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giovedì 7 gennaio 2016

Riformare i partiti o andare oltre?



Da quando la democrazia è stata inventata ad Atene nel quinto secolo avanti Cristo fino alla caduta della Repubblica Veneziana ad opera di Napoleone nel 1797, e quindi per circa 2300 anni,  tutti gli Stati che hanno assunto una forma democratica hanno avuto un sistema rappresentativo misto, in parte elettivo e in parte basato sul sorteggio, che da un lato delegava ad un’elite la trattazione di certe tematiche ma che dall’altro lasciava ad organismi sorteggiati, diretta espressione del popolo, le decisioni definitive.
E’ solo dopo la rivoluzione americana e  quella francese, cioè da circa  200 anni, che il sorteggio è scomparso dalla scena politica e tutti gli stati occidentali hanno dato una delega in bianco ad un ceto oligarchico che, come ha ben dimostrato lo studioso tedesco Robert Michels con  “la legge ferrea dell’oligarchia” esposta in un libro sui partiti politici del 1911, avrebbe inevitabilmente avocato a sé tutto il potere non lasciando alcuna possibilità al popolo d’influire direttamente sulle politiche di governo. L’unica cosa democratica che esiste nelle attuali oligarchie è il potere dei cittadini di “mandare a casa” i loro rappresentanti in occasione delle tornate elettorali; per il resto essi si limitano a porre delle crocette sulle schede e poi assistono impotenti al “teatrino della politica” in cui  i vari partiti giocano a fare la maggioranza e l’opposizione ma, sottobanco, si accordano per spartirsi la torta, a scapito del bene comune
.
Di questa deriva sono netta testimonianza  diversi referendum, espressione diretta della volontà popolare, che sono stati sistematicamente disattesi, in primis quello sul finanziamento ai partiti. Recentemente una maleodorante leggina, spudoratamente approvata in fretta e furia  con la sola opposizione dei 5 Stelle e contro la quale ho invano scritto una lettera al Premier, poi  pubblicata nel blog ( “Lettera a Renzi sul finanziamento ai partiti” del 23/09/2015), ha consentito di incassare comunque i finanziamenti, senza aspettare e  rispettare i controlli previsti dalla legge. Dopo tale evento ho pubblicato un altro post al riguardo (“Fare i conti senza l’oste può costar caro” del 23/10/2015). Entrambi i documenti sono leggibili cliccando, all’interno del blog, sui mesi di settembre e ottobre segnalati nella colonna di destra della pagina web.
Questo stato di cose è ben presente ai cittadinii ed anche alle forze politiche e qualche voce comincia a farsi sentire per superare il solo voto di protesta o l’astensione.
Recentemente si sono tenute a Milano due conferenze con dibattito: una presso l’Associazione “Le Forme della politica” (www.leformedellapolitca.it  ) e l’altra presso la Casa della Cultura (www.casadellacultura.it  ). Nella prima il dibattito è stato introdotto da un intervento del Prof. Giuseppe Polistena, Preside dell’Istituto Manzoni, ispiratore e cofondatore dell’associazione; nel secondo dal Prof. Luigi Ferraioli, Professore emerito di Filosofia del Diritto all’Università Roma 3.
In entrambi i casi è stato messo in evidenza che il problema maggiore delle “democrazie” attuali è dato dall’occupazione che i partiti hanno fatto non solo delle istituzioni ma anche di gran parte degli enti e società che alle stesse riportano, con ciò creando un gigantesco apparato politico-burocratico senza alcun controllo, del tutto autoreferenziale e portato ad espandersi senza limiti.
Per porre rimedio a tale problema è stato suggerito, in entrambi gli eventi, di separare per legge le due entità, evitando soprattutto il cumulo delle cariche: chi viene designato a ricoprire un incarico pubblico dovrebbe dimettersi da eventuali cariche direttive in un partito. Il fatto che nel nostro Paese, ma anche altrove,  il capo di un Partito sia anche Capo del Governo è un’anomalia da correggere (ma la questione esiste anche per molti altri detentori di cariche pubbliche ) e dimostra che il problema accomuna tutti o quasi i paesi occidentali. Di questa soluzione si era parlato anche in un convegno romano del maggio scorso, alla Fondazione Lelio Basso, dal titolo emblematico “Separare i partiti dallo Stato”, introdotto dal Prof. Ferraioli.
 Si è segnalata, inoltre, nella prima conferenza,  la necessità di portare il partito al suo ruolo fisiologico  di “ente intermedio” fra società civile e Stato, che canalizza le istanze della prima verso il secondo e seleziona la classe dirigente da proporre a cariche pubbliche. E’ stato inoltre evidenziata la necessità di limiti temporali ai mandati pubblici, elettivi e non.
Nella seconda conferenza si è proposto di dare attuazione all’art.49 della Costituzione, il quale  prevede che i partiti siano organizzati democraticamente. Dato che la totale autonomia di queste associazioni ha portato ad una pericolosa deriva, è ritenuta necessaria “l’eteronomia della legge” per regolare gli statuti e i criteri di funzionamento dei partiti. 
Un tentativo in questo senso va certamente fatto anche se l’iniziativa , presa 70 anni dopo il dettato costituzionale, appare tardiv a causa dello svuotamento intervenuto nella militanza politica, ma credo che si debba  cominciare a pensare anche ad alternative che innovino il modo di fare politica. Lancio al riguardo una provocazione che potrebbe diventare una realtà se le forze in campo non accetteranno di autoriformarsi: si potrebbe  creare anziché altri Partiti,  per definizione espressione di una sola parte, una nuova forma politica  che chiamerei gli Uniti,  espressione del tutto,  cioè organismi costituiti da persone di vario orientamento,  interessati   a sviluppare una visione complessiva della società e quindi a  cercare il bene comune attraverso un confronto dialettico e costruttivo,  e non a far vincere una parte sulle altre. E’ una sfida che potrebbe essere lanciata se il sistema politico continuasse a restare prigioniero della sua logica castale ed autoreferenziale. I nuovi soggetti potrebbero elaborare diverse e concorrenti strategie per lo sviluppo del Paese e il rilancio della sua capacità competitiva in campo culturale ed economico.
In un recente articolo su “La Repubblica” il sociologo Ilvo Diamanti ha scritto, in merito agli auspici per il 2016: “ Nell’anno che verrà mi piace immaginare il ritorno – l’arrivo? – di soggetti politici capaci di aggregare i sentimenti e non solo i risentimenti”. Forse è l’ora di aggregazioni che mirino a valorizzare il sentimento del bene comune.
Va detto che, appartenendo la sovranità al popolo (e neppure i partiti, pur negandolo nei fatti. si azzarderebbero a dirsi contrari a questo principio) non c’è alcun bisogno di nuove leggi e tantomeno di modifiche costituzionali per dar vita alla nuova forma politica, ma basterebbe che i cittadini ( individui e associazioni) si riunissero e cominciassero ad agire per controllare ciò che viene fatto nei partiti e nelle Istituzioni, magari organizzando autonomamente il sorteggio di “commissioni civiche”, tali da stimolare la partecipazione di più ampi strati della popolazione.
Sollecito i lettori che sono interessati a discutere di  questa prospettiva, ad esprimersi e a dare suggerimenti su come  eventualmente procedere.

13 commenti:

Dario Lodi ha detto...

Mi trovi d’accordo, soprattutto sulle commissioni civiche. Per ora noi comuni mortali non possiamo, ragionevolmente, che – ben rimboccate le maniche – controllare ciò che fanno i partiti e i governi. Tutti, ma proprio tutti, devono poter dire la loro: solo così l’umanità può crescere, togliendosi da tutele interne che tali in realtà non sono. Mi permetto di dire spesso a Travaglio: fai bene a denunciare le malefatte,fai male a non promuovere un cambiamento. Tale promozione può, per ora, essere anche solo nelle parole, nel senso di far capire la necessità non di dire coraggiosamente che quello è un ladro, ma di sostenere che così non si può andare avanti. Caro Roberto, sai meglio di me che la situazione è molto compromessa dal cosiddetto liberalismo moderno, per cui il capitalismo finanziario può fare quello che vuole in barba a solidarietà e progresso, ma una coscienza civile (e culturale) potrebbe contrastarlo inaugurando una graduale crescita morale ancorata a principi forti e vantaggiosi per tutti, persino per i capitalisti (che, non va dimenticato, tengono insieme un sistema che la storia ha indicato come il minore dei mali perché non statico, cioè può migliorare se gli attori si mettono in testa di recitare bene la propria parte e ambire alla regia). In fin dei conti, come dici bene, il problema non è A contro B, il problema è saper usare a dovere l’intero alfabeto. Chi ha le idee più chiare deve mettersi al servizio degli altri, non profittarne. Del resto, la famosa grazia divina – agostiniana - prevede che chi la possiede la deve distribuire a tutti. Conta ovviamente la sostanza più dell’apparenza, cioè non fare per ricevere applausi, ma fare per sentirsi bene con se stessi. Sentirsi nel giusto. In definitiva, opterei, come primo passo – un passo arduo, complicato, per il quale occorre tanta pazienza e disponibilità – per le commissioni civiche che proponi.



Vorrei concludere così: le questioni sociali che ci angustiano sono frutto di secoli di storia e di qualche equivoco romantico. La democrazia ateniese, ad esempio, era una democrazia di censo, non era generale. Governare, specie in un mondo complicato come quello attuale, non è cosa per tutti, ma tutti possono – e devono – concorrere a renderlo migliore (è la rivoluzione permanente di Trotskij, pensiero ben superiore a quello di Lenin e di Stalin). La democrazia è un’arma potentissima, la vera democrazia, che da sempre giace lì, inerte. Con buonsenso, umiltà e impegno (meno parole e più fatti) metterla in azione sarebbe un atto rivoluzionario, come in parte ipotizzo nel mio ultimo libro UMANESIMO E NUOVO UMANESIMO ed. Elison (è disponibile in e-book: purtroppo mi hanno rubato i file e non posso inviarti la brutta copia, comunque mi hai capito lo stesso).



Grazie, a presto. Ciao,


Dario



roberto ha detto...

Caro Dario,
mi fa piacere che tu concordi con l’ipotesi delle commissioni civiche che sono un concreto passo per aprire spazi di vera democrazia e un modo per uscire dalla pura lamentazione su ciò che non va. E’ necessario dare a tutti la possibilità di esprimersi sui temi per ciascuno rilevanti ; al riguardo ritengo indispensabile che la partecipazione sia sempre volontaria anche se magari stimolata dall’invito ufficiale dell’Istituzione che lancia l’iniziativa, come fatto in esperienze estere. In certi casi, però, l’accertamento di alcuni requisiti di base può rendersi necessario, non per selezionare “i migliori”, ma per garantire l’effettiva possibilità dei sorteggiati di contribuire fruttuosamente.
Continueremo a svolgere una costante azione di sensibilizzazione sia verso i cittadini che verso le forze politiche e le istituzioni affinché queste iniziative si avviino e diano risultati interessanti , perché, nell’ottica del bene comune, vi è un’oggettiva convergenza d’interessi a uscire dalla situazione di stallo attuale in cui i cittadini si lamentano della loro impotenza, i politici pagano il prezzo dello scarso consenso di cui godono, le Istituzioni si dibattono nell’inefficienza e nella difficoltà a risolvere i problemi pressanti di cui sono investite.
Devo dissentire su Atene, la cui democrazia, a differenza di quella veneziana e fiorentina, non era legata al censo in quanto tutti i cittadini (esclusi i minori, le donne, gli schiavi e gli stranieri) facevano parte dell’Ecclesia e si potevao candidare al sorteggio per tutte le cariche pubbliche, con l’eccezione di alcuni incarichi apicali (strateghi militari, tesorieri, ecc.)
Grazie della segnalazione del libro, cui auguro successo.
Ancora buon anno e un cordiale saluto.
Roberto

Unknown ha detto...

Caro Roberto,
apprezzo moltissimo la tua proposta provocatoria, che si merita ben maggiore approfodimento di quello che può essere effettuato rispondendo sul blog. La tua proposta è opportuna e tempestiva perché interpreta le molte istanze di rinnovamento che da tempo e da molte parti si levano e quindi certamente va approfondita e rilanciata.
Per esporre alcuni sintetici commenti dirò:

1) certamente il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto, e quindi il potere va arginato

2) oggi la nostra è una democrazia di massa (dal voto universale in poi) e questo modifica un po' le cose dai tempi (Atene e Venezia) della democrazia elitaria

3) oggi le tecnologie e l'evoluzione del costume consentono forme partecipative impensabili fino a 10 anni fa

4) certamente la "voce dei cittadini" deve trovare il suo spazio organico di sviluppo, di mediazione e di ascolto

5) è importantissmo ricomporre le lacerazioni che l'eccesso di particolarismo ha prodotto in Italia ed ora sta producendo in Europa; la tua citazione "aggregare i sentimenti e non solo i risentimenti" è stupenda

6) esistono delle metodologie consolidate per comporre gli interessi contrastanti di diversi soggetti. Occorrerebbe applicarle a tutte le sedi di dibattito per comporre populismi, paure, visioni, conoscenza, razionaltà, efficienza, efficacia

Approfittiamo delle prossime elezioni a Milano per avanzare proposte ai candidati!

Edvige Cambiaghi ha detto...

molto molto interessante ciò che scrivi: perché non lo porti anche dentro il M5S?
Buon Anno!
eddi

roberto ha detto...

Rispondo a Giorgio:

Prendo il via da alcuni dei tuoi punti per chiarire meglio certi aspetti:

- la democrazia di massa apre la partecipazione elettorale a tutte le categorie sociali ma, purtroppo, non modofica la sostanza del carattere elitario delle elezioni, in cui l'oligarchia eletta si appropria inevitabilmente di tutto il potere e lo esercita spesso contro il popolo e a suo vantaggio

- le tecnologie offrono effettivamente opportunità di partecipazione enormi ma anche rischi elevati se usate in modo demenziale come spesso si verifica in rete, dove lo scambio che avviene è talvolta il peggio del peggio. Bisogna comunque esplorare meglio questa dimensione e mi piacerebbe parlarne con te di persona

- è importante anche sviluppare le metodologie di composizione dei confritti per evitare il triste spettacolo dell'insulto sistematico che spesso caratterizza il dibattito politico e l'incomcludenza delle discussioni


Certammente approfitteremo dei previsti incontri con i candidati a Sindaco di Milano per formulare proposte per lo sviluppo della democrazia e su altri temi rilevanti.


roberto ha detto...

Rispondo a Edvige

come ho scritto nel commento precedente, inviteremo i candidati a Sindaco a confronti separati nella sede dell'associazione "Le Forme della Politica", in cui si solleveranno anche i temi trattati nel post. Il primo candidato interpellato , di cui stiamo verificando la disponibiltà, è Passera di Italia Unica , poi seguirà Bedori di M5S e gli altri, via via che saranno ufficializzati.
Gli incontri saranno aperti a tutti gli interessati; mi farbbe piacere la tua presenza.
Ciao.
Roberto

Anna Mario Bianchi ha detto...

Caro Roberto, ho trovato molto interessante il tuo articolo anche perché, se riesci a seguire quello che stiamo facendo, rispecchia il lavoro che stiamo portando avanti con Carteinregola e il gruppo di lavoro "laboratorio per una politica trasparente e democratica" che abbiamo fondato mesi fa insieme a simpatizzanti e consiglieri municipali di diversi partiti e schieramenti.
Quanto al lavoro sulla trasparenza, che anche se fatichiamo a trattare come si converrebbe e facendo rete come era nelle intenzioni, sottende tutto il nostro lavoro, vorremmo farlo diventare l'argomento per un convegno da promuovere in primavera. Potremmo tentare di lavorare insieme, anche con il gruppo con cui ci siamo incontrati nel maggio (?) scorso

Auguri di buon anno e buon lavoro
Anna

roberto ha detto...

Cara Anna,
mi fa molto piacere sentirti ed avere belle notizie sulle iniziative che state portando avanti e di cui leggerò sul sito gli sviluppi.
Mi interessano ovviamente le potenziali sinergie fra le nostre attività e sono pienamente disponibile a lavorare insieme, anche col gruppo che si è ritrovato a Roma il 12.05.2015.Ritengo utile proporre questa ipotesi anche all'Associazione "Le Forme della politica", di cui faccio parte, con la quale sto portando avanti il Progetto Trasparenza con un prossimo invito ai candidati a Sindaco di Milano, per un confronto sul tema e sulla loro disponibilità ad inserirlo nei loro programmi.
Contraccambio di cuore gli auguri e a presto.

Roberto

Elena Passerini ha detto...

Grazie, interessante sintesi ma non sono d'accordo rispetto all'idea degli "Uniti" che potrebbero sostituire i "Partiti".
Ben vero che FdP (n.d.r: associazione "Le Forme della politica") è un esempio concreto e attuato di "Uniti". (Ma lo è proprio perchè non partecipa a competizioni elettorali. E perchè agisce dentro le 4 mura di una scuola).
Proporre di sostituire i Partiti di parte con un ipotetico "Uniti" di "bravi futuri onesti governanti" è invece una prospettiva che mi vede in totale disaccordo.
Mai e poi mai. La democraticità e anche la fattibilità pratica degli enti intermedi risiede esattamente e precisamente nella loro pluralità. Non ha senso pensare a un "ente intermedio unico", benchè la pluralità dei partiti di per sè sia insufficiente a fare di essi dei veri enti intermedi.
(A volte Pino ha scritto nelle bozze "ente intermedio" al singolare, ma secondo me intendeva qualcosa come "spazio intermedio". Poi Pino spiega chiaramente perchè gli enti intermedi non possono essere un "partito" unico, (sarebbe come disegnare un quadrato rotondo, blu, ma disegnato con una matita gialla).
(come erano partiti unici quello fascista o stalinista, infatti non erano affatto enti intermedi. Anzi erano l'abolizione pratica di ogni spazio intermedio)
L'idea che esista qualcuno (persona o gruppo) che potrebbe sapere cos'è il "bene comune" senza il contributo degli "altri" è proprio una delle più tipiche radici di moltissimi guai.
E' un modo di pensare monolinguistico e anche "monoteista" nel senso non religioso ma invece politico della parola.
I partiti devono essere di parte e devono dire da che parte stanno in modo chiaro e onesto.
Stare dalla parte del "bene comune" è sempre una falsità, una bugia, perchè nessuno (a meno che non sia dio in persona, in quel caso però gli mancherebbe il certificato elettorale) può concretamente stare nel bene comune che è un'idea astratta che viene costruita dal gioco plurale delle "verità soggettive" diverse che sono, quelle si, "uniche", cioè l'unica cosa concreta da cui partire (cioè gli individui, le persone concrete con tutti i loro limiti, parzialità, errori).
Dunque piuttosto bisognerebbe pretendere dai partiti che dicessero e dimostrassero da che parte stanno, in realtà. (P2 inclusa)
(ad esempio da dove vengono i soldi. Notizie recenti dagli USA parlano chiaro sull' "impotenza" dell'uomo più potente della Terra, quando i venditori di armi hanno comprato un bel numero di "rappresentanti dei cittadini". Vietarlo? Impossibile.
Ma farlo sapere, dire la verità, invece sì che è possibile, con nomi, cognomi e cifre dei soldi che girano)

Buon anno a tutti!
Elena

roberto ha detto...

Cara Elena,

molte grazie a te per il sentito e articolato contributo che mi dà il modo di chiarire il mio pensiero. Sono pienamente d'accordo con te sulla necessità del pluralismo e sul rischio inaccettabile di un "ente intermedio unico" che fra l'altro produrrebbe sgradevoli assonanze col il triste partito unico di fascista memoria.
Quello che immagino è che il pluralismo si riproduca all'interno di ciascun Unito (come, lo hai giustamente detto, avviene in FDP) in modo che persone di varia provenienza politica e diverse posizioni, invece di continuare a scornarsi solo per dire l'opposto di quanto sostenuto da altri (logica del "Io vinco - tu perdi"), ragionino e si confrontino con la massima trasparenza in base ai loro diversi valori e interessi (come pure avviene in FDP), ma com l'obiettivo di fare sintesi e trovare soluzioni frutto di una ragionevole mediazione (logica del "vinciamo insieme").
Gli Uniti, che dovrebbero essere molti come i Partiti attuali, si presenterebbero con diverse soluzioni al giudizio degli elettori e rimarrebbero un ente intermedio fra società ed istituzioni.
Il vantaggio rispetto alla situazione attuale è che si abituerebbero i militanti e i cittadini a ragionare, partendo legittimamente da posizioni anche opposte, in termini di fattibilità ( la politica è l'arte del possibile) e di conseguimento degli interessi collettivi ( la politica è la ricerca del bene coune).

Naturalmente, trattandosi di una provocazione, può giustamente suscitare perplessità, ma credo che valga la pena approfondirla anche perchè c'è un dato di fatto inequivocabile: ci sono sempre più persone, anchre fra di noi, che si sono stancate delle posizioni partigiane " a prescindere" e hanno difficoltà a riconoscersi in partiti che sempre di più sembrano delle caricature di se stessi.

Roberto

Elena Passerini ha detto...

Allora gli Uniti in pratica sarebbero praticamente ambiti di progetto? Percorsi per condividere largamente a proposito di qualche cosa di abbastanza determinato, per trovare risposte fattibili a problemi comuni abbastanza precisamente identificati?
A me viene sempre in mente il lavoro di Marianella Sclavi, cioè progettare frammenti di città in modo effettivamente partecipato
( vedi il libro: Confronto Creativo: dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati - di Marianella Sclavi e Lawrence E. Susskind)

roberto ha detto...



Inizialmente sì.

Io penso. al riguardo, che i partecipanti dovrebbero confrontarsi su ambiti delimitati, magari a livello locale, vedendo su cosa riescono a trovare una ragionevole mediazione, che non sia però un accordo al ribasso. Su questi punti di consenso traversale dovrebbero poi confrontarsi con le forze politiche tradizionali di cui possono anche continuare a far parte, se queste li lasciano cercare un confronto serio e aperto nella società civile, in libertà di coscienza.
Su questo punto si potrà iniziare a misurare il grado di apertura dei diversi partiti verso il cambiamento nelle modalità di organizzare il consenso, che è ormai un'esigenza urgente e insopprimibile. Il tempo del consenso puramente mediatico a partiti liquidi, su cui contano gli attuali imprenditori politici, è finito.
Gli Uniti non vincolerebbero, comunque, gli aderenti ad una scelta univoca, in quanto, al momento delle elezioni, ciascuno sarà libero. E' probabile che le preferenze cadranno su quei partiti che avranno mostrato maggiore disponibilità verso le soluzioni presentate.


Solo nelcaso in cui gli Unirti non vedessero accolte dai Partiti le soluzioni che hanno ottenuto un consenso trasversale potrebbero valutare la possibilità di partecuipare alla competizione elettorale. Ma per far ciò non basterebbe accumulare consensi su progetti specifici, se questi non riescono ad inquadrarsi in un disegno globale sul futuro della societa. Va ricordato che, nell'ipotesi fatta, gli Uniti hanno un approccio olistico, ciioè guardano all'insieme e non alle singole parti, anche se procedono con gradualità.
Questi sono spunti, ma c'è molto da lavorare e mi piacerebbe che il dibattito si allargasse.

Ti segnalo che ho letto con grande piacere i libro "L'arte di asoltare e mondi possibili" di Marianella Sclavi che ci avevi consigliato tempo fa, consiglio di cui ti sono grato. Leggerò anche quello che hai segnalato ora, che tratta specificamente del tema della democrazia.

Ciao.
Roberto

roberto ha detto...

Precisazione sulla risposta a Edvige:

Ho dimenticato di aggiungere che sono pienamente disponibile ad un confronto con membri del M5S ed ho scritto una mail all'interessata per confermarlo.