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mercoledì 16 novembre 2016

Trump, la globalizzazione e la democrazia



Trump, la globalizzazione e i suoi amici nostrani

di Giorgio Calderaro

Settant'anni di pace hanno prodotto economie nazionali estremamente interconnesse, e l'esistenza di numerosi conflitti locali non ha scalfito la profondità dell'interconnessione. Sono interconnessi i sistemi agricoli, i sistemi industriali, i sistemi finanziari: la Nutella è venduta in tutto il mondo ed usa olio di palma, le automobili sono fatte chissà dove ed utilizzano componenti provenienti da tutto il mondo, il debito pubblico degli stati è comperato da tutti gli altri stati del mondo, ecc. Globalizzazione è appunto questa interconnessione, o meglio la possibilità per chiunque di creare le interconnessioni che preferisce: è possibile comperare la Nutella o il caffé equo e solidale, la Jeep o la Fiat, i BTP italiani o i titoli del debito dello Stato o della Corporate che preferisci.
La globalizzazione ha portato l'ampliamento delle opportunità, l'abbassamento dei prezzi, le concentrazioni, l'aumento dei profitti, la nascita di gruppi economici con giri di affari superiori a quelli degli Stati nazionali, la delocalizzazione per le imprese che producono beni di consumo di massa. Contemporaneamente, ad arginare lo strapotere dei gruppi economici e finanziari, a cura delle istituzioni sovranazionali sono in continuo sviluppo politiche di regolamentazione a tutela dei diritti dei cittadini, ad es. contro i monopoli, per la trasparenza, ecc. Queste politiche debbono essere costantemente monitorate ed incoraggiate da parte della pubblica opinione.
La delocalizzazione ha generato disoccupazione, non riassorbita dalle restanti aziende a maggior valore aggiunto, e quindi ha generato grandi tensioni sociali sfruttate da gruppi politici per guadagnare consensi con slogan del tipo "No globalizzazione", "No immigrazione che ruba il lavoro", "No tecnologia che ruba il lavoro","No import dalla Cina che costringe le nostre fabbriche a chiudere", "Riportiamo a casa le nostre fabbriche".
Questi temi sono comparsi nella campagna elettorale di Trump e sono cari anche ad alcune forze politiche nostrane.
La mia opinione è che la globalizzazione sia un processo macroeconomico irreversibile a cui ci si può sottrarre con politiche protezionistiche, chiudendosi alla finanza e ai commerci internazionali. Neanche gli Stati Uniti però possono farlo, perché sono sì autosufficienti nelle materie prime, ma hanno bisogno dei soldi altrui per finanziare il proprio debito. Tanto meno possiamo farlo noi, che dobbiamo importare persino l'energia elettrica prodotta da centrali nucleari al di là delle Alpi. Le fabbriche che tornassero dovrebbero aumentare i prezzi: generando inflazione, perdendo le quote di mercato estero, pretendendo barriere all'import, escludendo dalla fruizione dei propri beni le parti della popolazione meno abbienti, aumentando la povertà. Un bel risultato! Complimenti a questi Soloni che per conquistare il potere sfruttano il malcontento con la menzogna!
Per quanto riguarda il nostro neo-amico americano, come tanti già stanno commentando, assistiamo ad un film già visto: preso il potere compiacendo alle masse in difficoltà, ricambierà invece i propri finanziatori con ampie deregulation: in materia di fisco, di finanza, di ambiente, di sanità. Intrapenderà delle belle azioni propagandistiche, ma le fabbriche non torneranno: i servizi diminuiranno, le masse in difficoltà staranno peggio, la qualità della vita peggiorerà, le persone del nuovo cerchio magico staranno molto meglio, il mondo si riempirà di prodotti finanziari supertossici e incontrollati.
Queste brevi riflessioni mi portano a ragionare sui "populismi". Dicevamo con disprezzo che il populista guadagna consensi "parlando alla pancia", cioè sfruttando le paure e l'emotività degli ascoltatori. Ora diciamo che i populisti dovrebbero essere presi sul serio perché capiscono i problemi. No, non sono d'accordo: i populisti sfruttano il malcontento e propongono in malafede slogan suggestivi ma irrealizzabili. È la malafede che non sopporto nei populisti.
Tornando ai problemi italiani, la via per riportare il lavoro c’è, e passa per il potenziamento delle nostre imprese globali e per la costituzione di nuove imprese industriali: imprese che prendano il posto di quelle delocalizzate e che producano beni di maggior valore e più attrattivi, sfruttando a proprio vantaggio proprio la globalizzazione – finanza, mercati, tecnologia. Questa via però è più lunga che non quella dell’aizzare le masse e presuppone, oltre che sostegni a chi è in difficoltà, anche politiche di aiuto alle imprese, in base al principio “aiuti in cambio di lavoro (e tasse)”. Qualcuno contesta le politiche aziendaliste, ma sono solo le aziende che creano lavoro e ricchezza per i cittadini e per lo Stato.

Implicazioni per la democrazia
 
Risposta di Roberto Barabino

Caro Giorgio,

condivido gran parte dell'analisi che hai fatto sugli effetti della globalizzazione ma differisco nell'accento dato alle diverse parti.
Tu privilegi gli aspetti positivi di questo fenomeno, in termini di sviluppo globale, creazione di ricchezza, ecc., che certamente esistono, anche se non ti nascondi le criticità riguardanti le diseguaglianze crescenti e le tensioni sociali conseguenti. Ne trai comunque la conclusione che il processo sia irreversibile e che contrastarlo significhi peggiorare le cose.
Io punto di più sulla rilevanza delle criticità e baso la mia valutazione soprattutto sul fatto che, non casualmente, la più violenta reazione alla globalizzazione è venuta dagli elettori delle due più antiche e consolidate democrazie moderne, cioè la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
Condivido le tue osservazioni sui pericoli che possono derivare da uno sfruttamento demagogico delle difficoltà esistenti ma ritengo che quanto si è verificato, soprattutto negli USA, sia un vero e proprio "cambiamento di paradigma" che è stato espresso in modo straordinario da un lettore de La Stampa in una brevissima lettera che dice tutto; la riproduco di seguito insieme ad una mia osservazione (il grassetto è mio); entrambe sono state pubblicate come commento al predente post del mio blog:

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Euna rivoluzione antropologica
La vittoria di Trump è uno schiaffo all’establishment, ai media, all’America puritana, falsa e materialista. E’ la prova che oggi i social sono più forti e attendibili della propaganda di regime, che il popolo ha preso coscienza della condizione di sottomissione in cui versa da decenni. Questa circostanza cambierà l’America e il mondo. Una vera rivoluzione antropologica , un grande vaffa al  Sistema potere.
Qui non è in discussione il fatto  se Donald Trump sia meglio di Hillary Clinton o viceversa. Il dato vero è che il popolo si è ribellato all’establishment e alle pressioni dei media e questo è rivoluzionario.
Gianni Tirelli

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Ho ritenuto opportuno pubblicarla perché e', a mio avviso, eccezionale per incisività,chiarezza e sintesi.
Esprime in poche parole il nocciolo di un cambiamento di straordinaria portata, che va molto al di la dell'elezione del Presidente USA.
Ora i popoli hanno la dimostrazione di poter contare davvero e non vorranno certo limitarsi a farlo in occasioni di questo rilievo, ma anche incidere sulle decisioni politiche che influenzano la loro vita e il loro benessere.
E' perciò urgente studiare e promuovere nuovi strumenti di democrazia diretta.
Roberto Barabino
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Sono consapevole dei rischi contenuti nel programma di Trump;  ma ritengo che una correzione forte della globalizzazione sia indispensabile anche se avrà i suoi costi. Questo fenomeno, così come il processo di sviluppo dell'Unione Europea, è cresciuto troppo in fretta ed è servito soprattutto ai poteri forti ( il capitalismo delle multinazionali globali da una parte e la Germania dall'altro), facendo pagare un prezzo altissimo agli attori ( persone e Stati) più deboli.
Comunque il mio interesse sta soprattutto nel fatto che il popolo americano ha capito di poter ribaltare qualsiasi concentrazione di potere politico o economico. Ciò avrà conseguente storiche e sarà anche positivamente contagioso in altri continenti. Tale capacità indurrà probabilmente Trump ad usare il suo immenso potere più accortamente di quanto oggi sembri possibile, visti i toni della sua campagna elettorale. Stiamo a vedere.
Per quanto riguarda la situazione italiana concordo con te al 100%.
Ciao
.
Roberto

12 commenti:

Unknown ha detto...

Vedremo quale delle due affremazioni si dimostrerà più vera:

- se il popolo, che grazie ai social ha preso coscienza della condizione di sottomissione in cui versa da decenni e ha assegnato la vittoria all'outsider miliardario Trump, vedrà grazie a lui risolti alcuni dei suoi problemi

- o se abbiamo assistito principalmente ad un'abile campagna elettorale condotta anche con i social, campagna che ha portato alla vittoria un gruppo di potere diverso dal precedente.

Solo i fatti ci aiuteranno a capire.

Giorgio

roberto ha detto...


Sono d'accordo con te: solo i fatti ci diranno come va a finire.
Confermo però la mia propensione per la prima ipotesi da due punti di vista:

1 - i primi fatti, cioè le scelte di Trump per il suo Governo, sono in linea con la mia previsione di un uso accorto del potere; non smentiscono l'orientamento nazionalista e protezionista ma segnalano anche significative aperture, come la nomina di una figlia d'immigrati a rapprensentante degli USA all'ONU.

2 - le previsoni si avverano con maggiore probabilità se si lavora per farle accadere. E' quello che sto facendo come moderatore di un Gruppo di Lavoro sul tema della democrazia diretta all'interno dell'associazione "Le forme della politica".
Prossimamente ne parlerò nel blog.

Come si suol dire; "tutto fa".
Ciao.
Roberto

consulente ha detto...

Caro Roberto,
sono convinto che il programma originario di Trump sara''ridimensionato nel momento in cui avverra' la sua ufficiale investitura e non di meno dai condizionamenti che le lobbyes attiveranno nei suoi confronti. Non va dimenticato che buona parte del debito americano e' nelle mani dei cinesi quindi la idea di Trump di porre una tassazione sulle importazioni da quel paese resteranno lettera morta.E' notorio che la globalizzazione abbia impoverito la media borghesia ed un salto di cambiamento potra' manifestati unicamente nel lungo periodo.La comunita' europea avrà' serie difficolta' a mantener i rapporti attuali e lo zar Putin ne godrà' di questa situazione anche in virtù' dei movimenti nati e destinati a crescere nella vecchia Europa orientale.Staremo comunque a vedere i risultati delle elezioni politiche francesi e tedesche, oramai alle porte.
Un caro saluto
Fausto

Franco Puglia ha detto...

I processi storici non sono MAI reversibili, ma hanno SEMPRE un andamento a fasi alterne. La fase della globalizzazione è in procinto di rientrare perchè, come tutti i processi, si è espansa troppo rapidamente. Gli esseri umani hano una capacità di adattamento limitata. Gli Inuit sopravvivono a temperature polari, ma se all'improvviso la temperatura crollasse a quei livelli in Africa, milioni di uomini e di animali, in Africa, morirebbero.
Le economie occidentali non possono reggere il tasso di espansione di questa economia globalizzata che eccede le capacità di governo dei singoli stati.
E' sorto il problema del COME applicare una fiscalità alle grandi imprese multinazionali, che sono residenti OVUNQUE, che diventano soggetti impersonali e sovranazionali, sganciati dalle regole di uno specifico paese perchè sono ovunque.
Non abbiamo strumenti per governare una Nazione Globale.
E non abbiamo neppure esseri umani idonei a popolarla.
Perciò un parziale dietro front è ragionevole. Non cambierà il mondo globalizzato, ma ne rallenterà lo sviluppo, ed è quello che ci vuole, populismo o no.
In ogni cosa serve "misura" ....

Franco Puglia

roberto ha detto...


Rispondo a Fausto:
Sono d'accordo che il programma "roboante" di Trump sarà ridimensionato e lo dimostrano le sue dichiarzioni dopo l'elezione, ma alcuni tratti salienti ( difesa del lavoro americano attraverso un piano di rilancio infrastrutturale e di contenimento dell'import da Paesi a basso costo, minore interventismo in campo internazionale, ecc:) resteranno. Inoltre il miglioramento dei rapporti con la Russia è, per me, un fatto positivo, così come il richiamo agli altri Paesi occidentali ad attrezzrasi per la propria difesa senza delegaretutto agli USA. Ciò potrebbe spingere l'Europa a guardare in faccia la realtà.
Certo, dovrà vedersela con la Cina ed anche col Giappone, detentori di buona parte del debito pubblico americano, ma credo che intavolerà trattative piuttosto stringenti con i suoi interlocutori.
Come dici, le elezioni del prossimo anno saranno importanti per capire l'evoluzione del quadro complessivo.

Un caro saluto.

Roberto

roberto ha detto...

Rispondo a Franco:

Concordo con le tue valutazioni: non si tratta di rinunciare alla globalizzazione, ma di governarla, non lasciando alle multinazionali di fare il bello e il cattivo tempo, L'arroganza di alcune di esse nel difendere la loro scelta di pagare in Irlanda tasse irrisorie dimostra l'urgenza di porre un freno a questa deriva. Le recenti prese di posizione dell'Unione Europea contro alcuni dei maggiori "evasori globali" sono un fatto positivo,in un quadro di generale sbandamento di questa istituzione sovranazionale.
Non credo che sarà Trump a ridimensionare il potere delle multinazionali, in prevalenza targate USA, ma la sua azioni di contenimento della globalizzazione può aiutare.

Roberto

Dario Lodi ha detto...

Caro Roberto, credo ch il problema sia molto complesso. Innanzi tutto, la GLOBALIZZAZIONE. Il fenomeno, come sai, nacque all’indomani della seconda guerra mondiale su iniziativa statunitense perché con la globalizzazione Washington riteneva che non ci sarebbero state più guerre. Ma poi fu abbandonato nelle mani della finanza, delle banche. I governi vararono i vari accordi internazionali, praticamente senza alcun correttivo. E questo per la semplice ragione che i politici sono espressione del sistema maggiore, mentre quello minore ne è alla mercé. Questa, ovviamente, non è una società razionale, bensì tuttora governata dalla forza. I più deboli, tali per varie vicende storiche, non hanno potere e quindi devono subire. Marx parlava di classe operaia. Ma una classe operaia (il quarto stato va inteso come condizione) non può esistere perché non ha nulla da difendere e nulla con cui offendere. Un governo fatto da persone serie dovrebbe capire la situazione e trovare un giusto contrario, pena la crisi di tutto il sistema. Questa crisi non ci sarà grazie al sistema stesso che da sempre sa come portare i correttivi da sè. Ma restiamo a oggi. La globalizzazione, la delocalizzazione sono cose create in realtà dalla finanza che ha trovato il modo di sfruttare il lavoro dei popoli orientali, cosa che ha creato panico in Occidente nella piccola e media borghesia. Giorgio Caldaro ha un bel dire male del populismo, ma a ben vedere esso è l’unico mezzo – discutibile – dei nuovi poveri nei confronti di banche e finanza che li espellono dal mondo del lavoro in quanto cari. Tutto si riduce a poca cosa, nel senso che da una parte abbiamo chi guida il treno, da un’altra uno che fa i controllore e, se bravo, ottiene ogni tanto un rallentamento, dall’altra dei vagoni pieni zeppi di poveracci ai quali si cerca di togliere anche l’ultimo pezzo di pane. I concettoni, i paroloni, non servono. Serve un po’ di buonsenso. Oggi tocca ammettere che ha vinto il capitalismo e che è con il capitalismo che si devono fare i conti (Trump compreso). La politica va in funzione delle decisioni economiche, da rapina , della finanza, secondo i suoi esclusivi interessi. Nel corso della fondazione di un mercato aperto, gli americani pensavano alla creazione di un benessere globale. Nella realtà il benessere sta solo da una parte. Il buonsenso accennato dovrebbe essere usato da buoni politici per intavolare trattative con la finanza. Meno avidità e più lungimiranza. Se strozzo l’Occidente, dove i consumi sono sicuri ed esiste il welfare, andrò a perdere la maggior parte dei miei guadagni. Non è una questione sciovinistica, tutt’altro. E’ una questione pratica. Allora, io a questi consumatori devo dare il modo di consumare, devo dare loro un minimo di certezza. Ho scippato il loro lavoro, il loro stipendio, la loro sopravvivenza, quindi almeno la terza gliela devo garantire, altrimenti questi non consumano più e il mio castello di carte crolla miseramente. In questo momento, andrebbero bene lavori di pubblica utilità (c’è molto da fare, ad esempio in questa Italia che cade a pezzi) e una base garantita se non ho lavoro. Infine, è ridicolo pensare che il welfare sia una spesa, il welfare è una risorsa enorme, specialmente perché le aspettative di vita aumentano (fenomeno che fa aumentare le malattie). Tutto ciò potrebbe fare pensare a un mondo orwelliano, ma non c’è al momento un’alternativa. Ultima nota su Trump: neppure la potente America può fare ciò che vuole (certo, più di noi) in quanto prigioniera, prima prigioniera, del sistema che la caratterizza, un sistema che è stato esportato e che ora parla solo un linguaggio internazionale. Ergo le casse nazionali sono estremamente condizionate dalle transazioni decise a monte, da questa entità misteriosa, ma mica tanto, che si chiama finanza. Essendo condizionate, impediscono, di fatto, un’economia propria perché ogni stato ha in pancia titoli di altri stati. E’ questa la vera globalizzazione. Essa va corretta dall’interno, non lo si può fare dall’esterno.



Ciao, Dario

roberto ha detto...


Caro Dario,

ho molto apprezzato la tua articolata ed intensa riflessione che tocca i nodi di fondo che stanno alla base della “rivolta elettorale” che si e è verificata in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e che vedrà certamente altri focolai in Europa nel prossimo anno in occasione delle elezioni politiche in vari Paesi.

Come tu giustamente dici i poteri finanziari sovrastano quelli politici e sono riusciti ad imporre, per i loro profitti, un impoverimento dell’Occidente e uno sfruttamento del’Oriente , ma così facendo hanno non solo alimentato una rabbia diffusa , ma anche messo in moto un meccanismo perverso per cui, venendo meno accettabili, anche se ridimensionati, livelli di reddito in occidente vengono a ridursi significativamente i consumi che sono il motore di ogni società capitalistica. Da ciò deriva la stagnazione che incombe sull’economia mondiale.

Tu dici che la correzione del sistema va fatta dall’interno e non può essere fatta dall’esterno: se ben capisco, ciò significa che la politica dovrebbe riprendere il controllo dell’economia e della finanza, ma dove può trovare la forza di farla se non nella spinta popolare?

Il tremendo “vaffa” che l’elettorato americano ha indirizzato all’establishment, eleggendo Trump, è un chiaro messaggio su cosa vuole il popolo americano. Sia detto per inciso, la vulgata corrente secondo cui gli elettori di Trump sarebbero gli “sfigati” (i poveri, i poco istruiti), è un’altra bufala messa in giro per cercare di screditare il risultato elettorale: ne è prova il fatto che il reddito medio degli elettori di Trump è più alto di quello dei democratici e che la percentuale di laureati è simile a quella della parte opposta.

Il problema è che Trump ha indicato, fra i suoi obiettivi, una liberalizzazione dei mercati finanziari attraverso la revisione della Legge Dodd-Frank creata, dopo la scandalo Lehman Brothers che ha dato il via alla crisi partita nel 2008, per imbrigliare la speculazione finanziaria. Se procede in questa direzione non solo non risolverà il problema che tu hai segnalato ma incorrerà nelle ire dei suoi elettori.

Ciao.

Roberto

Dario ha detto...

Sì, la politica deve riprendere il suo ruolo, che non è di comando, ma di mediazione fra le parti. Esatte le tue osservazioni su Trump. Inoltre, è indispensabile una rapida maturazione della base e vanno sollecitati i media culturali con coscienza. Troppi intellettuali sono legati al carro di turno. Infine, come accennavo, il cambiamento deve avvenire dall'interno, convincendo la finanza che sta battendo una strada sbagliata. Se non ci sono correttivi intelligenti e condivisi, l'individualismo cieco ha la prevalenza. Ma cerchiamo di renderci conto che il tempo dell'uomo di Neanderthal è finito!

Ciao, Dario

roberto ha detto...

Sul Corriere di ieri ( che ho letto questa mattina) c'è una notizia interessante xhe cti alla lettera:

" Il think tank dell'Aspen Institute si interroga sulle conseguenze dell'elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. In un incontro che si è tenuto ieri a Milano...il Presidente dell'Aspen Institute Italia Giukio Tremonti...citando il Presidente uscente Barack Obama secondo cui l'elezione di Trump non è la fine del mondo, ha enfatizzato la discontinuità con il passato "E' vero, ma se non è la fine del mondo è certamente la fine di un mondo". Si tratterebbe, in altri termini, derlla conclusione di un ciclo durato 25 anni e caratterizzato dal predominio della finanza e della globalizzazione nelle scelte della politica e dell'economia".

Questa dichiarazione indica che forse la "correzione dall'interno" che tu hai auspicato, è già cominciata.
Speriamo.

Roberto

Mario ha detto...

Caro Roberto,



ho particolarmente apprezzato il post di Calderaro.



Ne condivido in pieno la visione e sono convinto che a distanza di qualche anno dovremo pagare le conseguenze di una nuova, paventata deregulation (né più né meno di quello che accadde con Regan).



Un saluto cordiale.



Mario

roberto ha detto...


Caro Mario,

anch'io paventavo un'eccessiva deregulation, soprattutto in campo finanziario, che avrebbe aggravato i problemi innescati dalla crisi del 2008, ma poi ho letto la dichiarazione di Tremonti, quale Presidente dell'Aspen Institute Italia, e pare che le cose siano destinate ad andare diversamente, come riportato nella mia risposta al commento che precede il tuo.

Un cordiale saluto.

Roberto