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lunedì 13 aprile 2015

Mattarella: la virtù del riserbo




Il discorso di  solo 12 parole con cui Mattarella ha iniziato il suo mandato da Presidente della Repubblica è stato  più eloquente di un lungo trattato: ha espresso, con tale esercizio di concisione,  la  precisa volontà di dare al suo settennato un’impronta di estrema misura nell’uso delle parole e una forte consapevolezza dell’esigenza di  ridurre l’intervento visibile del Presidente nei fatti della politica.
Tale impronta è stata mantenuta anche nei successivi  interventi verbali, tanto da aver indotto qualche osservatore a criticare il suo  prevalente silenzio. Ad esempio il costituzionalista Michele Ainis, dalle pagine del Corriere della Sera ha espresso in un editoriale l’opinione che “su tutte le cose di cui non si può parlare bisogna tacere, ma sulle altre è opportuno discutere”, invitando il Presidente ad esprimersi maggiormente.
Tale appello non è stato accolto, a mio avviso giustamente, perché il riserbo del Presidente ha un chiaro intento pedagogico e di raffreddamento delle tensioni politiche ed ha dimostrato di essere efficace: basta vedere  le reazioni positive e misurate del  leader del Movimento 5 Stelle  dopo l’incontro con il Presidente, che contrastano con l’astio più volte espresso nei confronti del predecessore.
Mattarella vuole evidentemente esprimere una discontinuità nei confronti della “linea interventista” che ha caratterizzato la maggior parte dei Presidenti a partire da Pertini, per riportare il suo ruolo a quello di supremo garante dell’unità nazionale, agendo in modo tale da essere e, soprattutto,  da essere percepito come realmente “super partes”.
Ho parlato in precedenza della sua intenzione di “ridurre l’intervento visibile” e vorrei chiarire che, ovviamente, il riserbo non significa inazione: Mattarella sta mantenendo frequenti  e riservati contatti con tutte le forze politiche e non manca certamente di esercitare un’influenza significativa, anche  se discreta, su di esse. Il venir meno delle dichiarazioni pubbliche in proposito evita però quei cortocircuiti che si sono verificati ad esempio nella Presidenza Napolitano, quando i suoi commenti esprimevano una posizione percepita come parziale ( clamoroso è l’esempio della frase di Napolitano “non vedo alcun boom” dopo la prima, inattesa e cospicua vittoria elettorale di Grillo).
Sono convinto che il suo esempio servirà a ridurre il clamore che tuttora circonda le vicende politiche e il modo con cui esse sono riportate dai “media”. Di questo cambiamento c’è un grande bisogno perché, per uscire dalla crisi economica e affrontare la minaccia proveniente dal Califfato, con le sue implicazioni diplomatiche e forse militari, occorre  “fare squadra”. Il che non significa far venir meno la fisiologica e indispensabile dialettica fra le forze politiche, ma indirizzarla alla reale tutela anche degli interessi globali del Paese e non solo di quelli relativi ad una singola parte.
Proprio il fatto che il nostro sistema politico,  peraltro deficitario sotto molti aspetti, sia stato in grado di eleggere una figura come Mattarella, indica che forse i tempi sono maturi  per un graduale affermarsi del principio di unità nazionale che in passato è mancato e che oggi neppure la Lega  sembra più mettere in discussione.
L’unico neo nella posizione, per il resto ottimale, del Presidente è  stato il recente intervento seguito alla strage nel tribunale di Milano e finalizzato a  respingere il  “discredito” nei confronti dei magistrati: a molti osservatori, me compreso, è  parso alquanto inopportuno ,dato che è difficile vedere una connessione fra l’azione dell’omicida e gli attacchi alla magistratura; si è trattato di una follia vendicativa rivolta a ben specifiche persone accusate dall’autore del gesto di “averlo rovinato” e non di un attacco ad una categoria. Anche il disagio espresso dall’associazione degli avvocati, che si sono sentiti esclusi dalla tutela presidenziale, conferma questa impressione e l’opportunità di non equiparare vicende di cronaca nera a comportamenti politici.

10 commenti:

Manuela ha detto...

Premetto che per me Napolitano è stato un bravissimo Presidente, che ha tenuto a galla la barca quando stava per affondare ed ha dovuto supplire alla totale incapacità dei partiti di affrontare la crisi.
Detto questo, ritengo che la "cura Mattarella" si stia rivelando eccellente perchè ha già ridotto la tentazione delle forze parlamentari di tirarlo per la giacchetta a fini di parte. Se il suoo esempio sarà seguito dai contendenti, vedremo forse la fine della politica urlata e sgangherata di questi ultimi anni.
Un saluto. Manuela

roberto ha detto...

Naturalmmente una rondine non fa primavera e bisogna attendere per capire se alcuni timidi segnali possono dar luogo ad una modifica nei metodi di lotta politica.
Per ora c'è uanime rispetto verso il Presidente e questo è un bene. ma la lotta fra e dentro i partiti sta, se possibile, peggiorando.
Comunque condivido il tuo auspicio di una politica meno aggressiva e confusa,
Ciao.
Roberto

Dario Lodi ha detto...

Francamente mi sembra presto per i vaticini. Mattarella, per quanto ne so, è stato per molti anni un burocrate nascosto fra le pieghe della politica, un vecchio maggiorente siciliano gattopardesco. Eviterei di inneggiare al primo che arriva. Tocqueville notava che troppo spesso invochiamo il salvatore della patria, ma non pensiamo alla patria, ergo sottostiamo al sistema verticale, che tale non è per ragioni meritocratiche di base, e non pensiamo di cambiarlo: bensì totemizziamo il Cesare di turno prima ancora che sia entrato in “senato”. Democraticamente si cerca di salvare il salvabile, facendolo passare per toccasana ideale, ma noi NON siamo in una democrazia, siamo in un’oligarchia borbonica, anzi medievale. Non è questione se, ad esempio, Renzi sia l’unica soluzione odierna, la questione è che dobbiamo sorbirci Renzi, Bersani, Letta, Salvini, Fitto, Alfano, le donnette dik PD e Forza Italia, ecc. Possibile non si capisca che un sistema del genere può fare solo danni? A cosa serve veramente il riserbo di Mattarella? Non assomiglia per caso al loden di Monti? Entrambi non hanno qualcosa a che fare con il museo delle cere? Guarda che non è irriverenza la mia, semmai l’irriverenza è di coloro che ci propinano favole di bassa lega.

Dario

roberto ha detto...

Come puoi vedere dalla mia precedente risposta, condivido la tua idea che sia presto per trarre conclusioni.
Però non posso esimermi dal coogliere, quando ci sono, i segnali positivi.
Non sono d'accordo con te, invece, sull'accostamentio fra il riserbo e il museo delle cere, perchè saper "agire per sottrazione" è una delle forme più moderne e sofisticate di esercizio della leadership, in un mondo in cui tutti cercano d'imporsi con il clamore e con un protagonismo spesso esasperato e inconcludente.
Roberto

Marcello Mancini ha detto...

Buongiorno Roberto,

Grazie del tuo post che ho letto con piacere, condividendolo in gran parte. Effettivamente c'è un chiaro cambio di passo adottato dal nuovo Presidente. La sobrietà e la serenità istituzionale sono il suo trade mark. Vi era un grande bisogno. Giusto riconoscerlo.

Sono meno concorde con il tuo finale con cui collochi quanto è accaduto a Milano giovedì scorso, tra i fatti di cronaca e pertanto (se così fosse) da dissociarsi dalla politica. La mia analisi mi porta su un piano ben più grave. Lo inquadro come uno sfregio senza precedenti alle istituzioni. Non a caso mercoledì si celebreranno a Milano i funerali di Stato.

Qualunque siano state le motivazioni di questo folle gesto, scuote come e dove si è compiuto. Il Tribunale non è tanto uno dei tanti edifici pubblici. Per me è un simbolo: un tempio laico preposto alla funzione costituzionale della giustizia, valore sacro ed inviolabile.

Scuote constatare che la cronica mancanza di sicurezza del Paese, includa anche i Tribunali dove si combatte il malaffare, abusi, soprusi, e iniquità, e quindi da proteggere da ogni violenza ed intimidazione. Scoprire la vulnerabilità di un luogo con una folle sparatoria, rievoca ahimè, la furia terroristica e criminale compiuti in luoghi ad alto significato civile e culturale, come ambasciate, musei, siti archeologici, proprio per enfatizzarne il significato punitivo.

Sono convinto che anche tu veda nella dialettica un pregio nella ricerca e nell'analisi dei fatti più marcati nella nostra vita di cittadinanza attiva.

Marcello

roberto ha detto...

Ciao Marcello,

certamente apprezzo la dialettica e il manifestarsi di civili differenze di opinione.
Condivido la tua valutazione sulla gravità, anche simbolica, di quanto avvenuto a Milano e la necessità di tutelare meglio le sedi dove è amministrata la giustizia, oltre ad altri luoghi importanti dal punto di vista civile e culturale. Resto però dell'idea che il gesto di un folle non debba essere interpretato come un tentativo di gettare discredito sulla magistratura e accostato in qualche modo a critiche all'operato dei giudici, non sempre infondate.

Un caro saluto
Roberto

Umberto ha detto...

Caro Roberto,

Concordo con tutto quanto hai detto, in particolare sull’inopportunità di collegare la strage al Tribunale di Milano con gli attacchi alla magistratura. Se non ci fosse stato di mezzo un magistrato, il caso sarebbe stato trattato come un grave episodio di cronaca nera, come è in effetti e rimane, al di fuori di ogni strumentalizzazione. Ed è inaccettabile l’altra strumentalizzazione, quella della magistratura che depreca la mancanza di solidarietà (di chi?) e la reclama a gran voce. La pietà e la solidarietà per l’ucciso, per la sua famiglia, per i suoi colleghi sono sentimenti che dovrebbero animare gli individui e la società nel suo insieme; ma pretendere la solidarietà nei confronti dell’intera categoria è un’altra cosa. Se si volesse sostenere il contrario, dovremmo invocarla per le categorie dei benzinai, degli orefici, dei portavalori, eccetera ogni volta che viene ucciso uno dei loro membri. Invece, mai che nessuno si sia scomodato per questi poveretti. Non parliamo poi della solidarietà per le forze dell’ordine: chi è ucciso è caduto facendo il proprio dovere, punto. Ma se spara sono dolori (per lui).

Un piccolo messaggio a Mattarella, che apprezzo sinceramente: Presidente, un sorriso di tanto in tanto potrebbe regalarcelo, no? D’accordo che il Paese è in crisi, ma non siamo ancora al suo funerale…

Umberto

roberto ha detto...

Caro Umberto,
il tuo puntuale intervento articola in modo opportuno l'esigenza, da me solo accennata, di evitare strumentalizzazioni. Il fatto che esponenti di alcune categorie (giudicante e forense) abbiano usato le parole del Presidente per fare rivendicazioni, dimostra che il riserbo è quanto mai opportuno, soprattutto quando vi è il rischio di essere fraintesi.
Anch'io penso che un sorriso aggingerebbe alla stima la simpatia, senza intaccare il rigore del Presidente.

Roberto

Dario Lodi ha detto...

Agire per sottrazione? Vorrei una dimostrazione di tutto questo. Oggettiva, intendo. Il protagonismo si può fare direttamente o indirettamente. Mi distinguo perché faccio, ma mi distinguo anche se parlo e basta, specie se le parole sono alate. Sono stanco di fumo, pretendo l'arrosto. Dov'è? Almeno è in cottura? Me lo si dimostri.

roberto ha detto...

La dimostrazione sta nel mutato atteggiamento delle forze politiche: vedi Grillo ad esempio.
Ma anche nel fatto che, dopo aver provato a tirare il Presidente per la giacchetta in merito all'Italicum,le opposizioni hanno desistito quando Mattarella ha fatto loro riservatamente capire che a quel gioco lui non ci sta.
Questi sono fatti, non fumo.