “minus habens”, si
danno la zappa sui piedi perché la loro credibilità sta sprofondando e la loro
possibilità di formare l’opinione pubblica si sta azzerando.
Ed è bene che i cittadini si
facciano sentire e non subiscano passivamente gli sproloqui di chi si sente a
loro superiore pur non avendo la capacità di cogliere il senso del cambiamento
in atto in Europa e nel nostro Paese.