Sia Cameron
nel Regno Unito che Renzi in Italia hanno appreso, a loro spese, quanto sia
rischioso per chi detiene il potere giocarselo
con un referendum mirato ad ottenere un plebiscito: quando la società è
pervasa da un profondo malessere, il risultato può diventare un incubo per chi
avvia questo processo dall’alto. Come detto nel precedente post, il referendum
è lo strumento più tipico della sovranità popolare e il suo avvio deve venire
dal basso, cioè dalla società civile. Ciò non impedisce però ai partiti di tentarne una strumentalizzazione ed una distorsione, come è avvenuto spesso nel nostro Paese.
Ben diversa
è la situazione in Svizzera, che vanta molti secoli di vera democrazia, nella
quale la sovranità popolare è sempre prevalente rispetto alle decisioni degli
organismi rappresentativi e costituisce il principale collante di una realtà
statuale molto diversificata.
La
descrizione, che segue, di queste
esperienze nazionali evidenzia quanto ampio sia il divario democratico fra i due contesti e quanto la Confederazione
elvetica abbia da insegnare agli altri Paesi occidentali che, in misura
maggiore o minore, vedono invece una
netta prevalenza degli organismi rappresentativi , i quali peraltro sono in crisi perché non riescono più a
cogliere e governare le esigenze della società.
Italia
La nostra
Costituzione, approvata nel 1948, prevede all’art. 75 il referendum abrogativo che
richiede, per essere valido, un quorum pari alla maggioranza degli aventi
diritto al voto. Esiste anche il referendum confermativo, per le revisioni costituzionali, che non richiede quorum.
Dopo le
prime esperienze (sul divorzio e sull’aborto) che hanno visto una larga
partecipazione popolare, questo istituto è decaduto per l’abuso che ne è stato
fatto e che ha prodotto una profonda disaffezione. Dal 97 ad oggi ben 23 dei 29
referendum presentati sono decaduti per mancanza di quorum. Inoltre alcuni
referendum, passati con larga maggioranza ( ad es. quello sull’abolizione del
finanziamento ai partiti) sono stati aggirati dal Parlamento e per altri (ad esempio quello sulle centrali
nucleari) l’aggiramento è stato tentato più volte ed è sempre incombente. Le
forze politiche hanno dimostrato, nelle situazioni predette, di avere uno scarsissimo rispetto per la sovranità
popolare.
Soltanto nel
recente referendum costituzionale del 4/12/2016 si è avuta un’autentica
impennata della partecipazione popolare, vicina al 70% , data l’importanza
della posta in gioco e la consapevolezza che l’astensione sarebbe stata, non
essendovi il quorum, controproducente.
La Riforma
Boschi, che tale referendum ha bocciato, conteneva due interessanti ma parziali
innovazioni che andranno riprese, con opportune modifiche, in una futura
revisione costituzionale:
1
-
l’abbassamento del quorum nei referendum abrogativi : con la
richiesta di almeno 800.000 cittadini
(anziché i 500.000 del testo rimasto vigente)
il quorum sarebbe stato pari alla
maggioranza dei votanti alle precedenti elezioni politiche anziché alla
maggioranza degli aventi diritto al voto. Ciò sarebbe stato un passo nella giusta direzione, ma va detto che la vera esigenza è l’eliminazione totale del
quorum che spesso impedisce, complice l’astensionismo spontaneo o manovrato
dai partiti, di sapere qual è la volontà dei cittadini, limitando quindi
l’esercizio della sovranità popolare. L’assenza
di quorum costringerebbe invece tutte le parti politiche a uscire allo scoperto e ad
argomentare pubblicamente le loro ragioni, come è stato fatto in occasione dell’ultima consultazione referendaria che,
essendo confermativa, non aveva quorum. Questa esperienza è la migliore
dimostrazione della tesi qui sostenuta.
2
-
il referendum propositivo e d’indirizzo, nonché altre forme di consultazione,
finalizzati a sviluppare la partecipazione dei
cittadini, che avrebbe dovuto essere
regolato con legge approvata da entrambe le Camere.
Questo è uno strumento essenziale per
migliorare la qualità di una democrazia, come emergerà chiaramente dal luminoso
esempio svizzero, nel quale questo istituto prende il nome di “iniziativa
popolare”.
Svizzera
E’ il Paese
che più di ogni altro vede il popolo direttamente e inconfutabilmente
protagonista assoluto della vita
politica. La distanza dalla situazione italiana è siderale.
Al popolo
spetta sempre l’ultima parola, su
qualunque legge o atto delle istituzioni rappresentative, e ciò ha portato
talvolta ad accantonare iniziative di
grande portata sostenute dal
Governo (il Consiglio federale) o dal
Parlamento (l’Assemblea federale). Ne é
storico esempio il pluridecennale
rifiuto, tramite referendum, di aderire
all’ONU, superato solo nel 2002 e quello di aderire allo Spazio Economico
Europeo ed alla stessa Unione Europea.
Ciò
testimonia la fiera volontà del popolo di mantenere un’autonomia quanto più
possibile ampia, pur senza rifiutare certi meccanismi d’integrazione nel
contesto internazionale
La
peculiarità della Svizzera è di essere una nazione caratterizzata da pluralità
di culture, lingue e religioni, che
convivono pacificamente senza volersi
fondere, a differenza dal modello americano del “melting pot”. L’identità
nazionale è largamente basata sull’indipendenza, di cui Guglielmo Tell è
l’eroe simbolico, che il
Paese ha sempre felicemente difeso e
goduto ( con una breve interruzione nel periodo napoleonico ) e sull’autogoverno
: tutti i cittadini, indipendentemente dalle predette differenze,
contribuiscono direttamente alle decisioni pubbliche.
In oltre 700
anni di autentica democrazia è stato affinato un sistema politico
assolutamente originale, difficilmente imitabile nel suo insieme , ma che può essere preso come pietra di paragone e fonte d’ispirazione per capire davvero cosa
vuol dire “sovranità popolare” e per far crescere la democrazia diretta in
realtà molto arretrate come la nostra, dove il sistema rappresentativo fa il
bello e il cattivo tempo e il popolo, abituato a lunghe dominazioni, abbozza.
Detto che le
istituzioni svizzere si collocano a tre livelli: federale, cantonale e
comunale, tutti i loro atti sono, obbligatoriamente o facoltativamente
sottoponibili allo scrutinio popolare tramite referendum confermativo.
Mentre la
Costituzione italiana fa divieto, ad esempio, di sottoporre a referendum le
leggi fiscali e di bilancio, tale limitazione risulterebbe incomprensibile nel contesto svizzero dove
l’istituzione di nuove tasse richiede sempre l’approvazione popolare e dove
esiste una forte concorrenza
fiscale fra Cantoni ed anche fra i
Comuni per cui l’imposta sul reddito
varia in un rapporto di 1 a 4 fra un Cantone e l’altro e da 1 a 2 fra Comuni dello stesso Cantone. Il
che testimonia fra l’altro l’elevato livello di autonomia di cui godono i livelli locali di governo, in una
logica davvero federale.
Per
rimarcare la differenza con la nostra realtà, va detto che in Svizzera non esiste
la Corte Costituzionale perché è, in tale contesto, inconcepibile e inaccettabile, da un punto di
vista democratico, che un organo tecnico, per di più neppure eletto
direttamente dai cittadini, possa sindacare la volontà del popolo, cui compete
obbligatoriamente approvare con referendum ogni variazione costituzionale
proposta dalle Istituzioni o dai cittadini. Ciò vale sia per la Costituzione
federale che per quelle cantonali. Per quella federale votano, oltre ai
cittadini anhe i Cantoni.
I referendum
facoltativi riguardano le leggi e gli atti amministrativi cantonali.
Esiste in
Svizzera anche l’importante istituto dell’ “iniziativa
popolare” , che consente ai cittadini di fare una proposta di legge, che
non viene sottoposta, come da noi, al
Parlamento ma direttamente al popolo, sempre tramite referendum. Il Parlamento
si limita a certificare l’esistenza di alcuni requisiti di base: su 140
iniziative proposte solo 4 sono state escluse dal voto.
Va segnalato inoltre che, nelle realtà comunali del Paese, è
tuttora vigente, dove le dimensioni lo consentono, l’istituto
del ”Landsgemeinde”, cioè l’assemblea di tutti i cittadini aventi diritto di
voto che decide, in piazza, delle questioni locali per alzata di mano. E’ una
perfetta riproduzione dell’”Ecclesia” ateniese e testimonianza di una qualità
democratica probabilmente unica. Laddove non è possibile usare tale istituto, i
Comuni, salvo i maggiori, hanno comunque solo due livelli di governo: il popolo
e l’esecutivo, eletto dal popolo. Non esiste quindi un organo intermedio
rappresentativo come il nostro Consiglio
comunale.
Un cenno infine ad un’altra peculiarità delle democrazia
svizzera, cioè la stabilità, garantita dal fatto che il governo dura in carica
quattro anni e non può essere sfiduciato e che l’Assemblea federale non può
essere sciolta prima della scadenza.
Il governo è formato da soli sette membri che rappresentano
,con due ministri ciascuno, i tre maggiori partiti e, con un ministro, il
quarto. Le decisioni sono collegiali e il ruolo di Capo del Governo, che dura
un anno, è ricoperto, a rotazione da ciascun ministro.
Il confronto fra Italia e Svizzera indica l’esistenza di un
enorme spazio di miglioramento della nostra democrazia che dovrebbe passare
attraverso l’aumento degli istituti di democrazia diretta per rendere il popolo
sempre più protagonista del proprio destino.
12 commenti:
E sì il modello svizzero è davvero bello. Potrebbe essere d’esempio.
Poi però penso al grado di maturità politica degli italiani e allora....
Buon anno !
nava
Il tuo dubbio è legittimo, visti gli "scippi" che il Parlamento ha potuto fare impunemente, dopo i referendum, andando contro la volontà popolare in essi espressa. Ma un motivo di speranza viene proprio dall'ultimo referenndum, del 4 dicembre 2016, in cui gli italiani hanno dimostrato di sapere reagire alle forzature ( un questo caso del Governo). Forse la maturità sta crescendo e spetta a tutti noi coltivarla.
Buon Anno anche a te.
Roberto
Caro Roberto,
Buon Anno !
Ottino il tuo ultimo articolo, di cui ti segnalo a parte alcuni errori di battitura.
A presto.
Michele
Molte grazie, ho preso nota.
Vivissimi auguri anche a te.
Roberto
Caro Roberto,
Non credo che la maturità' degli italiani sia cresciuta. Le reazioni disdicevoli dei nostri governanti a seguito del risultato del recente referendum favoriranno ancor di più' il distacco dalla politica. Quanto auspicherei ad un sistema quale quello svizzero, ma la incapacita' dei nostri politici, unicamente legati alla poltrona ed agli interessi personali difficilmente scardineranno questo nostro modo di fare politica alquanto deprecabile.
Fausto
Caro Fausto,
io facevo riferimento alla maturità degli elettori non dei governanti. Il messaggio che i primi hanno inviato ai secondi andando in massa a votare e dando una netta prevalenza al No è che non vogliono "il cambiamento per il cambiamento" né vogliono concentrare troppo il potere, come sarebbe avvenuto se il Sì avesse prevalso, in combinazione col premio di maggioranza esagerato previsto dall'Italicum.
Naturalmente il No vuol dire anche scontento per una politica fatta di un ingiustificato ottimismo di facciata e di provvidenze a pioggia ma non di provvedimenti realmente incisivi per il rilancio dell'economia e dell'occupazione.
L'intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera, in cui il Ministro dello Sviluppo Economico riconosce i limiti di quanto finora fatto e propone un approccio più concreto va presa in considerazione e verificata poi con i fatti che verranno.
Ciao.
Roberto
dovremmo tutti emigrare in Svizzera.....! magari a turno per qualche anno, per imparare la democrazia sul posto!
Buon anno!
ciao Roberto
Se la tua simpatica idea fosse possibile, potremmo imparare davvero molto respirando l'aria di una vera democrazia.
In mancanza di questa opportunità, possiamo accontentarci di sentire, dalla voce di chi la vive, come vanno le cose.
Proporrò la prossima settimana all'associazione "Le Forme della Politica" di invitare a MIlano un esperto elvetico, che ha ricoperto importanti incarichi istituzionali, per portarci la sua testimonianza.
Se l'iniziativa andrà in porto,sarà ovviam,ente gradita la tua partecipazione e quella di tutti coloro che vorrai invitare.
Ti terrò al corrente.
Ciao.
Roberto
Bella sintesi. E bello ciò che si agita dietro, la visione di un mondo migliore, finalmente dignitoso per amore della ragione e del sentimento. Il tempo dell’istinto dovrebbe essere finito. Perché tutto ruota intorno a quest’ultimo, a partire dalle istituzioni. Le cose si modificano in funzione della conoscenza: cioè non dal di fuori, non a parole, ma dal di dentro. Se conosci combatti con logica, se non conosci vai avanti con l’irrazionalità. E’ il cosiddetto mondo civile (media-alta borghesia illuminata e responsabile) a doversi decidere, dare gli strumenti alla base (non imporli). Visione gramsciana, credo, ma senza dogmi. Sviluppare la speculazione personale, non l’imitazione.
Ad maiora, Dario
Le cose stanno proprio come dici: bisogna aumentare la conoscenza per poter decidere con razionalità.
E' questo che mi induce a insistere sul tema del referendum, che è il nocciolo vero della democrazia, al quale dedicherò ulteriori post. In questa linea si colloca anche la testimonianza di un esperto svizzero di cui ho parlato nella risposta ad Edvige, che spero di concretizzare.
C'è poi un altro aspetto da sviluppare, che ho già trattato più volte in passato e cioé il sorteggio come metodo alternativo e complementare alle elezioni. Se ne riparlerà più avanti.
Grazie dell'apprezzamento.
Per aspera ad astra, Roberto
Caro Roberto,
ho trovato assai ben fatto e quanto mai utile il tuo blog sul referendum e il raffronto con la situazione della Svizzera.
L’innesto nel nostro sistema, essenzialmente rappresentativo, di forme di partecipazione diretta dei cittadini alle scelte di
interesse collettivo costituirebbe certamente un progresso ed un rafforzamento della nostra democrazia; e potrebbe formare
per l’appunto oggetto di una di quelle riforme puntuali della Costituzione alle quali non si dovrebbe rinunciare anche dopo
l’esito del referendum.
Naturalmente, per ragioni storiche e culturali e per evidenti diversità tra i due Paesi (basti pensare ai numeri e alla popolazione)
non si potrà mai raggiungere il grado di diffusione e di applicazione che l’istituto del referendum ha in Svizzera, ma qualcosa in quella direzione
sarebbe auspicabile e FdP potrebbe farne uno dei suoi punti di attacco.
Cordiali saluti.
CGL
Caro Carlo Giulio,
sono lieto delle tue positive considerazioni e condivido l'idea che l'inserimento di forme evolute di democrazia diretta nella nostra Costituzione siano non solo opportune ma anche possibili se opportunamente mirate, nonché attente alle specificità del nostro contesto.
La proposta che ho fatto a FDP di dibattere con esperti della materia questo tema ha proprio l'obiettivo di permettere alla nostra associazione di farsi parte attiva per uno sviluppo nella direzione predetta, al quale spero potrai partecipare.
Grazie e cordiali saluti.
Roberto
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