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giovedì 26 giugno 2014
Grillo e Casaleggio alla prova del nove
Il confronto in diretta streaming fra la delegazione del PD, guidata da Renzi e quella del M5S, guidata da Di Maio, è stata, per i suoi toni e i suoi contenuti una piacevole e, per certi versi, inattesa novità nel quadro politico italiano in cui, da vari anni, lo scontro fra i diversi attori è stato interpretato in modo molto “muscolare”, prima per la scarsa abitudine ad uno schema bipolare e poi per il presentarsi sulla scena di un terzo soggetto politico, l’M5S, dichiaratamente antisistema, che ha alzato molto il tono dello scontro, arrivando a fare dell’ingiuria nei confronti delle Istituzioni e degli avversari la cifra prevalente del suo modello comunicativo, e del rifiuto del dialogo il tratto caratterizzante della sua propaganda.
Questo approccio ha pagato molto bene in occasione delle ultime elezioni politiche in cui l’M5S ha ottenuto un clamoroso successo, avendo capitalizzato la rabbia fortemente diffusa nel Paese contro una classe politica tradizionale corrotta e incapace di dare risposte ai gravi problemi derivanti dalla crisi economica. Nel momento in cui ha avuto dai cittadini l’implicito mandato di contribuire al cambiamento attraverso una dura dialettica con le altre forze ,l’M5S ha però insistito nel rifiutare qualunque forma di confronto, rinchiudendosi in un sostanziale “autismo”, senza alcuna concreta prospettiva di incidere sulla realtà nazionale (basta pensare agli improduttivi confronti in diretta streaming con Bersani prima e con Renzi poi).
Gli elettori hanno valutato molto negativamente questo inconcludente approccio ed hanno punito il M5S in occasione delle recenti elezioni europee, in cui il movimento ha perso oltre tre milioni di voti. A giudicare dal mutato atteggiamento di questa forza , emerso dal recente incontro con la delegazione del PD, sembra che M5S abbia imparato la lezione e voglia porsi non più come elemento antisistema ma come agente di cambiamento del sistema . E’ presto però per dire se questo atteggiamento verrà effettivamente mantenuto quando dalle considerazioni di principio si passerà alle concrete scelte da fare sulla legge elettorale e magari sulla altre riforme istituzionali, a partire da quella del Senato: diversi commentatori hanno espresso forti dubbi al proposito, pensando che la mossa possa avere un valore solo tattico finalizzato a “stanare “ gli avversari e poi incolparli successivamente dell’eventuale insuccesso delle trattative.
Io credo che, pur mantenendo una sana prudenza visti i precedenti poco incoraggianti, sia il caso di dare fiducia al movimento, che dovrà indubbiamente affrontare una fronda interna non indifferente se vorrà davvero utilizzare la propria notevole forza elettorale per cambiare il sistema dall’interno, senza cercare più di abbatterlo: esiste infatti una forte componente, soprattutto nella base, che si è nutrita di un’ostilità estrema verso gli avversari, sollecitata dalle “filippiche” di Grillo contro la casta ed espressa anche recentemente con gli insulti sessisti alla Ministra Boschi, che non accetterà facilmente una svolta strategica verso l’istituzionalizzazione del movimento e che cercherà di impedire questa possibile evoluzione. E’ qui che si vedranno le doti di leadership di Grillo e Casaleggio che , se vorranno guidare il cambiamento, dovranno salvaguardare in pieno i valori di onestà e di incorruttibilità che distinguono il movimento dalle altre forze politiche agli occhi degli elettori attuali e di quelli potenziali, ma dovranno agire per produrre concreti risultati nell’interesse del Paese.
Per fare ciò dovranno cercare le opportune mediazioni , evitando però gli “inciuci” che sono la piaga più tremenda del nostro sistema politico. Credo che il primo banco di prova sarà la questione dell’immunità dei senatori su cui, stando a quanto dichiarato dai relatori della legge all’esame del Parlamento, vi sarebbe stato un consenso di massima di tutte le forze politiche. E’ questo un argomento assai scivoloso e assai inviso agli elettori ,che vedono con giustificato sospetto una misura di protezione dei politici proprio in un momento in cui sta emergendo , con le vicende Expo e Mose, una diffusione sempre più ampia della corruzione, che tocca anche esponenti politici di rilievo.
domenica 8 giugno 2014
Il problema sono le guardie, non i ladri
Il premier
Renzi ha affermato, a proposito dello scandalo veneziano che “ le regole ci sono, il problema sono i
ladri”. Sono d’accordo solo sulla prima parte della frase: non c’è bisogno
di inventare nuove norme anticorruzione da applicare a chi delinque; di norme
ce ne sono fin troppe.
Il vero
problema non sono però i ladri, contro i quali sta efficacemente agendo la
magistratura in base alle norme vigenti, che hanno consentito di scoprire il
malaffare e permetteranno di sanzionare i colpevoli immediati, ma coloro che
dovevano controllare e non l’hanno fatto, cioè il sistema politico e istituzionale che ha
dato ai ladri l’impunità e che li ha dotati di risorse pubbliche pressocchè
infinite, presumibilmente avendone un
diretto e cospicuo vantaggio. Il Mose, il cui costo preventivato era di
1,7 miliardi, ne è già costato 5 e si
prevede che, al termine, comporterà un onere di oltre 7 miliardi. La durata si
è allungata di molti anni per dare modo a tutti quelli che ci lucravano di far aumentare i costi e quindi di fare immensi guadagni. Il ritardo, anziché un incidente di
percorso, è stato lo strumento
scientemente usato per perpetuare la fonte di guadagni illeciti, alla faccia di
chi doveva controllare ed ha fatto finta di non vedere.
Se si vuole realmente cambiare
bisogna individuare chi, anzitutto nel
Ministero delle Infrastrutture e poi a
livello parlamentare e regionale, ha autorizzato formalmente che i costi e i
tempi del progetto Mose lievitassero a dismisura: devono esservi al riguardo, e
sarebbe opportuno che gli organi d’informazione contribuissero a individuarli, numerosi atti dispositivi, di
natura normativa o d’indirizzo, che hanno consentito lo sperpero del pubblico
denaro e il protrarsi del malaffare. Bisogna verificarne gli autori e renderli
di pubblico dominio. Si tratta dei
Dirigenti pubblici, nazionali e regionali, che hanno affidato lavori senza
idonei bandi di gara e approvato le deroghe a quanto preventivato nei capitolati d’appalto ed i politici che, a
livello nazionale e regionale, hanno votato norme favorevoli agli affari della
“cricca”. Bisogna fare nomi e cognomi. Il
Governo deve destituire i funzionari che non hanno svolto adeguatamente il loro
ruolo di controllo e i Partiti devono esautorare i loro membri coinvolti,
ancor prima che la magistratura rilevi eventuali collusioni o corruzioni.
L’opera di pulizia deve partire dalle Istituzioni: se si continua a delegare
totalmente la Giustizia, magari creando nuove norme, significa che, al di là delle parole di
circostanza, non c’è reale volontà di cambiamento. La politica non deve
aspettare tre gradi di giudizio per sanzionare chi non fa il suo dovere: si può
esser innocenti penalmente, a termini di legge, ma colpevoli senza ombra di
dubbio sul piano disciplinare e politico.
Come ho
segnalato nelle lettera inviata qualche tempo fa al Premier Renzi in merito
alla vicenda EXPO, il tema della lotta alla corruzione deve diventato il numero
uno dell’agenda politica. Lo sforzo per le riforme sarebbe del tutto vano se
non si aggredisse seriamente questo
cancro che sta consumando le risorse e la credibilità del nostro Paese. A
questo proposito devo dire che non è
serio, ed anzi è assai preoccupante, il ritornello “ i ladri vadano in galera
ma i progetti non si devono fermare” udito da molti fra cui i Ministro
delle Infrastrutture Lupi. Dato che il Mose è già in ritardo di un decennio
rispetto ai tempi previsti e c’è il forte sospetto che, avendo “taroccato” i
controlli persino alla Corte dei Conti, il progetto possa essere inefficace o
dannoso, il Mose andrebbe fermato subito sia per fare gli opportuni controlli,
sia per non permettere agli autori del grande furto, di continuare a
intascare fraudolentemente fiumi di
denaro pubblico. Altrettanto non si può
fare purtroppo per l’EXPO dati gli
inderogabili vincoli temporali e le
negative ricadute che il mancato
rispetto degli stessi avrebbe a livello internazionale, ma devono essere individuate opportune sanzioni, come
l’esclusione da future gare pubbliche, per coloro che sono coinvolti nello
scandalo. Per il futuro dovrebbe essere sancito e chiarito a tutti che i lavori avviati , gestiti e finanziati tramite la corruzione si devono bloccare. E’ chiaro che ciò
metterebbe a repentaglio posti di lavoro in una situazione già assai critica,
ma non si può usare il ricatto dell’occupazione per favorire i malviventi.
E’
necessario che il Premier e l’opposizione, soprattutto il M5S, prendano assai
sul serio la questione: il primo perché, solo se dimostra di saper fare pulizia
senza guardare in faccia nessuno, anche i suoi stretti collaboratori, può
legittimare e conservare il vasto consenso acquisito, la seconda perché deve
dimostrare di saper finalmente andare al di la della denuncia di quello che non
va e dare un contributo per trovare la soluzione, se vuole uscire dal ghetto in
cui si è cacciata e aspirare un giorno ad ottenere la vittoria elettorale e non
solo a sognarla.
Dato che il
M5S è in Parlamento ed è presente anche ad altri livelli istituzionali e
certamente non ha “scheletri negli armadi”, potrebbe e dovrebbe incalzare il governo non rovesciando
sullo stesso la solita, inutile e controproducente, valanga di insulti, ma
esercitando una “feroce” opera di
ricerca dei “controlli mancati” e dei loro autori, dandone quindi una
ferma ma pacata informazione alla pubblica opinione e chiedendo al Governo gli
opportuni interventi. L’opposizione deve vigilare sulle guardie, perché ai
ladri ci pensano già i magistrati.
lunedì 2 giugno 2014
Quale futuro per il centrodestra ?
Nel mio
ultimo post ho accennato al fatto che Forza Italia deve essere rifondata se
vuole tornare ad essere un polo di attrazione per i moderati, in larga misura
costretti ad emigrare temporaneamente
prima verso il centro, con Scelta Civica, ed ora trasmigrati da Scelta
Civica al PD, non per adesione
ideologica ma per mancanza di alternative e per il forte “appeal” di Renzi.
E’ interesse
del Paese che si costituisca una coalizione di centrodestra capace di portare avanti
una politica genuinamente liberale che Forza Italia e il PDL non sono stati
capaci di produrre e che non può essere appaltata stabilmente a forze di
sinistra, che pure devono accogliere in parte queste istanze se vogliono
rispondere alle esigenze di una moderna società industriale. Ma perché ciò
avvenga è necessario che le forze di centrodestra superino la concezione del
“partito padronale” che ha condizionato la scena politica degli ultimi venti
anni. L’uscita del Nuovo Centro Destra dal PDL è un’espressione di questa
esigenza e va dato atto ad Alfano e al gruppo dirigente di questo partito di
aver avuto coraggio: anche se i risultati delle elezioni europee non sono stati
brillanti, il superamento della quota di sbarramento è una condizioni essenziale
per la sua sopravvivenza e crescita. Ma è ovvio che la partita dovrà giocarsi
anzitutto in Forza Italia, in cui si manifestano forti tensioni nei confronti
del leader che continua a pretendere di essere il “dominus” assoluto di questa
realtà e che, così facendo, la condanna all’irrilevanza perché la società
italiana ormai rifiuta la concezione proprietaria dei partiti ( e questa è
anche una delle ragioni del flop del Movimento
5 Stelle, il cui leader espelle i dissidenti vietando loro l’uso del
“marchio registrato”, di sua proprietà, del Movimento).
Il problema di Forza Italia è che, con l’unica
eccezione di Fitto che, forte delle sue quasi trecentomila preferenze, richiede
la realizzazione delle primarie a tutti i livelli, nel partito e nella
coalizione, i suoi dirigenti non hanno il coraggio di sfidare apertamente il
leader e danno l’immagine di una compagine appiattita nel rito dell’obbedienza
al capo anche quando il capo sbaglia. Questa immagine è necessariamente
perdente se confrontata con quella dell’attuale PD in cui il ridursi del
dissenso interno, a causa della schiacciante vittoria elettorale, non fa venir
meno una capacità dialettica che ha sempre caratterizzato ( fin troppo, in
varie circostanze) le forze di sinistra.
Un primo
positivo segnale viene da Marina Berlusconi che, nel negare al momento di
volersi candidare, ma non escludendolo
per il futuro (“ La mia discesa in campo
non è un’ipotesi attuale” ha recentemente dichiarato) ha aggiunto: “continuare
a discutere di una candidatura che non c’è non contribuisce al positivo
sviluppo di quel dibattito interno al partito che il risultato elettorale ha
avviato”. Qualora tale ipotesi dovesse
concretizzarsi, essa non assumerebbe, nelle sue intenzioni, il carattere di una “successione dinastica” ma
avverrebbe “nel rispetto delle regole della democrazia interna”. Questo è un
seme che, se coltivato, potrebbe fruttificare e trasformare gradualmente Forza
Italia da partito padronale a normale forza politica, le cui decisioni sono il
frutto di un reale ed esplicito
confronto fra posizioni diverse e delle scelte di una maggioranza. La legittimazione della leadership ne
guadagnerebbe sensibilmente.
C’è poi il
capitolo Lega: Salvini è stato molto abile nel dare una precisa fisionomia al
partito, fortemente indebolito dagli scandali che l’avevano investito, e gli
elettori l’hanno premiato. Ciò gli ha consentito di “imporre” a Forza Italia
un’alleanza per il rilancio del centrodestra, a partire dalla condivisione di
alcuni referendum della Lega. Questa evoluzione ha indotto l’NCD a rilanciare
l’alleanza dei moderati, mantenendo però le distanze dalla svolta “lepenista”
data da Salvini alla sua forza politica. Queste schermaglie indicano che il
tempo per un “rassemblement” fra le principali forze del centrodestra non è
ancora maturo, ma segnalano che c’è consapevolezza della sua necessità, per non
perdere con certezza le future elezioni politiche.
Resta il
fatto che, data la centralità di Forza Italia in questo schieramento, è in tale ambito che si giocherà la credibilità della coalizione. A mio avviso sarebbe assai
opportuno che altri dirigenti del partito assumessero, esplicitamente e non in
modo assai defilato, una posizione favorevole alle scelte dal basso auspicate
da Fitto, anziché avallare acriticamente
la selezione dall’alto che Berlusconi predilige ma che non corrisponde
alle attuali esigenze di reale rinnovamento e neppure a quanto ha affermato la figlia Marina esprimendo la
necessità di rispettare il metodo
democratico, che non può oggi essere rappresentato dallo strumento dei
Congressi, manovrati dai signori delle tessere e lontani anni luce dalla
volontà degli elettori.
La risposta
a muso duro di Fitto alla pretesa dell’ex Cavaliere di ribadire il suo comando
assoluto, con la richiesta della “diretta streaming” del dibattito in Direzione
,indica che siamo probabilmente ad un punto di non ritorno: il dissenso non
potrà più essere zittito dalla voce perentoria del capo.
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