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martedì 5 luglio 2016

Il nuovo quadro politico



La vittoria del Movimento 5 Stelle alle recenti elezioni amministrative, la flessione del PD e la temporanea marginalizzazione del centrodestra  creano un contesto molto diverso da quello di due anni fa, quando il netto successo dei  democratici, col 41%  dei voti, alle elezioni europee dava un forte  impulso all’azione del governo.
L’aspetto più rilevante della nuova situazione è che la fluidità nelle scelte politiche degli elettori  è diventata assoluta e nessuna forza politica può più “vivere di rendita”.
Ne sa qualcosa Renzi che si era illuso, sulla scorta del predetto successo, di poter dirigere in modo incontrastato il processo di riforme avviato; da qui era scaturita la contrapposizione frontale nei confronti della minoranza dem e l’estrema disinvoltura con la quale il premier ha prima concordato il “patto del Nazareno” per poi scioglierlo improvvisamente e accordarsi con  la componente verdiniana del centrodestra. Ora Renzi si sta forse rendendo conto che gli elettori non hanno gradito la sua eccessiva sicurezza, spesso sfociata in sfrontatezza, e la personalizzazione  del confronto sulle riforme (“ o con me o contro di me”) che lo ha messo in un “ cul de sac” dal quale fatica ad uscire.
Ma ne sa qualcosa anche Salvini che, alzando troppo la voce ed estremizzando situazioni serie ma delicate come quella migratoria, si è alienato molte simpatie anche in quella parte dell’elettorato di centrodestra che è alla disperata ricerca di una leadership credibile, dopo il fallimento di quella berlusconiana.
Per i 5 Stelle che sono ora sulla cresta dell’onda e che possono realmente candidarsi alla guida del Paese, se riusciranno a gestire in modo appropriato la difficile situazione romana e a non far rimpiangere Fassino nel capoluogo piemontese, c’è il problema di come attrezzarsi seriamente per fare il salto di qualità necessario per un impegno di governo. In positivo c’è il “passo di lato” fatto da Grillo che gli consente di esercitare il ruolo di garante senza interferire nella maturazione della giovane classe dirigente del movimento.
Sull’evolvere del quadro politico giocherà un ruolo cruciale il referendum costituzionale di ottobre, strettamente legato alla legge elettorale recentemente entrata in vigore.
Renzi non ha più la convenienza a mantenere la logica dello scontro frontale con i fautori del no perché, come hanno chiaramente dimostrato i ballottaggi delle amministrative, rischia di finire schiacciato dall’alleanza tattica fra 5 Stelle e Centrodestra, mirante a “farlo fuori”. Deve quindi scendere a patti ma non può farlo  favorendo una modifica dell’Italicum mirante ad attribuire il  premio di maggioranza alla coalizione anziché al primo partito perché ciò produrrebbe due conseguenze nefaste:
-          si favorirebbe nuovamente la frammentazione partitica e il potere di veto delle minoranze
-          si manderebbe  il segnale che si vuole impedire ai 5 Stelle, refrattari alle coalizioni, di candidarsi alla guida del Paese e ciò potrebbe portare ad una rivolta del corpo elettorale
E’ quindi necessario procedere ad un confronto serio e reale su alcuni punti controversi della riforma elettorale che lasciano perplessi non solo gli oppositori di Renzi ma anche gran parte dei cittadini: faccio riferimento in particolare a:
-          la mancanza di una soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza che davvero renderebbe possibile che il Paese venisse governato da una forza rappresentativa di una minoranza sparuta dell’elettorato.
-           la presenza delle liste bloccate, espressione delle segreterie dei partiti, ritenuta dai più come una perpetuazione dell’inviso potere della casta.
Sia la minoranza dem sia l’opposizione di centrodestra hanno un’occasione di dimostrare nei fatti di voler contribuire al miglioramento del sistema di governo e non solo quella di scalzare chi ha attualmente il ruolo di gestirlo.
Ci vuole maturità da parte di tutti, compresi i 5 Stelle, che non possono esimersi da dare un contributo costruttivo se vogliono candidarsi al governo del Paese.
I cittadini valuteranno i comportamenti delle diverse forze politiche ed orienteranno in base ad essi le loro scelte, punendo chi agisce solo in ottica di parte.

6 commenti:

Unknown ha detto...

Condivido perfettamente.
Ho qualche remora a pensare che un premio alla coalizione "favorirebbe nuovamente la frammentazione partitica e il potere di veto delle minoranze": vediamo infatti che anche all'interno di un singolo partito vi sono correnti e veti. Pertanto, se l'obiettivo è quello di arginare la frammentazione, non saprei dire se il metodo proposto è efficace o altri possano esserlo di più.
Inoltre, nelle valutazioni in merito al quadro politico, più che la voglia di far cadere Renzi penso che possa prevalere il desiderio di "spallata all'establishment" che abbiamo visto all'opera in UK e che da noi potrebbe catalizzarsi nel NO al referendum. Penso che però, sviluppando le posizioni più inclusive a cui tu accenni e altre più palesemente anti-casta e a favore dei cittadini (stile Renzi prima maniera), il rischio della spallata anti-establishment potrebbe essere ridotto.

Giorgio Calderaro

roberto ha detto...

Il premio allla coalizione consentirebbe ai partiti minori che ne fanno parte di "ricattare" il partito maggiore e di condizionarlo ben al di là di quanto vale la loro forza elettorale, come avvenuto spesso in passato. Certo, anche nei singoli partiti ci sono correnti e minoranze spesso agguerrite e in graoi di ostacolare la maggioranza, come sta accadendo bel PD.
Ma se il partito maggiore è forte del premio di maggioranza può tenere a bada la fronda interna.
Io attribuisco la voglia di far cadere Renzi ai partiti che gli si oppongono (centrodestra e 5 stelle) che, data la mobilità dell'elettorato, potrebbero essere puniti per tale strumentale intenzione; così come Renzi potrebbe essere penalizzato se impedisse, con un cambiamento dell'Italicum, ai 5 Stelle di candidarsi a governare.
Il quadro è olto fluido e chi fa troppo il furbo può trovarsi di fronte a sorprese inaspettate.

Roberto

Giuseppe Nava ha detto...

La 7 pare abbia mandato in onda ieri sera il filmato dove renzi garantiva che su MPS tutto era risolto.
Neanche Totò avrebbe osato....
Ma come ha fatto un essere così penoso ad avere quella carica?
Forse è il simbolo di una nazione invasa e al collasso
gn

roberto ha detto...


Non ho visto il filmato e non so se la notizia da te citata è vera.
In generale ritengo che Renzi pecchi di un ottimismo di maniera e di facciata che risulta poco credibile e che toglie efficacia alla sua narrazione. Guadagnerebbe certamente in autorevolezza se dicesse le cose come stanno, anzichè cercare di edulcorarle.
Comunque sono meno drastico di te nel giudizio sul Premier, la cui azione - piaccia o no - ha notevolmente migliorato la percezione del nostro Paese da parte degli osservatori internazionali, che non sono degli sprovveduti.
Roberto

Umberto ha detto...

L’essenza del problema è nel fatto che “la fluidità delle scelte politiche degli elettori è diventata assoluta”; capire il perché di questa fluidità potrebbe suggerire ai partiti la strategia da adottare nell’affrontare il referendum.

Esistevano un tempo i “partiti”: un partito comunista, uno socialista, una democrazia cristiana, i repubblicani e i liberali con simpatie ondivaghe ma comunque fluttuanti in aree ben precisate. Ognuno aveva idee che traevano origine da un pensiero politico o religioso o sociale o economico, ma pur sempre un pensiero basato su testi e filtrato nella testa dei cittadini da profeti più o meno suggestivi ma con un carisma indiscusso e indiscutibile.

Quello che rimane oggi è il vuoto: solo quattro gatti solitari ancora si appellano a Stalin e al Duce, ma a loro va la nostra ammirazione per avere il coraggio delle proprie idee. Nel PD convivono due anime senza idee, quelle della ex sinistra e quelle della ex DC; il PDL non ha mai avuto un’idea politica, è genericamente di centro-destra come contrapposto al centro-sinistra del PD; i grillini hanno avuto se non altro il buon gusto di rifiutare di chiamarsi “partito”: sono un coacervo di risentimenti, di proteste, di speranze, anche di velleitarismi se si vuole: ci si trova dentro di tutto, salvo un pensiero politico; la Lega è talmente ondivaga e trasformista che non è classificabile, a meno che non si voglia classificarla come estremista: magari non lo è ma si comporta come tale.

In una situazione del genere, chi volete che voti un partito politico? Si vota un po’ l’uno un po’ l’altro sulla spinta dell’emotività, delle simpatie per qualche personaggio o per qualche tesi sostenuta, ma soprattutto si vota per paura o per protesta: paura dell’instabilità o dell’Europa, o protesta contro la corruzione, l’immigrazione, La disoccupazione. La paura, ma soprattutto la protesta, sono a geometria variabile e instabile nel tempo: vanno dall’uno all’altro schieramento e cambiano a seconda delle stagioni. Lasciando da parte il “no” di quelli che vogliono mandare a casa Renzi, a prescindere ma senza aver mai detto con chi vorrebbero sostituirlo, le alchimie di potere sottostanti alle diverse proposte alternative rischiano di non tener conto della fluidità dell’elettorato: quella che oggi sembra la scelta migliore potrebbe rivelarsi rovinosa domani. Guadagnarsi simpatie stabili, sulle quali contare nel tempo, è forse il compito più difficile che oggi si presenta ai partiti.

Buona serata,

Umberto

roberto ha detto...


Della tua eccellente analisi vorrei evidenziare in particolare la conclusione, che sondiviso totalmente, circa la vacuità delle alchimie politiche tradizionali a fronte di un fenomeno, la fuidità assoluta, del tutto nuovo.
I politici si muovono in "terre inesplorate" e possono incorrere in trabocchetti letali soprattutto se pensano di "gabbare il popolo" con i soliti riti.
E' questo il motivo per cui conviene loro non strumentalizzare troppo il "sistema delle regole" ( referendum, legge elettorale, ecc,) a fini esclusivamente di parte.
I cittadini non abboccano più.
Buona serata anche a te.
Roberto