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mercoledì 7 ottobre 2015

La stanchezza della democrazia



In un recente articolo su La Stampa intitolato “Di un’aula così non sentiremo la mancanza” Luigi La Spina scrive: “Già c’erano davvero pochi dubbi sull’opportunità di eliminare il cosiddetto “bicameralismo perfetto”, il doppione costituzionale sul quale il sistema politico italiano si è retto dall’avvento della Repubblica, ma quello che è avvenuto ieri, e non solo ieri, in un’aula che, evidentemente usurpa l’onore di chiamarsi ”Senato”, dovrebbe aver spazzato anche i residui scrupoli…………………Come  nei film dell’orrore, in cui il finale riserva il massimo del raccapriccio, ieri, in quell’emiciclo che si dovrebbe conformare agli usi della “gravitas” senatoriale di romana memoria, si è arrivati ad una scena di suburra”.
La degenerazione dei comportamenti, così ben evidenziata dal giornalista, è certamente legata al fatto che il Senato è in preda alle convulsioni  tipiche di un organismo morente e che  i suoi membri hanno perso i freni inibitori proprio perché sanno che, se la riforma va in porto, non saranno più eletti. Ma tale degenerazione che, in termini più generali, potremmo chiamare “la politica dell’insulto” rispecchia un problema di fondo che va molto al di là del caso specifico e dei confini nazionali e che è stato recentemente definito, in un recente  e brillante saggio di analisi politica ( David Van Reybrouck “Contro le elezioni” -  Feltrinelli,  Settembre 2015) la “stanchezza della democrazia”, un sistema nel quale il distacco fra i cittadini e la politica è sempre più grande in tutti i Paesi sviluppati, di cui sono sintomi principali il crescente e preoccupante assenteismo elettorale e l’insopportabile virulenza dello scontro politico.
Per andare al cuore del saggio, l’Autore mette in chiara evidenza che il sistema elettorale, oggi spacciato come l’essenza stessa della democrazia, sia stato in realtà introdotto, nel diciottesimo secolo,  dai padri fondatori della Repubblica americana e di quella francese come un antidoto alla stessa. Basta riportare al riguardo le parole inequivocabili dette da alcuni illustri protagonisti di tali vicende, citate nel libro predetto:

John Adams, secondo Presidente degli Stati Uniti. “Ricordate che una democrazia non dura mai a lungo. Non tarda a sfiorire e causa la sua stessa morte. Non si è ancora mai avuta una democrazia che non si sia suicidata.” Al quale si affianca James Madison, il padre della Costituzione americana, che vedeva nella democrazia “ uno spettacolo pieno di guai e di dispute” generalmente destinato a una “morte così violenta quanto la sua vita era stata breve”.
Sul versante francese, Antoine Barnave, un rivoluzionario di primo piano definiva la democrazia  come Il più detestabile, il più sovversivo e, per il popolo stesso, il più nocivo dei sistemi politici”. E l’abate  Sieyès, dal cui pamphlet  “Cos’è il terzo stato” prese le mosse la rivoluzione francese, scrisse “La Francia non è e non dev’essere una democrazia…. Il popolo, ripeto, in un paese che non è una democrazia ( e la Francia non deve diventarne una) il popolo non può parlare e non deve agire se non attraverso i suoi rappresentanti”,  i quali ovviamente dovevano essere membri del terzo stato, cioè della borghesia.
Il sistema elettorale è quindi nato, sia in Francia che negli Stati Uniti , per trasferire il potere dall’aristocrazia alla borghesia, evitando con cura che andasse ai cittadini comunl e ciò malgrado i frequenti, retorici e ipocriti riferimenti che i politici dell’epoca facevano alla centralità e alla sovranità del popolo.
Ecco spiegate le ragioni lontane dell’insoddisfazione di oggi. Un sistema “venduto” come democratico  ma in realtà oligarchico, non poteva che portare alla creazione di una “casta” autoreferenziale, attenta alla difesa dei propri privilegi e via via sempre più lontana dai bisogni della gente. Il problema quindi non è solo italiano.
Chi ha interesse a far evolvere il sistema politico in termini realmente democratici deve prendere atto della mistificazione che è alla base dell’equivoco in cui si sono sviluppate le democrazie moderne e che ha portato a ciò che l’autore chiama “il fondamentalismo elettorale”, cioè l’idea che le elezioni siano sinonimo di democrazia.  Il libro citato riporta all’attenzione pubblica un sistema di rappresentanza che sembrava dimenticato, quello del sorteggio, che ha conosciuto in passato rilevanti applicazioni in importanti realtà statuali ( da Atene, a Venezia, a Firenze, solo per citare le più rappresentative).  Anche se questo metodo suscita, in molti, perplessità e a volte incredulità, perché viene illusoriamente visto come una modalità per portare al potere gli incompetenti, vale la pena di esplorarlo con attenzione perchè le cose, in realtà, non stanno così.
Mi propongo, in futuri post, di  approfondire l’argomento, riprendendo le argomentazioni dell’autore e aggiungendo mie considerazioni,  sperando che qualche lettore voglia discuterne, magari dopo aver letto il libro, che è stimolante e ben documentato. Un dibattito può iniziare ovviamente anche da questo primo contributo.

10 commenti:

Dario Lodi ha detto...

Non credo che sia sbagliato il sistema elettorale, non sta qui il problema: il problema sta nella libertà data alla casta politica. Se io creo dei rappresentanti, devo poterne ragionevolmente disporre. Se lascio che i rappresentanti facciano ciò che vogliono, ne sarò prigioniero, suddito. La democrazia non ha niente a che fare con l’oligarchia. Chiaro che il sistema attuale generale sia oligarchico (chi comanda veramente è la finanza): lo è per ragioni storiche. Però se accanto ad esso metto un’oligarchia politica, avrò una doppia prigionia. Se riuscissi a mettere un veto democratico (ovviamente ben strutturato) farei un passo avanti verso la democrazia. Data la situazione attuale, posso sperare di evitare l’allargamento delle sperequazioni fra cittadino comune, potere politico (quello che c’è non è sicuramente platoniano) e potere finanziario. Se la finanza, motore principale, trova degli interlocutori affidabili e sensati, penso eviterebbe esagerazioni (dannose anche per lei).

Dario

roberto ha detto...


Mi piace il tuo concetto della doppia prigionia. Nel libro che ho citato si chiarisce al riguardo, e ne parlerò in un post successivo, che la politica è pilotata dalle esigenze dei media, a loro volta pilotati dai potentati economici. Cime vedi, la tua diagnosi è condivisa.
Mi piace anche l'idea di porre "un veto democratico": sarebbe interessante che tu elaborassi un pò il concetto per far capire a me e agli altri lettori del blog il senso e la declinazione concreta del tuo orientamento.
La proposta avanzata nel saggio non è quella di sostituire "tout court" l'elezione con il sondaggio ma affiancare il secondo alla prima per aumentare il tasso di democraticità e (aggiungo io) per dare rappresentanza anche alla maggioranza della popolazione che ormai ha perso a fiducia nel sistema elettorale e non vota più-
Grazie dell'interessante contributo.
Roberto

barbara ha detto...

La democrazia è carente per voluta carenza culturale civica dei cittadini, in alcuni paesi si studia la costituzione già alle elementari, la democrazia è carente per ignavia dei cittadini, per loro irresponsabilità ovvero per loro opportunismo, la democrazia è carente per mancanza di controllo degli eletti da parte dei cittadini, manca la possibilità del recall in Italia. Ma qualcosa è cambiato ....

roberto ha detto...

Condivido quanto scrivi sulle cause delle carenze democratiche e, in particolare, sulla mancanza di controllo nei confronti degli eletti: gli italiani amano lamentarsi ma, quando si tratta di agire per cambiare le cose, facilmente si ritirano.
L'istituto del recall, cioè la possibilità di togliere la delega agli eletti che non rispettano quanto promesso, presente in paesi anglosassoni, sarebbe certamente opportuno.
Esiste però, e non solo in Italia, un problema generalizzato di inadeguata rappresentanza in quanto un numero sempre crescente di persone non si riconosce più nel sistema attuale. E'quindi indispensabile cercare soluzioni alternative o quantomeno complementari: la proposta di ripescare dal passato il sorteggio, oggi utilizzato solo per la scelta dei giudici popolari, è assai promettente e conosce già sperimentaziooni significative.
D'altronde, se una persona sorteggiata può contribuire a dare l'ergastolo ad un reo, a maggior ragione potrebbe contribuire, in sede politica da definire, a scelte riguardanti il bene comune. Approfondirò l'argomento in prossimi post.
Grazie.

Roberto

roberto ha detto...

In un'odierna conversazione telefonica l'amico Lorenzo Oggero, lettore e contributore del blog, mi ha segnalato il suo interesse per il tema, confermando però che il termine "sorteggio" suscita perplessità perchè evoca il concetto di "lotteria", di casualità, di non scelta. Ha poi lanciato un'interessante provocazione che non tocca la sostanza del metodo, ma la sua forma: trovare un nome diverso che risulti meno respingente di quello attuale.
Tra l'altro un nuovo termine sarebbe indispensabile se non si intende sostituire del tutto le elezioni col sorteggio ma creare una formula mista che faccia emergere il meglio dei due sistemi.
Rilancio la palla ai lettori: se qualcuno ha proposte da fare al riguardo, è benvenuto. Io naturalmente ci penserò.

Roberto

roberto ha detto...

Con riferimento alla proposta di Lorenzo Oggero, ho approfondito la questione e il termine che mi è parso più appropriato è quello di "campionamento" che non sottolinea la casualità della scelta ma evidenzia la sua conseguenza più rilevante, cioè la rappresentatività del campione. Ho anche consultato un blog americano in cui si confrontano esperti internazionali sui metodi di rappresentanza politica , che si sono posti lo stesso obiettivo. Da diversi interventi è emersa la proposta di usare i termini "campionamento statistico" o " campionamento scientifico". Questa terminologia ha, oltre al pregio predetto, quello di non avere connotazioni negative, come accade invece per la parola sorteggio.
Ci sono però due problemi: mentre tutti capiscono cos'è il sorteggio, non sono certo che lo stesso avvenga con campionamento; inoltre, di sorteggio bisogna comunque parlare quando si fà riferimento alle esperienze del passato.
Forse si potrebbe lasciare la terminologia attuale, precisando e ripetendo più volte che il metodo consente di ottenere un campione rappresentatito della popolazione, il che - incidentalemnete - non avviene con le elezioni, perchè in questo caso i candidati sono scelti con criteri non rappresentativi, bensì di appartenenza.
Mi piacerebbe sentire, in merito a quanto porecede, il parere di Lorenzo e di altri lettori.

Roberto

roberto ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
roberto ha detto...

Aggiungo qualcosa al commento precedente. Si potrebbe parlare di "sorteggio qualificato" per far capire che non si tratta di scegliere a casaccio, ma in base a precisi crteri (es.: genere, età, località di residenza, istruzione, ecc.).

Lorenzo Oggero ha detto...

ciao, Roberto.
Mi sembra che le frasi che proponi possano andare bene (sono positive, facilmente comprensibili, mitigano l'aleatorietà del sorteggio che può spaventare.)
Mi piacerebbe anche l'espressione "SORTEGGIO RAPPRESENTATIVO", che è un ossimoro, del quale si capisce bene il senso e che mi suona rassicurante.
a presto, Lorenzo

roberto ha detto...

Ottimo Lorenzo !!
"sorteggio rappresentativo" è ancora meglio di "sorteggio qualificato" perchè precisa in che senso vi è qualificazione.
Direi di adottare questa espressione d'ora innanzi.
Grazie.
Roberto