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giovedì 2 febbraio 2017

L'Italia va cantando



Pubblico un'interessante riflessione di Giorgio Calderaro contenente tesi in parte diverse dalle mie, che possono stimolare un utile dibattito sulle prospettive del nostro Paese. Farò seguire un mio commento.

L’Italia va cantando
di Giorgio Calderaro
 
Finalmente, dopo il referendum del 4 dicembre, il clima politico è diventato più sereno: meno urla di denigrazione e più discussioni.
Anche il clima nella popolazione è diventato più sereno. Finalmente vengono piano piano ripristinati i diritti: gli insegnanti costretti all’emigrazione possono tornare a casa, i lavoratori schiavizzati dai voucher possono sperare nella loro abolizione e quindi nell’aumento dell’occupazione, i dirigenti pubblici possono aspettarsi la conferma della loro inamovibilità, i furbetti del cartellino potranno stare tranquilli, i dirigenti e gli obbligazionisti delle banche in crisi potranno contare sull’aiuto di stato, categorie sempre più ampie di persone potranno deliberare in merito alle proprie retribuzioni, … E se questo costa un po’ di debito in più, pazienza: tanto ora l’Europa, che prima “ce lo chiedeva”, ora “strilla un po’ ma ce lo permette”.
Siamo più tranquilli, possiamo proseguir cantando felici, come al festival di Sanremo.
La nostra ribellione sociale, come con Trump e con la Brexit, sta avendo successo. Certo negli USA è stato travolto tutto l’establishment, sia repubblicano che democratico mentre in UK è stato travolto solo il partito europeista e in questi due Stati l’intero scenario socioeconomico percorrerà strade ancora da esplorare; mentre da noi è stato travolto il partito riformista, con la restaurazione dello scenario politico nell’ambito di schemi noti e tradizionali.
Così come noti e tradizionali sono rimasti purtroppo i nostri problemi legati all’eccesso di debito pubblico, che impedisce di indirizzare ingenti investimenti pubblici alla crescita ed al lavoro per i giovani.
Inoltre purtroppo è cambiato il contesto economico in cui l’Italia è inserita: il prezzo dell’energia e il costo del denaro stanno salendo, con conseguente aggravio dei nostri già appesantiti conti pubblici, della solidità delle nostre banche, del potere di acquisto dei nostri redditi. E anche lo scenario economico mondiale, con la nuova triangolazione Trump – Putin – Xi rischia di evolversi in direzioni che ora non sappiamo.
Per affrontare la nuova situazione occorre formulare urgentemente un progetto politico, del cui dibattito però oggi non si vede traccia.
Il progetto politico però non può limitarsi a gestire le appariscenze negative, ma deve necessariamente toccare le cause modificabili dei fenomeni su cui si vuole agire.
Se vogliamo più lavoro, occorre necessariamente potenziare la base produttiva del paese adottando normative e incentivi attrattivi per nuove imprese e per l’allargamento di quelle esistenti. Inoltre si deve favorire, grazie a normative attrattive e ad incentivi, la nascita e lo sviluppo delle attività di tipo artigianale o addirittura domestico esaltate dalla sharing economy. Così, con incentivi, la base produttiva di reddito si allarga, con beneficio per tutti. Se vogliamo lavoro, non ci serve l’articolo 18, ci servono più imprese!
Evidentemente le norme, per generare attrattività, debbono essere semplici, senza cavilli e necessitano di una burocrazia poco costosa, rapida, trasparente e non ostile; necessitano di un sistema giudiziario efficiente e ragionevolmente veloce; necessitano di un sistema scolastico di qualità efficace e rapido; necessitano che chi crea danni alla collettività o alle sue imprese non venga premiato, necessitano che le collusioni tra finanza e politica vengano tagliate e che si lavori di più sulla trasparenza e contro la corruzione, necessitano che si diffondano a tutto il Paese comportamenti che premino le capacità di chi sa generare risultati utili per la comunità: a dispetto di tutti i potentati che invece godono di privilegi ormai fuori tempo.
Eh già, ma tutto questo presuppone un Paese proiettato al suo futuro e che vuole cambiare, e questo non è il Paese uscito dal referendum.
Forse, se le elezioni non fossero proprio dietro l’angolo, ci sarebbe il tempo perché tutto il Paese rifletta a fondo sul progetto politico e sul progetto industriale da sviluppare fino a identificarne uno più condiviso del precedente.

8 commenti:

roberto ha detto...

Riconosco che il referendum costituzionale, bocciando la politica di Renzi, ha spazzato via anche diverse cose buone che la riforma proponeva (fra esse, ad esempio, l'introduzione del referendum propositivo che ritengo essenziale per aumentare il tasso di democrazia). Ma ciò è avvenuto per l'errore dell'ex Premier di aver fatto di tale consultazione l'occasione per un plebiscito personale che pensava di vincere. Invece, messa la cosa in questi termini, la maggioranza ha votato proprio per bocciare la sua pretesa di "incoronazione".
Il voto popolare, come in Gran Bretagna e negli USA è stato un poderoso e salutare schiaffo all'establishment che non ha saputo far fronte ai gravi problemi che si presentano oggi ai Paesi Occidentali. Il nostro, che è particolarmente fragile a causa del suo debito pubblico, avrebbe proprio bisogno , come dici, di un progetto politico abbinato ad un progetto industriale, cosa che sta facendo Trump in America: per quanto il suo approccio assai ruvido sia discutibile non c'è dubbio che abbia "preso il toro per le corna".
Ciao.
Roberto

Unknown ha detto...

Tutto vero nella analisi di Giorgio e non ci sono prospettive di miglioramento a breve dato il nostro quadro politico.

roberto ha detto...

Concordo: se non si va ad elezioni con una legge elettorale valida per Camera e Senato e non si giunge ad un governo stabile, si potrà gestire solo la normale amministrazione, che non basta per risolvere i problemi in atto.

Franco Puglia ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Franco Puglia ha detto...
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Franco Puglia ha detto...
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Franco Puglia ha detto...

Condivido il contenuto dell'articolo, anche se non dice nulla di nuovo.
Siamo tutti concordi nel dire che così non va, ma nessuno appare in grado di dire come deve andare e, peggio, nessuno è disposto ad aderire a propste di altri, perchè non le ha formulate lui, e la sola proposta valida è quella formulata da chi è privo di idee per farlo, e privo del coraggio per sostenerle.
Un progetto esiste ed è descritto in http://www.svoltaeuropea.com ma attrae poche persone, perchè dice quello che va detto, non quello che si vorrebbe sentire, in maniera consolatoria.

roberto ha detto...

Ho letto il programma di Svolta Europea, che propone un' Europa Federale capace di coniugare una politica comune su materie critiche come sicurezza, immigrazione, politiche finanziarie, ecc con il riconoscimento di una larga autonomia in altri campi. L'ispirazione è liberale, con uno Stato leggero che dia il quadro delle regole e fornisca pochi servizi essenziali e una sfera privata, non vessata da vincoli burocratici e attiva nello sviluppo delle imprese e dell'economia. In più, una logica democratica attenta alla separazione fra forze politiche ed Istituzioni
E' un disegno articolato e significativo che, se realizzato, potrebbe dare un'identità alla costruzione europea, valorizzando le diversità culturali delle diverse realtà nazionali.
Purtroppo tale ipotesi si scontra con i venti contrari a progetti di rinforzo della casa comune per il prevalere delle spinte sovraniste ed anche per lo scarso coraggio mostrato dalle Istituzioni Europee (vedi, ad esempio il tema dell' immigrazione, dove i problemi è tutto sulle spalle di Italia e Grecia).
Ciò può spiegare la scarsa adesione al progetto.

Roberto