Pubblico alcune riflessioni di Guido Costa, ex Direttore Finanziario di un grande gruppo industriale, in merito ad una soluzione sostenibile per il debito della Grecia, a fronte dei rischi collegati all'esito delle ormai prossime elezioni politiche in questo Paese. Il testo evidenzia una significativa contraddizione che esiste nel comportamento dei creditori ed avanza una proposta alquanto provocatoria, che può stimolare un dibattito su un tema con forti implicazioni per tutto il continente europeo.
^^^^^^^
Il trattamento riservato al debito
della Grecia si presta, a mio parere, a serie riserve dal punto di vista dell’equità.
Da un lato gli Stati membri della UE non vogliono accettare
che un loro pari faccia default, come un qualsiasi debitore privato; dall’altro
pretendono che il suo tasso di interesse debitore sia dettato puramente dal
mercato, raggiungendo livelli iper-penalizzanti oltre il 10%.
Ma se un debitore “non può” fallire, ha diritto al massimo
rating e quindi a tassi che rispecchino l’assenza di rischio!
Invece gli investitori (gli altri Stati in primis) riscuotono dalla Grecia tassi da junk bonds e allo stesso tempo esercitano pressioni inaudite per
garantirsi il rimborso del credito.
Questa situazione configura un’ingiusta speculazione alla
luce delle seguenti considerazioni:
·
il
default di uno Stato non è dettato da condizioni oggettive come quello di un debitore
privato (esaurimento delle risorse a disposizione), bensì da una scelta
politica, in quanto il Governo può decidere autonomamente di non tagliare le
spese o di non aumentare le tasse nella misura necessaria ad onorare il debito,
per ragioni di ordine superiore (evitare sacrifici insopportabili alla
popolazione ovvero scongiurare gravi problemi di ordine pubblico);
·
uno
Stato in difficoltà può in alternativa ricorrere alla stampa illimitata di
moneta;
·
se
uno Stato decide di fare default o di svalutare la propria valuta, ne
sopporterà successivamente le conseguenze - ovvero problemi seri nell’accesso
ai mercati dei capitali -, ma nell’immediato il danno è per i creditori che
subiscono una perdita secca;
·
alla
Grecia dei nostri giorni vengono precluse
entrambe le soluzioni.
Se ricordiamo allora che
·
i
Paesi coinvolti in questa situazione non sono estranei fra di loro, bensì sono membri
di una libera associazione, nata con l’obiettivo di promuovere il benessere
comune e che
·
le
pressioni sulla Grecia sono dovute al fatto che, nell’eventualità del suo
default o della sua uscita dalla moneta
unica, il rischio di destabilizzazione delle economie degli altri Stati membri
va ben oltre la perdita dei crediti vantati,
è opportuno riconsiderare la struttura del servizio del
debito della Grecia (e di ciascun stato membro).
Come avviene oggi, durante il corso dell’emissione, ciascun
Paese pagherà gli interessi richiesti dal mercato, visto che, a priori, non si può
avere la certezza matematica che non ci sarà default. Quando però a scadenza si verifica che il debito viene rimborsato, il
delta fra gli interessi pagati e quelli calcolati sulla base del tasso,
proprio, nel periodo trascorso, del Paese col massimo rating, dovrà essere
scalato dal rimborso finale del capitale.
Un accordo di questo tenore, oltre a ristabilire un principio
di equità, darebbe un significativo sollievo alle finanze greche, indebolirebbe
in modo rilevante le forze centrifughe presenti nel Paese (e non solo) e gli
investitori non avrebbero diritto a rivendicazioni di sorta.
G. Costa 22/01/2015