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lunedì 26 maggio 2014

L'Italia s'è desta




I risultati delle elezioni europee parlano da soli e dicono quanto segue:

1 - La speranza ha sconfitto la rabbia
Il clamoroso successo del PD e il flop di Grillo esprimono la forte  volontà di cambiamento degli italiani, che non vogliono però correre i rischi derivanti da una disordinata dissoluzione del sistema. Come è stato osservato da più parti, il massiccio consenso dato a Renzi è stato anche  un antidoto contro una prospettiva di affermazione delle forze antisistema, che appariva ai più come un salto nel buio.

2 – Il Governo esce fortemente rafforzato dai risultati elettorali e non ha più alibi
Renzi ha ricevuto un pieno mandato ad attuare quelle riforme che ha promesso e che molte forze,  interne ed esterne al PD, hanno cercato di impedire. Ciò avrà indubbie conseguenze sull’assetto del Partito Democratico, che dovrà prendere atto dei nuovi rapporti di forza fra le varie componenti e redistribuire i poteri al fine di un’azione politica coerente e incisiva.
Il superamento dello sbarramento da parte del Nuovo Centro Destra conferma l’opportunità della sua partecipazione al Governo mentre  l ‘enorme distanza neiconsensi rispetto al principale alleato garantisce sulla tenuta della coalizione.
E’ stato premiato l’approccio del Governo, contrario ai centri di potere che paralizzano il Paese da decenni e attento alle istanze delle famiglie e delle imprese.

3 – Il  principale partito del centrodestra deve esssere ricostruito dalle fondamenta
La sconfitta elettorale di Forza Italia non è dovuta alla scarsa presenza di Berlusconi in campagna elettorale, dovuta ai vincoli posti dall’autorità giudiziaria, come sostenuto dalla Responsabile Comunicazione del partito ma , all’opposto, alla sua presenza che  è ormai una “palla al piede” .  Solo se il partito riuscirà  a superare la totale dipendenza dalla persona Berlusconi ( il padre ma anche, in prospettiva,  la figlia) avrà la speranza di recuperare la fiducia dei  moderati.

4 - L’Italia può giocare un nuovo e fondamentale ruolo in Europa
Essendo il PD il partito europeo con la maggior percentuale di voti e apprestandosi il nostro Paese ad assumere la Presidenza dell’Unione per il prossimo semestre, il Premier avrà l’opportunità di esercitare una forte azione nelle sedi comunitarie per affermare una politica che coniughi opportunamente rigore e sviluppo e  che tenga conto del forte disagio di gran parte degli elettori europei, testimoniata dalla vittoria degli euroscettici in Francia e Inghilterra.

5 – I sondaggi non sono credibili e sono, forse involontariamente, manipolati
Tutti gli osservatori e commentatori della politica sono stati fuorviati dai dati provenienti dai sondaggi che parlavano di una forte ascesa del Movimento 5 Stelle che avrebbe, in alcune rilevazioni, avvicinato fortemente il PD.
E’ vero che gli italiani sono tradizionalmente contrari a rivelare le loro preferenze politiche, ma una distanza così siderale fra sondaggi e realtà non può essere attribuita solo a tale riluttanza.
Nel timore di sbagliare probabilmente i sondaggisti hanno, più o meno consapevolmente, “corretto” quanto gli intervistati dicevano, sopravvalutando la pretesa di Grillo di essere certo vincitore.  Ci dovrà essere una profonda revisione critica sulle metodologie usate se si vorra continuare a servirsi di questi strumenti.

lunedì 12 maggio 2014

Lettera al Premier sullo scandalo Expo



Faccio una breve premessa alla lettera inviata al Presidente del Consiglio nei giorni scorsi, che pubblico di seguito.
E’ in atto, da più parti,  un evidente tentativo di minimizzare la portata dello scandalo dicendo che, a differenza di Tangentopoli, in questa vicenda le tangenti andavano agli affaristi della “cupola”  e non ai partiti. Si tratterebbe, quindi, solo di “togliere le mele marce” e ripartire.
Prescindendo dalle eventuali  responsabilità penali in capo a esponenti politici, che per ora non sono emerse e che spetta alla magistratura accertare,  vi è  comunque una oggettiva responsabilità politica di quanto è accaduto perché è compito delle autorità indirizzare e controllare l’attività delle strutture tecniche sottostanti. Una rete di corruzione come quella emersa dalle indagini sarebbe impossibile senza il “placet” o quantomeno la “distrazione” delle autorità competenti.  E’ su questo aspetto che il Governo deve lavorare, Non basta istituire una task force.
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                Blog “ La politica dei cittadini “
Milano 10 maggio 2014
Lettera aperta al Presidente del Consiglio
Gentile Presidente Renzi,
ho  molto apprezzato quanto da Lei dichiarato a proposito dell’inchiesta che ha portato a diversi arresti in merito agli appalti per Expo 2015,  e cioè che la politica non deve interferire con il lavoro della magistratura e che Lei “non starà a guardare” quando prossimamente verrà a Milano per valutare la situazione.
Per chi, come me, condivide la Sua intenzione di “cambiare verso al Paese” è evidente che quanto emerso dall’indagine pone il tema della lotta alla corruzione al primo posto dell’agenda politica. Se il Governo non riuscisse a recidere con la necessaria  rapidità  e determinazione il bubbone che infesta gli appalti pubblici e che non riguarda solo l’Expo, sarebbe facile prevedere un clamoroso successo elettorale delle liste che denunciano le larghe intese come causa e sede del diffuso malaffare.
In base a quanto riporta la stampa è altrettanto evidente che i sensali del malaffare godono di ascolto e probabilmente di copertura politica in diverse sedi istituzionali.
Non attenda Presidente, che sia ancora la magistratura a scoperchiare la collusione e gli intrallazzi dei politici che tradiscono il mandato popolare e verifichi perché sia stato  consentito a personaggi come Primo Greganti e Gianstefano Frigerio, già attori di Tangentopoli, di interloquire con i rappresentanti delle istituzioni e i responsabili del Progetto Expo.
Chieda conto alle Istituzioni che hanno compiti di controllo dell’operato del settore pubblico della carenza di segnali di allarme in merito a quanto stava accadendo e di come abbiano, o non abbiano, verificato i requisiti di correttezza e onorabilità di coloro che hanno ricoperto ruoli apicali nel Progetto ed ora sono agli arresti.
Lei ha spesso dichiarato , in merito al processo di cambiamento, di volerci “mettere la faccia”  e di essere disposto a rinunciare alla politica se la “palude” dovesse fermarla. Ora Lei si trova di fronte alla prova più grande: segnare, in tempi brevissimi, una reale discontinuità rispetto alla pratica corruttiva che coinvolge buona parte delle forze politiche. Se dovesse fallire,  i cittadini perderebbero definitivamente la fiducia in un ragionevole cambiamento  e le forze dell’antipolitica avrebbero necessariamente  la prevalenza.
Cordiali saluti.
Roberto Barabino

venerdì 9 maggio 2014

Dove va la sinistra



Pubblico un articolo di Lorenzo Borla, autore della Newsletter di politica ed economia “Zibaldone”, che mette a fuoco il cambiamento in atto nell’atteggiamento del  mondo progressista circa il ruolo dell’imprenditore e dell’impresa nella società. Tale revisione comporta il venir meno di uno dei tabù che hanno da sempre caratterizzato il rapporto fra datori di lavoro e prestatori d’opera ed apre la strada  ad una dialettica costruttiva, capace di vedere tutte le forze produttive impegnate, nel  rispetto dei rispettivi ruoli ed interessi, per  favorire un’appropriata crescita economica, che è la premessa inderogabile per l’attuazione delle politiche redistributive che i progressisti perseguono.

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Da sempre, nella storia della sinistra, c’è stata la contrapposizione frontale fra padroni e lavoratori: in linguaggio marxista, “la lotta di classe”. Sebbene lo stesso Marx abbia celebrato alcuni aspetti del capitalismo per la sua carica innovativa, ne ha condannato la condizione esistenziale, ovvero lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei padroni. 
Nella visione della sinistra (non necessariamente quella ottocentesca, perché è sopravvissuta almeno fino a Fausto Bertinotti) il padrone non è un dato variabile; è collocato lì, nel suo ruolo, come una figura emblematica, fissa e immutabile: appunto “il padrone”. Della sua condizione di padrone non gli vengono riconosciuti meriti. La storia personale che lo ha portato a quella condizione, non interessa, salvo dare per scontato che il suo è stato un cammino segnato dalle lacrime e dal sangue dei lavoratori. Ora, secondo questa logica, siccome è uno sfruttatore, dal padrone bisogna estrarre il maggior valore possibile da ridistribuire ai lavoratori. E ciò perché per definizione il padrone è “ricco” e tiene i cordoni della borsa. Il che generalmente è vero. Che poi ci siano imprenditori che falliscono e finiscono in povertà peggio che i loro operai; che ci siano padroni che commettono suicidio perché non hanno più soldi per pagare i dipendenti, per i Fausto Bertinotti non è significativo, né rilevante.

Veniamo all’oggi, hic et nunc. Dal 2007 al 2013 sono stati persi in Italia, circa un milione di posti di lavoro, quando il tasso di occupazione (gli occupati rispetto alla popolazione in età di lavoro), soprattutto femminile, era già, in Italia, il più basso d’Europa. Non parliamo poi della disoccupazione giovanile che, secondo i dati ufficiali, comprende una larga fetta dei giovani (almeno il 40%) sotto i 25 anni che vorrebbero lavorare. Questa situazione ha fatto diventare il problema dei posti di lavoro assolutamente prioritario per qualsiasi governo. Ma come si creano posti di lavoro? Cominciamo col dire che il settore pubblico ha fatto la propria parte. Stato, Regioni, Province, Comuni e altri enti pubblici hanno dato: sono di regola saturi di personale, utile e inutile, dal momento che il principio non era assumere chi serviva, ma assorbire disoccupazione. La differenza rispetto al passato è che gli enti citati non hanno più soldi, e quindi capacità di assumere. La stessa cosa vale per le migliaia di società controllate dal settore pubblico che hanno fatto la loro parte, per quanto riguarda le assunzioni, ma di soldi ne perdono invece di guadagnarne (pare 22 miliardi l’anno in totale).  E queste perdite devono essere periodicamente ripianate dagli enti che le controllano coi soldi dei cittadini. Insomma, anche qui non c’è più trippa per i gatti.

A questo punto, va notato che una flebile presa di coscienza sembra essersi fatta strada negli ultimi anni, anche da parte della sinistra. I posti di lavoro, esaurita la finanza pubblica, li può creare soltanto l’impresa privata (tertium non datur). Se non c’è l’iniziativa; se non c’è una ispirazione, una vocazione, una passione, un progetto, se non c’è l’assunzione di un rischio economico; non si creano imprese private e quindi non si creano posti di lavoro. Allora, forse, l’imprenditore non è più quella maschera trucida che si vede disegnata nei giornalini socialisti di fine ‘800; il padrone non è più un nemico da spremere; bensì diventa un interlocutore, una figura con cui bisogna fare i conti e di cui bisogna anche comprendere i meriti e le ragioni. La prima delle quali è semplice: se non c’è la cosiddetta iniziativa privata, non c’è l’impresa e quindi non c’è il lavoro. La seconda è che, se l’azienda non fa profitto, se fatica a stare sul mercato, prima o poi esce dal mercato; e che l’imprenditore, così come il meno pagato dei suoi operai, lavora in definitiva anche per guadagnare denaro. A maggior ragione vuole guadagnare denaro l’azionista che investe nella azienda senza lavorarci dentro. Questa è la realtà di cui prendere atto. Se non c’è la remunerazione, se non c’è il plusvalore di cui “il capitalista si appropria”, non c’è l’impresa.

Allora, una sinistra consapevole di questo quadro non invoca più l’intervento dello Stato sempre e comunque, come faceva “Fausto Bertinotti”. Se lo Stato intervenisse sempre e comunque si avrebbe una società comunista, che purtroppo, come la storia insegna, produce povertà e non ricchezza. Il compito della sinistra in Italia è anzitutto quello di avere uno Stato che funziona in modo efficiente; uno Stato che fornisce buoni servizi; uno Stato che favorisce le imprese, specie quelle estere che si vogliono installare in Italia, e non le ostacola con una assurda e inerte burocrazia, con tasse sul lavoro che sono le più alte al mondo. Lo Stato non produce ricchezza: la consuma. Senza impresa (privata) non c’è ricchezza; e quasi nessuno purtroppo è in grado di vivere una povertà felice.

Lorenzo Borla