La caduta
verticale di credibilità dell’establishment nei Paesi occidentali è frutto del combinato
disposto di due fattori che, da oltre duecento anni, stanno minando le
fondamenta dei loro sistemi politici, dando luogo a“forme” patologiche che li
rendono incapaci di rispondere alle richieste dei cittadini e di affrontare le
crescenti sfide sociali:
Il primo
fattore è l’illusione che tali
sistemi siano delle democrazie mentre è storicamente provato che essi
sono stati concepiti per uno scopo esattamente opposto, cioè quello di dare il
potere ad un’elite, evitando accuratamente di riconoscere la sovranità
popolare. I nostri sistemi politici sono delle “oligarchie elettive”
e tale caratteristica, ormai chiara a molti, è la causa principale
dell’allontanamento dei popoli da chi li governa, del crescente assenteismo
elettorale e, più di recente, delle scelte inattese fatte da vari popoli
(inglese, statunitense e italiano) in recenti consultazioni politiche o
referendarie.
Il secondo è
la tendenza dei partiti a occupare lo
Stato e a servirsene per i propri obiettivi.
Questa
tendenza, che era tipica dei Paesi totalitari, è diventata usuale anche in
quelli che si dicevano democratici ed ha assunto due varianti:
* la dissimulazione, ben espressa
dalla seguente descrizione del filosofo Giuseppe Polistena: “ Nell’area europea, e segnatamente in
quella italiana, il partito ha utilizzato abilmente una doppia sponda che gli
ha consentito di mimetizzarsi abilmente; esso infatti ha occupato da un lato le
istituzioni dello Stato, ma dall’altro si è pensato e raffigurato come una
semplice e spontanea manifestazione della società civile o, come si dice
sovente, come una bocciofila di Paese”.
Così facendo
i partiti hanno ottenuto il risultato di avere “ la botte piena e la moglie
ubriaca”, cioè il massimo accesso al potere e la massima libertà d’azione, non essendo sottoposti ad alcun controllo.
* l’esplicitazione,
tipica dei Paesi anglosassoni, caratterizzati dalla logica dello “spoil
system”, per cui il Partito vincente occupa tutti i posti di potere, non solo
quelli politici, ma anche quelli amministrativi.
La
differenza fra le due varianti è ovviamente riconducibilie ai diversi tratti
culturali vigenti nelle realtà di riferimento.
Questa situazione
patologica è potuta durare tanto a lungo perché i formidabili progressi della
scienza e della tecnica, tipici frutti delle cultura occidentale, hanno
garantito la crescita economica e, fino alla crisi iniziata nel 2008, un benessere diffuso che ha “anestetizzato” i popoli.
Ma,
essendosi dedicate le elite alla conquista e alla gestione del potere più che
ad anticipare e risolvere i problemi, sono state recentemente spiazzate dall’
imprevista rivolta degli elettorati, che stanno cogliendo ogni occasione di
voto per manifestare il proprio scontento contro una globalizzazione che ha
certamente creato opportunità, ma ha prodotto divaricazioni crescenti e
inaccettabili fra le classi sociali e un enorme spostamento di ricchezza verso
l’oriente.
Bollare come
“populismo” la rabbia crescente dei popoli e le forze che cercano, bene o
male, di tenerne conto è un’altra
clamorosa manifestazione di cecità
politica, che dimostra l’incapacità delle elite autoreferenziali di svolgere il
ruolo di guida che ritengono di avere.
Il punto di
fondo è che la democrazia rappresentativa così com’è non funziona perché non è realmente
democratica e va, quindi, corretta in
modo da dare ai cittadini un’effettiva
influenza sulla gestione della cosa pubblica, anche attraverso l’ampliamento
degli strumenti di democrazia diretta.
Su questi
temi sta da tempo lavorando l’
associazione “Le Forme della Politica”, che ha recentemente costituito una sezione internazionale denominata
“Improving Democracy”.
La sua
attività iniziale è la proposta, fatta ai leader di alcuni importanti Paesi
occidentali , di una significativa
integrazione dei sistemi della rappresentanza, di cui darò notizia nel prossimo
post.