Visualizzazioni totali

mercoledì 10 agosto 2011

Il treno della realtà è arrivato

Nel post del  18  luglio "La sfida globale e i costi della politica" scrivevo:

..." Il nostro Paese, e non solo il nostro, deve affrontare tempi molto duri.
Per dirla chiaramente, gran parte dei Paesi sviluppati (USA e Gran Bretagna in testa, ma anche Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia ecc.) hanno vissuto negli ultimi 20/30 anni costantemente al di sopra dei propri mezzi, accumulando debiti pubblici e privati spesso insostenibili e accollando alle future generazioni l'onere derivante da un tenore di vita troppo alto di quelle attuali..... ma anche qui i nodi stanno venendo al pettine.".... .

Questa previsione è stata fin troppo rapidamente confermata da due eventi quasi contemporanei, avvenuti fra il 5 e il 6 agosto: il declassamento degli USA, che hanno perso la tripla A nella valutazione data da Standard & Poors sul loro debito pubblico e il sostanziale "commissariamento" dell' Italia da parte della Banca Centrale Europea, che ha imposto un diktat preciso su tempi e modi per accelerare il risanamento dei conti pubblici e la riduzione del debito, come condizione per l'acquisto - da parte della stessa banca - dei titoli di stato italiani, onde salvare il nostro Paese dalla bancarotta.

Questo brusco risveglio ha fatto cambiare anche la percezione della  maggioranza sulla gravità della situazione. Se ancora ai primi di agosto il premier, nell'intervento al Parlamento e poi nell'incontro con le parti sociali, ostentava un improprio ottimismo sulla solidità del Paese (qualcuno, fra le parti sociali, lo ha definito "surreale"), dopo la lettera della Bce il capo della Lega ha detto testualmente "Per tanto tempo il Paese ha speso più di quanto poteva e un bel giorno la realtà ha preso il treno ed è venuta a trovarci".

Come ha scritto Mario Monti nell'editoriale del Corriere della Sera del 7 agosto  "Il podestà straniero": "Il governo e la maggioranza, dopo aver rivendicato la propria autonoma capacità  di risolvere i problemi del Paese.....hanno accettato in questi ultimi giorni, nella sostanza, un "governo tecnico". Le forme restano salve....ma le decisioni principali sono state prese da un "governo tecnico sovranazionale"....con sedi sparse fra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York".

Ora si tratta di vedere come interagiranno maggioranza, opposizione e parti sociali nella messa a punto della nuova manovra e come reagiranno i cittadini alla stessa: se i primi sapranno superare le logiche di parte e lavorare realmente per il bene comune, il supporto internazionale proseguirà; altrimenti la Bce, che si è molto esposta, in termini finanziari e di credibilità, "staccherà la spina" sancendo il fallimento italiano.
In altre circostanze (la gravissima crisi del 1992, con l'attacco speculativo alla lira, la sfida del 1997 per l'ingresso dell' Italia nell'euro )  le Istituzioni del nostro Paese hanno dimostrato di saper trovare - a fronte di rischi potenzialmente letali - le forze e le risorse per superare le difficoltà.
Si può quindi sperare che, pur attraverso patimenti e contrasti, ciò possa avvenire anche in questa occasione.
C'è però una differenza  di fondo rispetto alle precedenti esperienze ed è costituita dall'atteggiamento dei cittadini. Nella crisi attuale non si tratta solo di chiedere ai cittadini grossi sacrifici economici, ma anche quella di avviare un forte "cambiamento culturale". E' necessario, infatti, rivedere profondamente gli stili di vita e i modelli di consumo diffusi, che si ispirano ad un'opulenza che in passato è stata più immaginata che reale: sotto il martellante bombardamento della pubblicità commerciale e del  "marketing ideologico", che proponeva un cittadino anzitutto "consumatore" , si è sviluppata una società dove il superfluo è diventato essenziale e dove tutti considerano normale per una famiglia possedere più auto, più televisori, almeno un cellulare a testa e così via.
Dove non bastano i redditi, si procede con i debiti e dove non bastano neppure questi si produce una frustrazione diffusa e si parla, in molti casi  impropriamente, di impoverimento.
Le ribellioni che si stanno verificando in Inghilterra , che sembrano guidate dall'impulso a "volere tutto e subito", e portano a saccheggiare soprattutto gli esercizi commerciali  che vendono i beni più "griffati", sono un segnale allarmante di dove può portare l'"ideologia del consumo" oggi prevalente.
Siamo di fronte ad una situazione in cui i cittadini non potranno più scaricare comodamente sui politici le colpe di quanto è successo e sucederà, ma devono fare un serio esame di coscienza, domandandosi se le loro aspirazioni sono congruenti con le loro possibilità. Se la risposta è nagativa hanno solo due possibilità: o rinunciare a parte del superfluo, di cui molti sembrano non poter fare a meno, oppure "rimboccarsi le maniche" e cercare di produrre di più: ciò potrebbe portare a superare alcuni problemi cronici del nostro Paese (assenteismo diffuso, abbandono dei lavori manuali, di cui pure c'è molto bisogno, scarsa disponibilità a rischiare, anche nei giovani).

Non voglio entrare, in questo post, nei problemi specifici  degli Stati Uniti, ma solo dire che non sono messi meglio dell'Italia ( la reazione di Obama al declassamento è stata "noi siamo gli Stati Uniti e saremo sempre un paese da tripla A", il che ha prodotto il crollo delle borse USA)  e che se insistono nel voler ripristinare i modelli di iperconsumo di cui sono autori ed esportatori, si troveranno a mal partito per gli effetti che questi  produrranno su deficit e debito. La Cina, che è il loro maggior creditore ha chiesto agli USA, con toni analoghi a quelli usati dalla Bce nei nostri confronti, di "mettere i conti in ordine". Ma anche nel loro caso ci vorranno non solo sacrifici ma pure un netto cambiamento culturale. Come ha detto l'economista  Jeremy Rifkin nell'intervista a La Stampa del 9 agosto  parlando della globalizzazione "noi occidentali  l'abbiamo interpretata come un'opportunità di consumo invece che di produzione...... bisogna cambiare paradigma di sviluppo, a partire dalle abitudini energetiche".




5 commenti:

enrico ha detto...

Due commenti:
1. Cosa deciderà il governo lo sapremo solo con il decreto legge a giorni. Rilevo solo che quasi tutti hanno concentrato in due-tre giorni il massimo del pensare al proprio "particulare" invece che ad una sintesi per il bene comune. Dai partiti e dai parlamentari non mi aspettavo altro, ma anche le parti sociali che hanno detto "fare presto, fare presto", poi quando si parla di riforma delle relazioni industriali e delle norma del lavoro, fanno muro e ti dicono "ci vedremo noi e ne discuteremo tra noi". Sì, come no ? quando ?
2. Sono un anti-consumista per vocazione, e quindi sensibile al tuo appello, però non è che la crescita la fai passando alla frugalità, ma aumentando consumi (oltre agli investimenti).
Enrico

roberto ha detto...

Qualche considerazione sui tuoi commenti:

1. Convengo che, come al solito, lo spettacolo offerto dalle parti in causa non è edificante. Tuttavia credo che in tale atteggiamento vi sia un pò di "gioco delle parti", nel senso che - in attesa di sviluppi - ciascuno sta facendo i suoi "interessi di bottega". Anche Bossi, che ha ispirato il titolo del mio post con la frase "...la realtà ha preso un treno ed è venuta a trovarci", ieri ha fatto il duro dicendosi in disaccordo su quasi tutto. Tuttavia credo che la consapevolezza della gravità della situazione si sia realmente diffusa e che il test delle reali intenzioni si avrà quando il Governo presentarà proposte più precise.

2. Pensa che volevo intitolare il mio post " Il ritorno alla frugalità"! Poi ho optato per l'altro titolo.
Certo, nel breve-medio termine il rilancio dell'economia non può che passare attraverso la ripresa dei consumi, oltre che degli investimenti infrastrutturali. Il mio ragionamento è di medio-lungo periodo: in tale prospettiva,il modello di sviluppo dei paesi occidentali, come dice anche Rifkin, non è sostenibile e si dovrà, volenti o nolenti, arrivare a stli dei vita più equilibrati e più sensati. Il punto è come arrivare a questo diverso equilibrio senza, nel frattempo, produrre un tracollo globale.
Comunque, nei prossimi lustri, il tasso di sviluppo sarà necessariamente più basso di quello attuale e ciò comporterà, a mio avviso, un ulteriore ridimensioanmento dei mercati finanziari, quando tale realtà sarà evidente.

roberto ha detto...

Aggiungo un' altra riflessione a quelle fatte nel commento precedente.
Qualche indicazione sul futuro, pur nella diversità dei contesti , può venire dall'esperienza del Giappone, il paese con il più alto debito pubblico del mondo, pari al 225% del PIL. Il tasso di crescita si è mediamente più che dimezzato dal 1990 ad oggi e il suo indice azionario è passato da 40.000 punti a meno di 9.000.
Il Giappone è all'ottantesimo posto nel mondo per percentuale di investimenti sul PIL.

In futuro i paesi sviluppati dovranno gradualmente sostituire il modello "alti consumi - alti debiti" con quello "alti risparmi - alti investimenti". Il traino dei consumi spetterà ai paesi emergenti, in particolare la Cina, come si può leggere nell'interessante articolo di Stephen Roach "L'Asia e i consumatori zombie americani" pubblicato da Il Sole 24 ore e facilmente reperibile mettendo in Google il titolo dello stesso.

sabino ha detto...

Condivise in gran parte le considerazioni, credo utile iniziare a proporre delle azioni utili per partecipare alla costruzione di un percorso verso una economia che recuperi quella che Benedetto XVI chiama "intelligenza della realtà" e che forse Rifkin potrebbe associare alla globalizzazione come opportunità per rivedere i paradigmi della produzione.
Perchè non lanciare un confronto su questo?
Sabino

roberto ha detto...

La tua mi sembra un'ottima idea.
Non conoscevo la definizione data da Benedetto XVI, che mi pare esprima molto bene l'esigenza di capire la realtà al di là degli stereotipi usuali,uno dei quali è che i cittadini vogliano dalla politica solo benefici o privilegi. Credo invece che molti chiedano alla politica soprattutto di "tenere in ordine la casa comune" e quindi una gestione dell'economia che non guardi solo al breve, ma pensi anche al medio-lungo periodo. Ciò per prevenire i tremendi rischi che derivano da una gestione "allegra" delle finanze pubbliche, che oggi si sono materializzati con il "commissariamento"del nostro Paese, e per tutelare le generazioni future che non devono essere penalizzate dall'ingordigia di chi vive oggi.
Rivolgo quindi volentieri l'appello ai lettori del blog a partecipare al dibattito e ad invitare allo stesso i loro conoscenti. Forse bisognerebbe diffondere la conoscenza di questo blog ai membri delle associazioni di cui facciamo parte, visto che fino ad ora i commenti fatti sono stati piuttosto limitati. Se credi, puoi proporlo a quella di cui sei membro attivo e di cui ho fatto parte anch'io in passato.
Come primo contributo al dibattito, a integrazione di quanto ho già scritto in post e commenti precedenti, vorrei segnalare l'assoluta esigenza di capire che per consumare ricchezza bisogna anzitutto produrla e che ciò non è possibile se non vi un adeguato stock di risparmio. La virtù del risparmio sta proprio nel fatto che il gesto individuale contribuisce ad accumulare un capitale collettivo che è alla base degli investimenti e quindi della creazione di posti di lavoro, redditi e consumi. Il limite gravissimo dell'"ideologia del consumo" è proprio quello di "mettere il carro davanti ai buoi" : si pretende di consumare ricchezza senza porsi il problema d, anzitutto, crearla e ciò produce la conseguente necessità di debito individuale e collettivo che, una volta cresciuto oltre certi limiti, porta ai disastri che stiamo vedendo a livello globale.