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martedì 16 maggio 2017

Come salvare il parlamento



“La democrazia rappresentativa deve accogliere in grembo un po’ di
fantasia costituzionale"
di MICHELE AINIS

I PARTITI sono dipartiti, amen. Ultimi certificati di morte: l'elezione
di Trump, nonostante l'ostilità dell'establishment repubblicano; e su
quest'altra sponda dell'oceano Macron (che ha sbaragliato i partiti
storici francesi con una start up nata un anno fa) o i 5 Stelle (il non
partito primo in tutti i sondaggi italiani). Benvenuti al funerale,
quindi. E dopo?

Dopo rischiamo d'assistere alle esequie dei Parlamenti. Giacché sta di
fatto che la fortuna delle assemblee legislative coincide con quella dei
partiti politici, il cui battesimo fu celebrato per l'appunto in
Inghilterra, con il Reform Act del 1832. In origine, partiti di
notabili; poi partiti di massa, con l'introduzione del suffragio
universale; infine partiti personali, dove il faccione del leader
tracima in tv. Ma in ogni caso l'astro dei partiti illumina uno
specifico modello di democrazia, quella rappresentativa; e infatti la
loro disgrazia adesso si riflette sulla crisi che ovunque colpisce i
Parlamenti. Tanto che negli Usa il politologo Benjamin Barber suggeriva
di rimpiazzarli con un congresso di sindaci, più o meno come proponeva
Renzi nella prima bozza del nuovo Senato.

Tuttavia non è detto che si debba chiudere baracca. La democrazia
parlamentare può ancora navigare fra i marosi del terzo millennio. Ma a
patto d'imbastardirsi, di contaminarsi con elementi di democrazia
diretta, d'accogliere in grembo un po' di fantasia (o d'eresia)
costituzionale. Ecco cinque suggestioni.

Primo: più forza al referendum. La nostra Carta menziona solo quello
abrogativo, oltretutto tarpandogli le ali con il quorum di validità. E
allora fuori il quorum, dentro il referendum propositivo, già previsto
dalla Costituzione di Weimar del 1919. Dentro altresì l'iniziativa
legislativa popolare vincolante, le consultazioni obbligatorie sulle
grandi opere pubbliche (il modello è la legge Barnier, vigente in
Francia dal 1995), varie forme di democrazia digitale, interpellando i
cittadini attraverso il web. Insomma, sulle scelte pubbliche il dominio
del Parlamento deve trasformarsi in condominio.

Secondo: il peso del non voto. È pari a zero, anche se ormai un elettore
su due diserta le urne. Eppure nessuna assemblea legislativa può
deliberare quando manchi il numero legale, quando cioè sia assente la
metà più uno dei suoi membri. Eppure un Parlamento non votato è un
Parlamento delegittimato. Rimedi: va a votare il 50% degli elettori?
Dimezzo gli eletti, e al contempo ne riduco i poteri, per esempio
vietandogli la revisione costituzionale. Dopotutto nella repubblica di
Weimar scattava un seggio ogni 60 mila voti, sicché i parlamentari erano
in numero variabile. Idem in Austria nel 1970. A ripetere
quell'esperienza adesso, otterremmo quantomeno un risparmio di poltrone.

Terzo: due mandati e basta. Regola che in Italia vale per i sindaci o
per i presidenti di regione, sulla scia del divieto introdotto dagli
americani nel 1951, dopo la quarta elezione d'un uomo che pure si
chiamava Roosevelt. La regola, insomma, colpisce chi riveste ruoli di
governo, non i parlamentari. Giusto? No, sbagliato. Anche perché
altrimenti la politica resterà il mestiere di chi non ha mestiere, come
denunziò Max Weber ( La politica come professione, 1919).

Quarto: il recall. Ossia la revoca degli eletti immeritevoli, attraverso
un referendum personale indetto in corso di mandato. Funziona così in
Svizzera dal 1846, negli Stati Uniti dal 1903, nonché in varie altre
contrade. Ne avremmo urgenza anche in Italia, dove puoi assentarti dai
lavori parlamentari per un anno senza rischiare sanzioni. E dove i cambi
di casacca, dall'inizio della legislatura, toccano quota 469, un record.
Ma quando c'è potere, lì dev'esserci responsabilità. Alle nostre
latitudini c'è viceversa impunità.

Quinto: il sorteggio. Sì, l'estrazione a sorte d'una pattuglia di
parlamentari, per formare un cuscinetto tra maggioranza e opposizione.
Come mostra uno studio condotto utilizzando modelli matematici e
simulazioni al computer (Democrazia a sorte, 2012), ne guadagnerebbe la
credibilità del Parlamento, oltre che il suo tasso d'efficienza.
D'altronde la sorte - diceva
Montesquieu - è al servizio del principio d'eguaglianza, lasciando a
ciascuno "una ragionevole speranza di servire la Patria". Dice: ma così
rischieremmo d'inviare in Parlamento gli incapaci. E perché, ora sono
tutti capaci?

5 commenti:

Dario Lodi ha detto...

Grazie. Il tuo impegno è più che lodevole.

Non male il programma di Ainis. Quando però si imbastiscono certe cose, bisognerebbe poter uscire dall’ideale, rendere la strada praticabile. Come si può giungere a qualcosa di meno orribile della politica moderna? Dove ci sono le leve per farlo, a parte uno sparuto gruppo di brave persone, importanti ma inevitabilmente a se stanti. Il sistema è un moloch al quale i rimproveri e le proposte di cambiamento fanno il solletico. Manca una classe intellettuale, intortata direttamente o indirettamente dal sistema, e in fondo contenta così, capace di opporsi al tran-tran. Se le cose cambiassero veramente in senso democratico e meritocratico quanti Ainis lo accetterebbero sapendo di rischiare stipendio e privilegi? Noi viviamo in un paese dove vige la legge dei vasi comunicanti, con la brocca, pesantissima, sulle spalle dei soliti peones, i soli a non credere più alle favole e rassegnati a fare da cavia intellettuale a fini teorici in omaggio alla dignità democratica. Ben vengano proposte nuove, ma chiediamoci prima di tutto chi le vuole veramente, quali sono le basi serie da cui partire, chiacchiere a parte. Oppure come costruirle con senso di responsabilità piena, coraggiosa e orgogliosa di essere una costruzione umana veramente di valore?

Ad maiora,

Dario

roberto ha detto...

Caro Dario,

il sistema è un moloch, ma dai piedi d'argilla come dice anche Ainis: i partiti non ci sono più, né in Europa, ne in America. Per il momento suppliscono singoli leader che hanno saputo uscire dalle spire di un sistema agonizzante e fare una proposta di cambiamento (vedi Trump e Macron, ad esempio). Ma quei leader nazionali, per quanto potenti, devono vedersela con poteri economici sovranazionali ben più forti di loro.
Potranno quindi mantenere le promesse? In caso negativo il sistema potrebbe implodere rapidamente, anche attraverso moti di piazza.
Siamo in uno di quei momenti storici in cui, come asserisce la teoria della complessità, potrebbe verificarsi il cosiddetto "effetto farfalla", ben espresso dalla seguente frase: "basta un battito d'ali di una farfalla nella foresta amazzonica per produrre un ciclone nel Texas", cioè basta un piccolo evento in un angolo remoto del pianeta per mettere in crisi l'intero sistema.
E' questo il motivo per cui gi osservatori attenti ed anche i "sensori" del sistema stanno ascoltando per cogliere i segnali del ciclone in arrivo.
Consiglio a te e a tutti i lettori del blog di leggere cosa scrive Klaus Schwab, organizzatore del World Economic Forum di Davos nel suo recentissimo libro: "La quarta rivoluzione industriale", Franco Angeli, 2016.
La situazione nel nostro Paese è, come emerge anche dalle tue considerazioni, particolarmente pesante perchè il sistema è bloccato. Nessuno ha la bacchetta magica ma ci sono gruppi, come quello di "Le Forme della Politica" che fanno proposte che potrebbero sbloccarlo. Come ben diceva l'antropologa Margaret Mead ( da me già citata nel blog): " Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e impegnati possano cambiare il mondo. In verità è l'unica cosa che è sempre accaduta".
Se ci sono altre proposte, ben vengano. Ognuno fa la sua parte.

Ciao.

Roberto

Dario ha detto...

Ognuno deve fare la sua parte, hai pienamente ragione. Ma mancano i riferimenti. Come dici, il mondo è dominato dalla finanza, dai soldi. Ecco il motivo numero uno della crisi politica. La finanza ha in mano le redini del mondo. Siamo andati molto oltre le umane aspettative di democrazia e meritocrazia. Il sistema nelle cosiddette economie avanzate è come una piramide. La base regge l'altezza e non ha voce in capitolo, perché non ha armi efficaci. 1984 Orwell, ecco l'incubo. Quindi, hai ragione sul non subire passivamente, ma rendiamoci conto con cosa abbiamo a che fare. A bocce ferme, mi sembra troppo rosea lo svolazzare della farfalla con quel che segue. Purtroppo è facile schiacciarla. Mi rifaccio a Masaniello. Come creare armi efficaci? Gira intorno a questa domanda il senso di ribellione a questo odioso, falso, liberalismo, oggi impunibile. Ciao, Dario

roberto ha detto...


Tu sai che io sono tendenzialmente ottimista e non allarmista.
Tuttavia, a ben vedere, la sfida che ci aspetta va oltre Orwell: in futuro non sarà più il potere politico a dominare, come in passato, e nepure quello economico-finanziario come avviene oggi, ma la tecnica, cioè l'evoluzione rapidissima delle applicazioni pratiche derivanti dalle scoperte scientifiche, che muterà il mondo in tempi e modi sconosciuti in passato. Di questo parla Schwab nel suo libro ma ne ha parlato ben prima di lui con grande acutezza il filosofo Emanuele Severino.
Economia e scienza, come l'appredista stregone, hanno messo in moto un meccanismo che potrebbe sfuggire loro di mano. Non a caso il grande astrofisico inglese Steven Hawkins ha indicato nell'intelligenza artificiale la più grande minaccia per l'umanità.
Di fronte ad una prospettiva di questo genere i popoli devono tenere direttamente le redini del potere e, in qualche modo, stanno già dimostrando di farlo, spiazzando completamente, con le loro scelte elettorali totalmente impreviste, l'ordine costituito e i riti della vecchia politica. Bisogna fare ogni cosa per alimentare un uso intelligente della fluidità elettorale e l'introduzione di forme crescenti di democrazia diretta. E' un lavoro di lungo respiro ma la strrada è segnata.
Ciao.
Roberto




roberto ha detto...

Vorrei precisare che il "battito della farfalla" potrebbe essere quello di un piccolo gruppo di attivisti con intenti costruttivi, ma anche quello - che i poteri forti temono - di gruppi contestatori capaci di attizzare un incendio, magari non solo metaforico, in qualce parte del mondo, in grado di diffondersi a macchia d'oilio e rapidamente in contesti sempre più vasti.

Roberto