La cosa che più colpisce nel sentire i commenti dei politici ai risultati dei referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto è l’insopportabile tasso di ipocrisia di molte dichiarazioni.
Se si
trattasse di una gara a chi la spara più grossa, la medaglia d’oro andrebbe
certamente al Presidente Maroni il quale ha dichiarato: “avendo fissato un obiettivo di
affluenza molto ambizioso pari al 34% sono molto soddisfatto perché abbiamo superato il 40%.” In realtà quell’obiettivo, largamente
insufficiente, era stato fissato per il
fondato timore di avere una bassa affluenza, come poi si è verificato. E’ evidente che la maggioranza dei cittadini
lombardi, manifestando, con l’astensione dal voto, il proprio disinteresse per
il referendum, lo ha sostanzialmente ridimensionato e di questo Maroni dovrà
tenere conto, sia nella trattativa che comunque verrà aperta con il Governo,
sia in vista delle prossime elezioni
politiche regionali, dato che i lombardi, in maggioranza, non condividono velleità troppo autonomiste.
La medaglia
d’argento andrebbe invece assegnata al Ministro De Vincenti il quale ha
dichiarato che il referendum non era necessario perché “si poteva fare come l’Emilia Romagna che ha
aperto direttamente un confronto col Governo ai sensi dell’art. 116 della
Costituzione”, facendo finta
di non sapere che diverse Regioni, fra cui la Lombardia nel 2007, hanno per
anni inutilmente chiesto di aprire un dialogo con il Governo, che è stato sempre
rifiutato e che la richiesta di trattativa fatta dall’Emilia Romagna, solo dopo
l’azione di Lombardia e Veneto, è,stata una mossa strumentale, finalizzata a
togliere forza all’iniziativa referendaria. Senza il referendum una discussione
sull’autonomia non sarebbe stata e non
verrebbe mai avviata.
La medaglia
di bronzo andrebbe al Presidente Zaia che, dopo l’indubbia affermazione del
referendum in Veneto, ha subito affermato “chiederemo i nove decimi del gettito
fiscale”, che è esattamente ciò che la Costituzione non consente perché
farebbe venir meno il principio della solidarietà interregionale, senza la
quale l’Italia non esisterebbe. Già nel 2014 il Veneto aveva avviato un referendum mirante ,
fra l’altro, a trattenere l’80% delle imposte riscosse nella regione, bocciato dalla Corte
Costituzionale perché avrebbe prodotto “ alterazioni
stabili e profonde della finanza pubblica”. Ciò dimostra che il quesito referendario,
formalmente rispettoso dell’art. 116 della Costituzione era in realtà la foglia
di fico utile a nascondere le velleità di diventare una regione a statuto
speciale e magari andare oltre verso la richiesta di indipendenza, che già
serpeggia nelle dichiarazione di vari
esponenti politici locali. Che, sotto la
spinta dell’entusiasmo, il Governatore esageri,
ci sta ma se dovesse confermare questa linea al tavolo della trattativa, lo
Stato dovrebbe abbandonare il tavolo, altrimenti si avallerebbe una situazione molto pericolosa, foriera di una deriva “alla catalana”.
Il problema
che sorge da questo campionario
d’ipocrisie è duplice: da un lato i politici dimostrano di credere che i
cittadini abbiano “l’anello al naso” e che sia possibile infinocchiarli con le
loro evidenti menzogne; dall’altro, non dicendo la verità, creano le condizioni
peggiori per la trattativa sull’autonomia, fatte di malintesi, false
affermazioni, dissimulazioni, negazione
dell’evidenza e così via.
Se vogliamo
partire col piede giusto dobbiamo, a mio avviso, affermare e sostenere quanto segue:
-
la richiesta di maggiore autonomia è pienamente legittima in base al dettato costituzionale,
ma deve mantenersi nella logica delle regioni a statuto ordinario
-
il
referendum ha indubbiamente dato forza contrattuale alle Regioni, anche se in misura
differenziata fra Veneto e Lombardia, ma questa forza non deve dar luogo a “eccessi e abusi” ( difetto
attribuito da Roja Salgado, maggiore esperto spagnolo di federalismo, al
processo di autonomia delle regioni di quel Paese, che ha portato ai gravissimi problemi attuali).
-
lo Stato deve smetterla di fare “orecchie da mercante” e ascoltare sul serio le richiesta
che mirano a dare una positiva propulsione alle regioni più produttive, ma al
contempo non dve cedere a pressioni indebite, miranti a ledere, sia pure
indirettamente, l’unità nazionale.
-
il
confronto fra Regioni e Governo deve essere alla luce del sole e comporta
l’avvio di un ampio dibattito pubblico in cui i cittadini devono essere
protagonisti e non comparse.
-
I
cittadini non possono più tollerare le menzogne e devono sanzionarle duramente
con il voto alle elezioni politiche e amministrative.