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lunedì 11 aprile 2016

La sfida



  di Sumaya Abdel Qader

La crescente complessità della nostra società ci mette di fronte a sfide sempre più grandi.
Certamente ci sono delle priorità a cui far fronte come il sostegno alle persone in difficoltà economica che sempre più cadono nella fascia della povertà, rispondere alle esigenze delle persone con disabilità e alle loro famiglie, affrontare la crisi umanitaria che da diversi anni è “ospite” in casa nostra, rispondere ai disagi e difficoltà dei giovani e così via in una lunga lista.
Nel mezzo di queste montagne di cose serie e importanti si nascondono piccole lotte quotidiane, storie anonime di chi ogni giorno cerca di vivere con dignità.
E se, come mi è stato richiesto, devo proprio scegliere una specifica sfida che ritengo prioritaria, che sia un tema, un ambito o un’idea precisa che non può essere lasciato indietro, allora scelgo l’interculturalità e la transculturalità e i giovani. Non dico multiculturalità perché è un dato di fatto, siamo una società plurale dalle mille sfumature. In questi anni si è fatto qualcosa ma non basta. Non bastano le rappresentanze istituzionalizzate. Non è sufficiente esprimere i buoni intenti e parlare di buone pratiche, è necessario applicare nella pratica quotidiana una più dinamica operazione di interazione tra parti sociali, cittadini, istituzioni ecc. e creare benessere inteso come essere un bene gli uni per gli altri.
Tra gli obiettivi principali a cui deve continuare aspirare questo nostro Forum del Welfare non può non esserci la tutela della dignità di ogni persona che vive nella nostra città.
Questo non può realizzarsi se non riconoscendo la pluralità insita ormai nel tessuto sociale, che richiede risposte specifiche, diverse.
Non ci conosciamo ancora abbastanza. Anzi, Affatto. E lo dimostra ogni avvenimento di cronaca che rimette in discussione ogni volta la compatibilità tra culture e la possibilità di convivenza.
Come facciamo a convivere se non ci si conosce e riconosce? O se si pensa di conoscersi tramite le dicerie che si diffondono in paese da qualche comare o “comaro”.
È necessario costruire ponti, che pensiamo di aver fatto a sufficienza, e invece no.
Molto interessanti sono le esperienze di social street e social district che si stanno sviluppando in varie zone della nostra città, vanno sostenute e valorizzate sicuramente. Io vengo da NoLo che sta crescendo frizzante e piena di idee potenzialmente un buono strumento di inclusione sociale e valorizzazione del territorio.
Detto ciò se vogliamo guardare al futuro non possiamo guardare solo lontano, ma dobbiamo avere anche uno sguardo più corto sul presente. Partendo dai giovani, i giovani sono la nostra scommessa più alta su cui puntare, proprio per andare anche in quella prospettiva interculturale e transculturale, che attenzione non vuol dire sincretismo senza capo ne coda ma coscienza di sé, rispetto e interazione con il prossimo, consapevolezza di una certa interdipendenza e necessità di un continuo flusso di scambio conoscitivo.
I GIOVANI, energia pulita su cui scommettere.
Non sono il futuro, come spesso si dice, ma sono il presente che costruirà il futuro. Sono l’investimento più importante o la mina più pericolosa.
Ai giovani bisogna, perciò, bisogna continuare a dare più spazi dove incontrarsi e conoscersi, giocare e crescere insieme; promuovere l’incontro nella diversità. Sogno una Milano che continui ad essere laboratorio di nuovi cittadini dove ci sia un continuo scambio di esperienze, incontro e valorizzazione delle diversità, dove si producano idee per la città.
E’ necessario riconoscere cittadini con pari dignità, non di serie A o Z.
E’ necessario coltivare menti libere da pregiudizi e stereotipi, per superare visioni “etnocentriche” e superare lo schema mentale dei “noi” e “l’altro” tipico dell’adultità;
è necessario valorizzare i talenti, spesso soffocati dal frenetico mondo dei “grandi” che spesso non si ferma, non guarda non ascolta;
è necessario trasformare ogni periferia in un centro, dove i giovani possano essere protagonisti e promotori di freschezza e rigenerazione vitale;
è necessario coltivare la cultura della legalità, dell’ottimismo e della responsabilità, applicare diritti già garantiti dalla nostra Costituzione, che come ricorda Gherardo Colombo, non è un suggerimento ma Legge.
Bisogna fare, non solo per rendicontare numeri e sfoggiare dati. Bisogna fare per garantire la nostra serena esistenza e coesistenza.
Milano in questi ultimi anni ha saputo immaginare e osare, ma non basta. La sfida continua.
La nostra deve essere e può essere una città aperta con una visione internazionale, dove restare, scommettere, investire e crescere.


18 commenti:

roberto ha detto...

Lo stimolante intervento di Sumaya Abdel Qader di cui condivido lo spirito e le indicazioni, segna l'avvio in questo blog di un dialogo con esponenti delle comunità musulmane che ho indicato, al termine del post precedente, come una delle azioni prioritarie per prevenire le conflittualità interetniche presenti in altri Paesi europei, che sono state incubatrici di ancor più gravi problemi.
L'accento posto sul tema dei giovani è particolarmente rilevante perché la loro naturale apertura e flessibilità ne fa dei soggetti determinanti per costruire insieme una società inclusiva, in cui tutti i cittadini di qualunque genere, etnia, religione ed opinione abbiano uguali diritti e doveri.
In un momento storico come l'attuale, dominato dall'incertezza, è indispensabile il contributo di tutti i "cittadini pensanti e attivi" per fare delle diversità non la fonte di paure spesso irrazionali ma la base per aumentare la ricchezza di idee e di opportunità.


Franco Puglia ha detto...

Secondo me è un cumulo di parole senza sostanza. Potrebbe averle scritte chiunque nella galassia cattolica o della sinistra. Parole che non danno indicazioni concrete, non parlando di problemi concreti. Aria fritta come la maggior parte della atmosfera politica che respiriamo.

Franco Puglia ha detto...

Per uscir di chiacchiera si prende un tema specifico, concreto, e si dibatte quello. Allora crolla il castello di carte. Provare per credere. Un tema a caso : libertà sessuale. Avanti musulmani ...

Franco Puglia ha detto...

Per uscir di chiacchiera si prende un tema specifico, concreto, e si dibatte quello. Allora crolla il castello di carte. Provare per credere. Un tema a caso : libertà sessuale. Avanti musulmani ...

Franco Puglia ha detto...

Secondo me è un cumulo di parole senza sostanza. Potrebbe averle scritte chiunque nella galassia cattolica o della sinistra. Parole che non danno indicazioni concrete, non parlando di problemi concreti. Aria fritta come la maggior parte della atmosfera politica che respiriamo.

Augusto Perro ha detto...

Per me invece è' proprio una buona idea aprire un dialogo con il mondo islamico, che noi italiani conosciamo poco, anche se ci sono molte persone di questa religione nel nostro Paese. Se non ci si parla non ci si capisce e poi si giudica a prescindere.
Da questo intervento mi pare che ci sia più vicinanza con il nostro modo di pensare che distanza.
Saluti cordiali
Augusto Perro

roberto ha detto...

Rispondo a Franco:


Mi pare evidente che tu percepisca i musulmani come "altri", nel senso di diversi, distanti, forse incompatibili con il nostro sistema di valori eil nostro stile di vita. Ciò ti induce a considerare "aria fritta" una serie di considerazioni di principio fatte in un contesto specifico (il forum delle politiche sociali) ma senza chiarire il motivo di tale "pre-giudizio" ( nel senso di giudizio che precede un'analisi e prescinde dai contenuti dell'intervento ).

Per procedere ordinatamente è opportuno restare al livello di discorso in cui ci si trova, cioè quello dei principi: hai qualcosa da obiettare a quanto è stato affermato nel post?

Poi verrà il momento di confrontarsi su temi specifici.

roberto ha detto...

Rispondo ad Augusto:

Condivido la tua opinione che ci si debba parlare se si vuole provare a capirsi.Questo post è ovviamente solo l'inizio e ci saranno possibilità di approfondire varie questioni, anche quelle che sembrano più critiche.
Come è nello stile di questo blog, il confronto avverrà sempre su un piano civile, in cui le divergenze d'idee possono essere ampie ma la regola è il rispetto reciproco.

Suyama Abdel Qadar è, fra l'altro, autrice del romanzo : "Porto il velo, adoro i Queens" che già dal titolo indica la coesistenza di valori islamici e di quelli occidentali, come è logico che sia essendo nata in Italia da genitori giordano-palestinesi.

Dario Lodi ha detto...

Sono d’accordo. Ci vuole tempo, impegno, intelligenza, sensibilità, rispetto. Dario



roberto ha detto...


Grazie.
Roberto

Angelo Sanelli ha detto...


Mi ha colpito la seguente frase del post:

- prospettiva interculturale e transculturale, che attenzione non vuol dire sincretismo senza capo ne coda ma coscienza di sé, rispetto e interazione con il prossimo, consapevolezza di una certa interdipendenza e necessità di un continuo flusso di scambio conoscitivo -

A proposito di coscienza di sè, prima di chiedersi cosa pensano gli altri, quelli che vengono da lontano, siamo in grado di dire chi siamo noi e cosa vogliamo ?

Angelo

roberto ha detto...

La mia risposta alla tua domanda è no perché vi sono stati troppi eventi, alcuni dei quali citati nel post precedente, che hanno dimostrato, in vari Paese europei, scarsa convinzione nei propri valori, a differenza di ciò che avviene negli Stati Uniti. Mentre negli USA l’immigrazione è stata gestita con la logica del “mellting pot”cioè nella contaminazione interculturale all’interno di un quadro di riferimento preciso ( se sono italo-americano sono anzitutto americano), in Europa si è gestito con la logica del “benevolent neglect” ( fai come vuoi purché non mi secchi), il che ha consentito a comunità straniere di violare impunemente le leggi. Quando poi una frazione di queste comunità è diventata aggressiva, la reazione è stata il sistematico arretramento, di cui ho citato vari esempi nel post precedente e riprendo, per farmi capire, l’esempio eclatante e gravissimo della sindaca di Colonia, che alle donne molestate la notte di Capodanno ha consigliato di non uscire sole alla sera.
Così non ci siamo ed è da qui che dobbiamo partire: come tu dici ,dalla coscienza di sé.
Roberto

Edvige Cambiaghi ha detto...


ho letto Roberto, è tutto molto chiaro e condivisibile. Fra l'altro tutte le barriere che ora vari stati europei erigono contro i rifugiati, non facilitano certo un processo di accoglienza nella nostra cultura. La strada è ancora molto lunga per una presa di coscienza.
Ciao


eddi

roberto ha detto...

I muri certamente non aiutano, ma neppure le sconsiderate aperture senza limiti, di cui è stata inaspettatamente campione Angela Merkel, che poi ha dovuto fare frettolosamente marcia indietro, avendo però avviato un processo ormai quasi ingestibile.
Una politica di apertura e di inclusione è necessaria, ma deve fare i conti con la realtà.
Ciao.
Roberto

Francesco Ciccarelli ha detto...

Bisogna distinguere fra soccorso in mare e accoglienza; fra l’obbligo di salvare i naufraghi per rispondere a una consuetudine antica come l’umanità e la solidarietà senza vincoli. Quest’ultimo concetto va ripensato perché sia rapportato alle effettive opportunità di ospitalità e inserimento nel mondo del lavoro. Meglio ancora sarebbe avviare politiche a lungo termine per aiutare i profughi nei Paesi di origine. La situazione à già difficile per molti Italiani. Non è un’affermazione egoista, ma solo una valutazione della realtà: lasciare entrare tutti senza regole e senza limitazioni significa avere – nell’immediato – più emarginazione e delinquenza nelle nostre città. Non vale il paragone fra l’immigrazione europea verso gli Stati Uniti e quanto accade oggi: l’America era in grado di ricevere milioni di persone e vigevano leggi precise! Le foto qui allegate parlano chiaro: stazioni, parchi, sale d’attesa ecc. sono diventati dormitori abusivi; le strade sono invase da mendicanti (veri o falsi) che le rendono simili a luoghi da Terzo Mondo e fanno pensare a bande organizzate e allo sfruttamento minorile, visto che. di frequente, vi sono bambini con la mano tesa. È anche evidente che opera una nuova rete di schiavismo, che ha le basi di partenza in Libia e Siria e quelle di arrivo nel Belpaese e in Grecia.

Le conseguenze future dell’esodo in corso riguarderanno le Nazioni europee: l’assistenza sociale sarà gravata dalle spese per il sostentamento di disoccupati ed extracomunitari, in contrasto con le misure drastiche sul bilanci, imposte agli Stati. Gli equilibri etnici saranno modificati con effetti imprevedibili!

Distinti saluti,

Francesco Ciccarelli

roberto ha detto...

Le cose che dici sono giuste. La politica dell'accoglienza senza vincoli ha già prodotto una tremenda azione di rigetto e la chiusura di frontiere ovunque, ma non in Italia e Grecia, dove il confine è il mare e non si può chiudere, che corrono i maggiori rischi.
Se non si tiene conto della realtà, i problemi che hai descritto si ingigantiranno e potrebbero avere effetti devastanti sia per i nativi che per gli immigrati.

Umberto ha detto...

La giovane sociologa (suppongo sia giovane e animata da ottime intenzioni) parla di integrazione ma evidentemente le sue esperienze pratiche sono abbastanza limitate. Trent’anni di vita in Belgio mi permettono di suggerirle di andare a verificare l’esperienza di un Paese tollerante come nessun altro, aperto agli stranieri di qualunque fede e colore, con un trattamento assistenziale per gli immigrati talmente liberale da sfiorare il ridicolo. Quando vi arrivai nel 1984 la pace sociale era la norma di vita, nella Capitale e nel Paese: la comunità mussulmana, e magrebina in particolare, era formata da gente laboriosa, sorridente, aperta al dialogo. La parola “integrazione” era sconosciuta perché era un obbiettivo già acquisito.

Dagli anni ’90 in poi cominciarono ad arrivare, numerosi ed agguerriti, gli Imam predicanti nelle moschee: predicavano ad un pubblico soprattutto di giovani, ai quali insegnavano l’odio per gli infedeli e per le loro pratiche, ricordando la storia dei mussulmani massacrati dai Crociati e la necessità di una rivincita. Gli anziati erano tiepidi ma intimiditi sia dagli Imam stessi sia dai giovani rapidamente trasformati in attivisti: le ragazze furono obbligate a mettere il velo e le turbe di giovani di ambo i sessi che animavano i quartieri sparirono del tutto per far posto a turbe di giovani maschi vocianti che occupavano le piazze e giardini trasformate in campi da gioco.

Oggi la situazione è quella descritta dai giornali a seguito degli attentati; ma se non andate a viverci non potete capire fino a che punto la politica dell’integrazione ha fallito. Il fallimento è dovuto alla volontà degli ospiti, non degli ospitanti; e con conoscenza di causa posso dire che se ha fallito in Belgio, ove esisteva un substrato sociale aperto e favorevole, fallirà dappertutto. La nostra sociologa rivolga quindi la sua attenzione e i suoi insegnamenti in primo luogo ai suoi correligionari (suppongo sia mussulmana, ma se non lo fosse nulla cambierebbe).

Se poi l’integrazione dovesse portarici ad evolvere come è avvenuto nei paesi a fede islamica, si vedano qui sotto foto che parlano da sole:

(impossibile allegare foto nella sezione commenti del blog )


roberto ha detto...

Le foto allegate da Umberto testimoniano il fatto che in vari Paesi a religione musulmana (Iran, Afganista, Egitto) negli anni 50, 60 70 del secolo scorso l'abbigliamento della popolazione locale era simile a quello occidentale mentre nel nuovo secolo quello femminile prevede forme più o meno restrittive di copertura della testa e del corpo. Tale variazione anche in Paesi europei con immigrazione musulmana (Olanda e Belgio)
Umberto mi ha anche inviato i testi in francese di alcune canzoni composte in Francia da cantanti di origine araba che esprimono odio verso il Paese in cui vivono
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Rispondo a Umberto

La tua testimonianza è importante per la profonda conoscenza che hai del Belgio.
Sulle cause dell'emergere dell'integralismo in questo Paese richiamo quanto affermato (e riportato nel post precedente) da un Ministro Belga sul Patto del 1974 fra Re Baldovino e Re Feisal, che ha dato mano libera all'Arabia Saudita per la propaganda antioccidentale, in cambio di Petrolio.
Qualche responsabilità ( "Far finta di non vedere") ce l'hanno anche gli ospitanti.