Già dopo le
elezioni del 4 marzo si è capito che le intenzioni dichiarate dai maggiorenti
del PD, di analizzare le cause della sconfitta elettorale per rilanciarsi in
termini più adeguati ai tempi, non avrebbero potuto realizzarsi perché questa
forza è prigioniera di una forma patologica che può essere definita come “ permanenza e accumulo di errori non pienamente analizzati e compresi”
e che si manifesta con la reiterazione di comportamenti inappropriati
anche quando risulta evidente il loro carattere pernicioso. Come tutte le forme anche questa ha un
carattere oggettivo, i cui effetti sono verificabili e misurabili, ad esempio
attraverso i risultati elettorali che, anche nelle recenti elezioni
amministrative, hanno sanzionato pesantemente il PD per la sua clamorosa
incapacità di mettersi in sintonia con l’ elettorato. Ma vi è anche una
componente soggettiva, di carattere culturale, che può essere espressa con il
termine freudiano di “coazione a ripetere”, cioè come una tendenza ossessiva a
riproporre attività che un tempo erano soluzioni ed oggi sono solo problemi.
Cito alcuni
di tali errori:
-
Il
più antico e radicato, che proviene dalla tradizione comunista, è l’approccio fortemene ideologico,
che pretende di imporre alla società una serie di valori, indipendentemente dal
mutevole contesto di riferimento e che manifesta disprezzo per chi è di diverso
avviso. La più recente e vistosa incarnazione di questa perversa logica è il
modo moralistico, irrealistico e autolesionista con cui è stato affrontato il
tema dell’immigrazione: un’apertura
indiscriminata a flussi di grande
dimensione in nome di principi di solidarietà
che, se non calibrati sulle reali possibilità di accoglienza, sono
destinati a produrre forti tensioni sociali.
-
Un
secondo aspetto, collegato al precedente,
è l’improprio “atteggiamento pedagogico” che
caratterizza il rapporto con gli elettori, secondo il quale il compito della
classe dirigente politica sarebbe quello
di insegnare al popolo cosa e come deve sentire e non quello, invece, di farsi
attento ascoltatore dei problemi e dei bisogni reali delle persone in carne ed
ossa. Questa totale insensibilità rispetto alle attese dei cittadini è stata la
causa principale del crollo dei consensi, prima alle elezioni politiche e poi
alle recenti amministrative. La caduta, in quest’ultima tornata, di alcune
importanti e simboliche roccaforti rosse, come Siena, Pisa, Massa e il
passaggio al centrodestra della grande
maggioranza dei capoluoghi di provincia interessati, è indicativa dell’ormai
totale scollamento del PD dalla realtà del Paese. La situazione è stata ben
inquadrata dall’ex sindaco di Pisa, del PD, il quale ha detto che gli elettori
del suo comune hanno manifestato chiaramente , col loro voto, l’ntenzione
di di “rimandare a casa gli immigrati e
chi ce li ha portati, cioè la sinistra”
-
Il
terzo punto problematico è l’
acritica adesione al movimento globalista, diretto abilmente dai potentati economico
finanziari transnazionali, che ha prodotto l’impoverimento di larghe fasce
della popolazione, non limitate a quelle che tradizionalmente erano le classi
popolari. Senza una forte revisione critica di questo errore strategico il PD
non potrà riconquistare i consensi perduti perché esso è ormai percepito come
il principale alleato dei poteri forti.
-
Un
altro aspetto da considerare è l’”europeismo di maniera”,
fortemente declamato ma inconsistente, di cui questa forza politica si è fatta
portatrice, senza avere la lucidità e la forza, anche quando è stata al governo
del Paese, di opporsi ad una politica europea incapace di farsi carico dei
problemi comuni, a partire da quello dell’immigrazione, che è stato scaricato
quasi completamente sul nostro Paese. L’unica preoccupazione sembra quella di
“non essere isolati in Europa”, che implica una posizione di sostanziale
sottomissione alle esigenze altrui.
Molti
esponenti del PD parlano in questi giorni di una profonda necessità di
rinnovamento o anche di superamento della sua forma-partito. Che vi sia un ineludibile
bisogno di cambiamento è certo, ma esso potrà avvenire solo se verranno sciolti
i nodi indicati in precedenza, che attengono al modo con cui si è sviluppato nel
tempo l’approccio del partito
democratico. Ma ciò non basterebbe se
non venisse affrontato anche il principale nodo riguardante il futuro e cioè la
visione della società verso cui è opportuno tendere. Ed è qui che il
difetto di elaborazione politica del PD è più evidente, in quanto nessun suo
esponente di spicco ha messo in dubbio che la nuova o rinnovata forza politica
debba essere antisovranista, in quanto alternativa rispetto alle forze politiche che oggi godono dei
maggiori consensi e che governano il Paese sia a livello nazionale che locale.
In realtà, dopo un trentennio di globalizzazione non governata , il futuro più
probabile che si prospetta in Italia e in vaste aree del mondo occidentale è quello di un “sovranismo ben temperato”, che
non significa certo una chiusura aprioristica degli scambi di merci e di
circolazione delle persone, ma l’affermazione del diritto e della necessità di gestire
fenomeni altamente complessi e interconnessi,
che non possono essere lasciati unicamente alle forze egoistiche e
irresponsabili dei mercati, che tanti danni hanno già prodotto.
Si tratta insomma di riconoscere due punti basilari:
-
che
è la politica e non l’economia o la finanza a dovere e poter guidare le
relazioni internazionali
-
che
la politica si esercita negli stati nazionali o nelle comunità di stati che
ritengono possibile cedere quote di sovranità nazionale.
Visto che
l’Europa, pur con le attuali difficoltà, è la comunità di Stati più avanzata
del pianeta, è prevedibile che possa diventare protagonista di un sovranismo
continentale, al quale potrebbe ispirarsi un soggetto politico alternativo a Lega e Cinque Stelle. Insistere invece con
l’antisovranismo, come sembrano orientati a fare i maggiorenti del PD, potrebbe
portarli ancora una volta fuori strada, lontani dal cuore e dalla mente degli
elettori.
17 commenti:
Con riferimento all'acritica adesione al movimento globalista bisognerebbe incominciare a far capire che il nostro debito pubblico è in gran parte fittizio. Se avessimo la sovranità monetaria non si capisce perché non dovremmo all'occorrenza stampare moneta, come ha fatto sempre l'America, piuttosto che chiedere prestiti alla finanza internazionale. Secondo una fondamentale regola della teoria monetaria uno stato può stampare moneta purché non superi la propria ricchezza intrinseca (obiettivamente difficile da calcolare) che l'Italia ha ancora molto alta (anche se ci vogliono fare credere il contrario). Certo che la stampa della moneta va gestita da politici non irresponsabile come i nostri. Paolo Spinoglio
Stampar moneta vuol dire inflazione. No grazie: ben mi ricordo di quando l'inflazione in Italia era al 18%, i prezzi aumentavano ogni giorno ma gli stipendi no.
Ottima analisi, Roberto. Condivido le conclusioni.
Il solito luogo comune, stampar moneta non vuol dire necessariamente inflazione. L'inflazione è legata alla politica. Quando la smettiamo di farci condizionare da questi luoghi comuni che, guarda caso, sono utili alla finanza internazionale? Gli USA, sarebbero gli USA se non avessero inondato di dollari il mondo? Il valore della moneta dipende dalla attendibilità dell'effige riportata su di essa e da nient'altro. Lo vogliamo capire e far diffondere questo concetto dalla stampa che purtroppo è sul libro paga della finanza? Paolo Spi
Per Roberto Barabino: non potrebbe rendere più semplice l'autentificazione sul Suo Blog? L'attuale procedura toglie la voglia di partecipare (a meno che non sia questo il fine)
Rispondo a Paolo Spinoglio:
Ti dico anzitutto che, per evitare difficoltà nel fare commenti, puoi mandarmi il testo via mail e poi provvedo io alla pubblicazione.
Nel meriro del problema che sollevi, non condivido l'idea che il nostro debito pubblico sia fittizio: purtroppo è assai reale ed è l frutto di una politica dissennata, cominciata negli anni 70 e proseguita fino ad opggi, che indebolisce la nostra capacità di crescita e pregiudica il futuro delle nuove generazioni.
Quando io parlo di "sovrnismo ben temperato" intendo dire che gli stati nazionali o gruppi di Stati devono riacquistre un margine di azione politica per governare i processi economici internazionali, ma non fino al punto, almeno per l'Italia,, di stampare liberamente moneta, per le ragioni esposte da Giorgio Calderaro, che condivido:
L'America può invadere il mondo di dollari perché è la potenza n° 1; noi non possiamo permettercelo. Con una classe politica come la nostra, se tornassimo alla lira, la svalutazione della oneta sarebbe certa e produrrebbe un impoverimento diffuso.
Roberto
Rispondo a Giorgio Calderaro:
Come puoi vedere dalla mia risposta a Spinoglio, sul tema inflazione sono d'accordo con te.
L'appartenza alla zona euro ci è certamente costata molto perché l cambio lira/euro è stato fissato in termini iniqui. Comunque avere l'euro ci ha protetto dalla dissennatezza dei nostri governanti ed ha contenuto assai il tasso d'inflazione.
Roberto
Ciao Roberto, articolo ben calibrato... incluso commento sul debito pubblico, che condivido. Alfredo Reichlin a suo tempo aveva scritto che alla sinistra è mancato, fondamentalmente, il "pensiero lungo". Che vede lontano, e che non presuppone un appiattimento supino sulle linee di importazione, neoliberiste e globaliste, che hanno avuto e continuano ad avere un impatto negativo sulla vita dei cittadini.
Ieri sera ho fatto una capatina presso l'istituto Manzoni per un saluto agli amici di FdP. Ho appreso che sei in vacanza.
Buone vacanze
Antonio
Ciao Antonio,
mi fa piacere il tuo apprezzamento e concordo con le tue considerazioni: l'abbaglio preso dalla sinistra col liberismo è stato davvero una iattura e recuperare la credibilità sarà un'impresa assai difficile. Speriamo che venga fuori un leader dotato anzitutto dell'umiltà necessaria per riconoscere gli errori commessi.
Ricambio gli auguri di buone vacanze
Roberto
La storia dell’immigrazione è talmente confusa che è difficile emettere considerazioni. Di sicuro c’è stata tanta trascuratezza e tanta furbizia all’italiano (penso al Trattato di Dublino del 1990, aggiornato nel 2003, dove non si capisce bene cosa e come). I vari governi hanno tollerato nella speranza di poter sforare il deficit. Si è agito, insomma, sulla pelle di deboli e sfruttati (ricordo il colonialismo). Tutto ciò conforta la mia opinione, secondo la quale abbiamo sistematicamente politici improvvisati, incapaci, quando non in malafede. Va ripensato il metodo d’ingaggio. Non possiamo sobbarcarci sistematicamente emeriti analfabeti.
Dario
Concordo sul fatto che il tema immigrazione sia stato gestito con "furbizia all'italiana" anzitutto dai nostri governi che hanno usato la tolleranza come merce di scambio, ma anche dagli altri Paesi che non hanno dato alcun seguito agli accordi sulla ripartizione dei rifugiati.
Ora alcuni nodi sono venuti al pettine e non sarà più facile nascondere le reciproche esponsabilità.
Roberto
Caro Roberto, ho letto il tuo articolo.
su alcuni punti della tua disamina condivido fortemente; ne ho anche io scritto ad Italians, qualche giorno fa...
Su una conclusione finale, invece, ho parere non completamente simile al tuo.
Mi riferisco al punto che tu chiami "Europeismo di Maniera", ed alle conclusioni che ne trai per concludere il tuo intervento.
Ti riassumo per punti; se poi vuoi, posso anche approfondire.
1. la politica e non l’economia o la finanza a dovere e poter guidare le relazioni internazionali
2. la politica si esercita negli stati nazionali o nelle comunità di stati che ritengono possibile cedere quote di sovranità nazionale.
3. Sovranismo ben temperato.
Sul punto 1 dissento.
La politica DOVREBBE guidare le relazioni internazionali; ed aggiungo anche l’economia.
Purtroppo NON lo fa. Non è un problema del PD, dell’orizzonte del PD o della Sinistra italiana, ma mondiale.
Oggi la politica è molto debole, rispetto al potere economico. Non riesce ad imporsi, ad emanciparsi. Le infrastrutture politiche sono sempre più “vittima” delle pressioni lobbistiche economiche (ed internazionali).
I democratici si devono rendere conto che il “pericolo” antidemocratico non è “l’uomo solo al comando”; ma l’economia forte contro la politica debole.
UNA delle debolezze della politica (molte altre debolezze sono formali e le analizziamo bene in FdP) è che l’economia è mondiale, mentre la politica è nazionale.
Solo alcune grandissime nazioni la cui dimensione può competere con il globalismo (USA, CINA e forse Russia) hanno capacità di resistenza alla forza economica internazionale; ed anche loro, comunque, vanno a sbattere contro questa forza (vedasi Trump e i dazi)
Quello che tu vedi come possibile evoluzione politica, ovvero uno “scontro continentale” di aglomerati di nazioni (aglomerati di interessi politici nazionali) non ha ancora avuto luogo; in primis perché ogni nazione stupidamente e gelosamente è convinta che la forza del proprio “orticello” sia in grado di arginare ai sommovimenti economici mondiali (errore grossolano); in secundis perché le FORME di collaborazione, cooperazione, devoluzione di potere nazionale ad organi sovranazionali è ANCORA (purtroppo) indirizzata da interessi egoistici/nazionalistici/ideologici. Parlo dell’ottusa visione europea dei tedeschi.
Sulla fotografia che fai dell’attuale impasse del PD, come detto, ho moltissimi punti di vista simili ai tuoi; quindi evito di elencarli.
Sui punti sopra, invece, penso in modo un po’ differente da te.
Saluti
Matteo
Caro Matteo,
forse mi sono espresso male, perché sono totalmente d'accordo con le tue consideerazioni sul rapporto fra politica ed economia: la politica dovrebbe guidare ma non lo fa e ciò proprio per le ragioni da te esposte: strapotere della finanza e debolezza degli Stati nazionali. Ma questa situazione non è più tollerata dall'elettorato di molti Paesi, compreso ora il nostro
e una reazione ci deve essere . Il compito è certamente difficile ma un primo punto è stato segnato: la gente, in tutto il mondo, non beve più la favola della globalizzazione come opportunità per tutti.
Condivido anche la tua idea che lo scontro fra gruppi di Stati non'è ancora avvenuto, ma io l'ho indicato come possibile prospettiva, non come una realtà attuale.
Mi fa piacere che tu condivida la mia analisi sul PD.
Ciao.
Roberto
Bello scritto, bella analisi che condivido interamente e coincide con quanto avrei scritto io stesso sul tema. Meritevole di una prima pagina sul Corsera.
Grazie mille Franco,
sei trppo gentile.
Ho moltp apprezzato le tue parole perché conosco la franchezza e la capacità di valutazione che ti contraddistinguono.
Ciao.
Roberto
Mi trovo spiazzato. Dal titolo – e dal contenuto in gran parte – credevo che l’argomento la ricerca del male profondo che ha tramortito il PD; molti commenti sono andati in tutt’altra direzione, ed evito di entrarne nel merito per non andare fuori tema a mia volta.
Complimenti per la tua analisi: è una disamina acuta dei vari problemi nei quali la sinistra non ha saputo trovare soluzioni coerenti con le realtà del mondo d’oggi; come se il tempo si fosse fermato alla fondazione dell’Internazionale socialista un secolo fa. Non si è accorta, la sinistra di oggi, che la classe operaia è sparita come composizione e comunque come forza che conta; che la borghesia ha in gran parte idee di sinistra ma mai accetterebbe i termini di “compagno” per indicare un suo simile o di “padrone” parlando del datore di lavoro; che concorda sulla necessità di migliorare la legislazione sociale, di assistere i poveri e i migranti, di eliminare le sacche di illegalità e di delinquenza, ma che quando sente parlare di eliminare le “differenze sociali” sente puzza di comunismo, anche se le intenzioni sono ben lontane da queste implicazioni.
La Sinistra di Renzi queste cose le aveva capite e aveva iniziato un percorso che nel tempo le avrebbe procurato l’adesione di buona parte dei seguaci di Berlusconi - una volta sparito lui come leader di FI. Lo sciagurato personalismo che sempre ha disgregato e frammentato la Sinistra, unito a una serie di errori di comportamento e di valutazione di Renzi stesso, hanno portato alla situazione attuale: non è che il PD corra il rischio di annientamento, come forza politica è già fuori gioco. Potrà rinascere se troverà il leader giusto, ma non con quella sigla. Quelli che ancora parlano di “compagni” e di “padroni” si aggiornino, oppure si rassegnino.
Ciao, buona serata,
Umberto
Ti ringrazio dei complimenti
Condivido buona parte delle tue considerazioni ma aggiungo qualche riflessione.
Io credo che l'involuzione del Pd sia il frutto del combinato disposto di una mentalità che, come tu dici, è largamente ancorata a valori della sinistra novecentesca e da una prassi recente che ha cercato di aggiornare tal ementalità ma lo ha fatto in modo troppo rsdicale, perdendo di fatto i contatti con le fasce deboli della società, che non sono più quelle operaie di un tempo ma quelle che la globalizzazione ha messo fuori gioco. Esiste una forte richiesta di protezione anche da parte delle classi medie, che si sono sentire abbandonate alle turbolenze dell'economia e all'insicurezza sociale, frutto anche di un'immigrazione incontrollata.
La futura forza di sinistra che dovrà superare la forma attuale del PD dovrà tener conto delle aspettative di coloro che sono maggiormente in difficoltà.
Un caro saluto.
Roberto
Pubblico la lucida analisi di Luciano Violante, contenuta in un articolo pubblicato il 9 luglio sul Corriere della Sera, che inserisce in un contesto internazionale alcuni temi trattati nel mio post:
LO SCAMBIO DI RUOLI FRA DESTRA E SINISTRA
L’indebolimento della sinistra italiana rientra in un orientamento largamente maggioritario nel mondo avanzato. La sinistra ha perso in quasi tutta Europa. Fuori Europa ha perso in Giappone, Stati Uniti, Argentina. In ogni paese l’indebolimento ha proprie specifiche cause. Ma un fenomeno così diffuso non può non avere anche un denominatore comune. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, per circa un decennio, le sinistre hanno governato gran parte del mondo avanzato, ma con criteri diversi da quelli che si aspettavano i loro elettori: hanno manifestato disattenzione per i più poveri e una rispettosa condiscendenza per la finanza globale. La modernità non era più costituita dal riconoscimento della dignità sociale dei ceti deboli, ma dall’alleanza con i ceti forti. Sono esemplari la Neue Mitte di Gerard Schröder (1998-2005) e il New Labour di Tony Blair (1997-2007). Margareth Thacher, richiesta nel 2002 sul suo maggiore successo, rispose con malizia: «Tony Blair e il New Labour. Abbiamo costretto i nostri oppositori a cambiare il loro modo di pensare».
Quelle sinistre hanno considerato i problemi sociali posti dalla globalizzazione, dall’immigrazione, dall’aumento delle disuguaglianze, come inevitabili nelle dimensioni esistenti e non si sono impegnate per affrontarne i costi sociali. In sostanza hanno perso la sintonia con il popolo e hanno cominciato a convivere con la realtà, invece che impegnarsi a trasformarla. Sono diventate fredde. Nel frattempo le destre cominciavano a proporre la trasformazione radicale della società, parlavano direttamente al popolo dei problemi che il popolo sentiva come propri. Le destre sono diventate partiti caldi, capaci di entusiasmare. Insomma, destre e sinistre si sono scambiate i ruoli: le sinistre per la convivenza con la realtà; le destre per la sua trasformazione, alla luce dei propri valori.
Le sinistre sono state più attente ai diritti individuali che ai diritti sociali e hanno a volte confuso la civilizzazione della società con il politicamente corretto. Esemplare in questo senso la campagna di Hillary Clinton. Ne è derivata la sovrapposizione dell’estetica all’etica, di ciò che appariva elegante su ciò che era giusto. L’effetto è stato la sostituzione dei ceti di riferimento. I ceti più colti e più abbienti, che non hanno difficoltà sociali e che sono invece sensibili ai diritti individuali, hanno cominciato a votare a sinistra. I ceti meno colti e meno abbienti, che hanno bisogno del riconoscimento dei diritti sociali, hanno cominciato a votare a destra.
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