Visualizzazioni totali

sabato 6 giugno 2015

Prima le Istituzioni, poi la politica

Pubblico alcune brevi e interessanti riflessioni di Giorgio Calderaro , attento lettore del blog è già autore di un post sullo stato dell'economia italiana, che prendono spunto dall'esito delle recenti elezioni regionali per sottolineare l'esigenza di un uso più attento delle risorse pubbliche e di una valorizzazione del contesto istituzionale che ne risponde.
Esigenza che appare sempre più pressante alla luce della seconda parte dell'inchiesta su Mafia Capitale che testimonia lo scempio sistematico dei ruoli istituzionali e il vergognoso sperpero del pubblico denato, anche nel caso di rilevanti emergenze sociali come quella dei migranti, a fini di arricchimento personale di politici, burocrati, pseudoimprenditori e malavitosi, accomunati da uno scellerato patto criminale.
Fra non molto darò conto dello stato di avanzamento del "Progetto Trasparenza" che ho avviato alcuni mesi orsono a  seguito della prima inchiesta su Mafia Capitale e che intende dare spazio ai cittadini nel controllo degli appalti, come previsto dalla legge ma non ancora realizzato.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------

  1. Quando l'economia tirava, potevamo permetterci assunzioni clientari nella macchina pubblica, normative ipertrofiche / bizantine / inefficaci, debito pubblico ad espansione continua, mazzette a gogo e generalizzate a finanziare la casta. L'economia andava: basta un po' di teatrino per tranquillizzare le "pance", e poi i politici da una parte e il business dall'altra, indisturbati potevano fare quello che volevano.
  2. Oggi quello scenario è finito, l'economia non riuscirà neanche in 20 anni a tirare come prima, soldi non ce ne sono più e per molto tempo non ce ne saranno più. Non ce ne sono più per consentirci ancora lo scempio di risorse pubbliche di una volta. Prima ancora di decidere se preferiamo politiche di sinistra (=attente al sociale ed alla redistribuzione) o di destra (=arricchimento individuale senza interesse per le istituzioni)  occorre ri-confinare le istituzioni all'interno di un perimetro compatibile con le risorse disponibili e con un livello minimo di efficenza ed efficacia.
  3. Nessuno ha capito che avere istituzioni che funzionano non è né di destra né di sinistra: è soltanto indispensabile per qualunque politica si voglia poi fare, sia di destra che di sinistra. Pertanto non mi stupisco che Alfano dica che il governo fa cose di destra e che Renzi dica che il governo fa cose di sinistra.
  4. I risultati elettorali, con il successo di Zaia e di Toti, hanno fatto impazzire centristi e sinistre: I primi cercano di corsa di ricollocarsi, vedendo nel fantasma di Berlusconi un futuro ricco di incarichi e vitalizi. I secondi, contenti della sconfitta del PD a Genova, rialzano la testa nei confronti di Renzi vantando un potere di ricatto.
  5. Ma la realtà è un'altra: in Veneto ha vinto Zaia, non il centro destra. In Liguria ha perso Burlando, con le sue inefficienze come in occasione delle alluvioni, e non Renzi.
  6. Non è vero che il centro vinca: vince la Lega, che parla sempre più solo alle pance. Vince M5S, che si presenta come forza pulita. Perde il PD se si fa condizionare da quella sinistra complice delle inefficienze dello stato di cui sopra, se non controlla meglio la credibilità della classe dirigente locale, se rallenta sul percorso di rottamazione della casta (incompatibilità, comuli di cariche, pensioni su contributi figurativi, ecc), sul percorso di facilitazione dell'attività imprenditoriale (adempimenti burocratici  fiscali), sulla via della semplificazione burocratica (= vita migliore per cittadini ed imprese e riduzione dei nostri tipici regolamenti cafkiani).
Ecco la visione: dateci delle istituzioni che funzionano a costi compatibili!
Solo dopo parleremo di politica.

Giorgio Calderaro

12 commenti:

roberto ha detto...

Caro Giorgio,
la tua percesione della destra corrisponde ad un modello che abbiamo visto in funzione per lungo tempo ma che non rappresenta ciò che una destra seria può essere e dovrebbe divenire, cioè il luogo dove si coltivano i sogni di chi aspira ad essere artefice della propria fortuna ed è capace per questo scopo di assummere rischi, mettendoci la faccia e i suoi soldi. Di una destra seria c'è bisogno perchè il nostro Paese non può risalire la china se non risveglia la creatività e l'energia degli attuali e dei futuri imprenditori, che sono la spina dorsale di un Paese correttamente capitalista, dove le energie positive possono esprimersi in un quadro di regole concorrenziali, che lo Stato deve dare e far rispettare,
Roberto

Marcello Mancini ha detto...

Ciao Roberto,

La Corruzione, ben descritta nel punto uno del tuo follower, è come una droga: non ci si stacca più. Ci si disabitua a fare l'imprenditore e si fa lo slalom su piste preferenziali a pagamento per vincere barando.

Il Rinascimento imprenditoriale da te invocato è auspicabile, ma una buona parte di imprenditori deve curarsi la "dipendenza" che li ha portati a vincere facile. Per ora si prova con il metadone, ovvero sgravi contributivi (JOBS Act), condoni, tolleranza su evasione, contributi vari e tasse di successione, vantaggiose in primis per gli imprenditori.

Confindustria dovrebbe rinunciare a tutto ciò ed esigere solo il pagamento delle loro forniture verso la PA nei 90/120gg come gli altri concorrenti europei ed ottenere la liquidità spettante per ridurre la dipendere dalle Banche e gli oneri finanziari. In parallelo, le imprese dovranno iniziare a investire per accrescere produttività e competitività, in buona parte smarrita.

La denuncia di Cantone a Pisa a quella parte di imprenditori corrottori, è una denuncia forte e chiara, da far scattare un colpo di reni decisivo.

Non sarà un presso breve, ma è l'unico che servirà per rimettere in piedi e ripulire il Paese dal malaffare,

Buon we

Marcello

roberto ha detto...


Caro Marcello,
sono perfettamente d'accordo con te sulla deriva di una parte dell'imprenditoria italiana (quelli che io chiamo gli "pseudoimprenditori") che, anche quando non è andata avanti a mazzette, ha sollecitato e goduto di trattamenti di favore per fare soldi facili, al riparo dalla concorrenza.
Bisogna ridurre la dipendenza dalla "Droga di Stato" spesso nascosta dietro un preteso patriottismo industriale ( vedi Alitalia che ha drenato 7 miliardi di euro prima di essere opportunamnete ceduta ad un efficace operatore internazionale).
Una strada di riscatto è proprio quella di far entrare capitali stranieri abituati a confrontarsi con un mercato competitivo globale che possono rivitalizzare le nostre capacità ( vedi il caso di alcune aziende della moda, come Gucci, acquistate da grandi marchi francesi e rilanciate alla grande. In passato c'è stato il caso esemplare del Nuovo Pignore acquistato da General Electric e diventato un operatore globale di primo livello.
Quindi stimolare i capitali nazionali e stranieri togliendo i gravami e i laccioli che penalizzano le imprese; in questo senso per me il Jobs Act è positivo perchè toglie una parte del cuneo fiscale di cui abbiamo il record mondiale.
Buon w.e. anche a te.

Roberto

Alberto Catellani ha detto...

sono d'accordo anche con il tuo commento, Roberto, quando dici che è sbagliato pensare che tutta la destra non abbia a cuore le istituzioni.
Alberto

roberto ha detto...

Ne sono lieto.
Se vogliamo che la politica non sia il regno della propaganda, della demagogia e delle pulsioni antisistema , è necessario aiutare le forze di centrodestra e di centrosinistra a emendarsi delle loro tare ( ad esempio, a sinistra il buonismo irresponsabile, a destra la ricerca di scorciatoie per arricchirsi senza rischi).
Ci vogliono seri interpreti del pensiero progressista, da una parte, e di quello liberale, dall'altra, e non caricature, come tante se ne sono viste e se ne vedono ancora.
Roberto

Dario Lodi ha detto...

Interessante, ma mi sembra una disamina “in corsa”. I mali, secondo me, sono molto più profondi e non basta l’aspirina a sanarli. Qui occorre rivedere tutto partendo dal principio per cui “se mangio male nel mio ristorante, devo cambiare i cuochi non limitarmi a criticare la gestione”.



roberto ha detto...

Allora rivediamo tutto e cominciamo a cambiare i cuochi, come tu dici.

Lo facciamo con le elezioni oppure. visto che l'offerta politica non cambierà molto, con altri sistemi?
Dato che tu pensi da molto tempo a soluzioni radicali, sarebbe utile sapere cosa proponi di fare, chi lo deve e può fare.

Umberto ha detto...

Ottima analisi quella di Giorgio Calderaro, che conclude con un grido di dolore: dateci delle istituzioni che funzionano! E' una richiesta che da sempre è implicita nelle quotidiane lamentele dei cittadini, e sappiamo che non solo niente è successo, ma anche che niente succederà. A meno che non si cominci ad individuare, una per una, di quali istituzioni si parla; rimanere nel generico non serve a niente, anzi giova alla burocrazia per giocare l'abituale scaricabarile di responsabilità. Ma anche in questo caso saremo sempre a metà strada: occorrerà trovare l'autorità (politica, questa volta) che abbia la volontà, il potere e la vocazione al suicidio necessari per cambiare le cose.

Il caso di Roma offre un ottimo caso di studio. Ci sono tanti burocrati in combutta con i politici che hanno rubato, e la cosa fa scandalo: ma dov'è la novità? E' così da sempre, e la cosa è arcinota anche all'ultimo dei cittadini; chi invece non ne sapeva niente, e continua a non sapere, è la Corte dei conti. Una Corte che si ricorda di essere magistratura con poteri inquirenti e giudicanti quando fa delle magistrali (e sconsolanti) relazioni annuali nelle quali si depreca la corruzione dilagante, le frodi, il malaffare. Ma rari sono gli interventi su casi singoli di istituzioni: di Roma, la vacca che per dare latte deve ricevere come nutrimento soldi dello Stato, la Corte niente sapeva, e comunque non è intervenuta; e lo stesso si può dire per i numerosi altri casi venuti alla luce negli ultimi anni. E speriamo che i mancati interventi siano dovuti solo a inefficienza.

Sempre per rimanere nel caso di Roma: qualcuno ha calcolato in parecchie centinaia di milioni, e probabilmente più, il valore della corruzione passato dalle casse pubbliche alle tasche dei corruttori e dei corrotti: l'Agenzia delle entrate non ne ha mai saputo niente? Mai un sospetto, mai un'indagine sui conti bancari oggi aperti e accessibili senza problemi, mai un'indagine su persone da tempo all'onore (si fa per dire) delle cronache per sospetti di malaffare? Anche qui, si tratta solo di inefficienza? E le banche, obbligate a segnalare i casi sospetti di riciclaggio, mai hanno avuto sentore di qualcosa che non andava nei depositi di certi personaggi? Non si venga a dire che la corruzione si fa soltanto in contanti perché non è vero, che i soldi prendono la strada dell'estero perché oggi è più difficile, che i proventi del malaffare li mettono sotto il mattone perché chi ruba vuole in qualche modo godersi i soldi e quindi deve farli circolare.
Altro caso di inefficienza: l'Avvocatura dello Stato, che si era semplicemente "dimenticata" di informare la Consulta dell'enorme buco nei conti dello Stato che la sentenza sul blocco delle pensione avrebbe provocato. Ora lo ha fatto per il caso del blocco degli stipendi statali, e staremo a vedere come andrà a finire.
Dulcis in fundo, non possiamo mancare di citare un caso di efficienza eclatante: la Consulta. Con le sue decisioni nel già citato caso delle pensioni, e altre pendenti ma ormai prossime, la Suprema Corte mostra un encomiabile senso del diritto che va ben oltre le meschine considerazioni di rispetto dei conti pubblici: evidentemente il principio del "summum ius, summa iniuria" studiato all'Università è da tempo dimenticato.

(sull'argomento segnalo l'articolo qui sotto, che vale la pena di essere meditato):

Umberto ha detto...


Ecco l'articolo citato nel commento precedente:

S'ode un funesto frisciar di toghe stringersi attorno all'esecutivo

Renzo Rosati - Il Foglio

- E’ dunque della bazzecola di 35 miliardi di euro, poco meno dell’intero deficit concesso all’Italia, flessibilità compresa, il conto che la Corte costituzionale può presentare al governo il 23 giugno, sentenziando sul blocco dei contratti pubblici. Questa è la stima dell’Avvocatura dello stato, oltre a una ricaduta strutturale – tra rinnovi, trattamenti accessori, progressione delle carriere, vacanze contrattuali e via andare – che il ministero dell’Economia valuta in 13 miliardi l’anno dal 2016. Non si sa se finirà come per l’indicizzazione delle pensioni (ricorsi accolti con arretrati, impatto minimizzato dall’esecutivo, nuovi ricorsi annunciati), oppure per la Robin tax (ricorso accolto ma senza arretrati), o per le cartelle esattoriali firmate da dirigenti non assunti per concorso (cartelle annullate, buco non ancora quantificato): è ormai impossibile per i due poteri, legislativo ed esecutivo, prevedere cosa deciderà quello giudiziario al suo massimo livello.

Per dire, in Costituzione c’è l’articolo 81 sull’obbligo di equilibrio di bilancio, ma proprio il presidente dei giudici costituzionali, Alessandro Criscuolo, il cui voto doppio fu decisivo sulle pensioni, dice che non è compito loro “ma di altri organi dello stato” preoccuparsi di evitare il default. Conseguenza: l’azione del governo, che a sua volta ha addosso gli occhi dell’Europa e dei mercati (en passant, il 12 Moody’s si occupa del rating italiano, e c’erano voci di promozione; adesso chissà) è in piena sindrome da paralisi giudiziaria. E fosse solo la Consulta.

Ricordate le intemerate rigoriste della Corte dei conti? Bene, ascoltati alla Camera sulla riforma della Pubblica amministrazione, i magistrati contabili fanno lobby contro il ruolo unico dei dirigenti previsto per garantire flessibilità almeno tra gli alti burocrati (e qualche clientela in meno), e già che ci sono chiedono garanzie economiche: diversamente “si infligge un vulnus all’autonomia”. In parallelo l’Associazione magistrati e la Cassazione chiedono il rinvio di due o tre anni dell’età di pensionamento delle toghe, fissata a 71 anni: “Si rischia il caos negli uffici giudiziari”. La leggina, anzi il decreto, però non riguarderebbe solo qualche procura di prima linea, ma andrebbe estesa su fino ai Tar (quelli che dovevano essere aboliti), al Consiglio di stato, alle stesse toghe di ermellino. Intanto riprende la campagna di “Mafia Capitale”, impagabile staffetta della vicenda degli impresentabili escogitata dall’Antimafia by Rosy Bindi.

Se tutto questo frusciar di toghe non è una tenaglia che, dai conti pubblici alle anticamere parlamentari fino alle manette e alle intercettazioni, si stringe di nuovo intorno alla politica e all’esecutivo, dite che altro è. Lontani sono i tempi del premier che rottamava le maxi ferie dei giudici. Del resto a seminare il terreno è stato pure Renzi, inventando lo zar Cantone, commissari alla legalità in ogni dove, codici etici per ogni Asl, norme ultrà sull’ambiente, sui bilanci societari, sulla class action. Ora lo stesso Raffaele Cantone arretra di fronte alla Bindi, mentre il governo sbraca in Parlamento e consegna alle corti la famosa agenda.

Ognuno sceglie la corda, pardon la cravatta, con cui impiccarsi.

roberto ha detto...

Caro Umberto,
Giorgio ha lanciato il sasso nello stagno , tu proponi opportunamente di andare più in profondità, facendo i nomi delle istituzioni di controllo che non hanno funzionato o che hanno svolto il loro ruolo con fin troppo zelo, come la Consulta. Dire, come ha fatto il Presidente di questo organismo, che lo stesso si limita al giudizio di legittimità costituzionale e non s’interessa delle conseguenze economiche delle decisioni che prende è molto pilatesco ed è emblematico di una cultura della forma di cui è intriso l’apparato dello Stato e che spesso prescinde totalmente dalla sostanza, con gravi conseguenze.
Il punto che dovrebbe entrare in testa a chiunque, persino ai giudici costituzionali, è che i diritti esistono fin tanto che ci sono le risorse per soddisfarli: se lo Stato va in default, i pensionati non solo non riceveranno gli aumenti bloccati dal Governo Monti, ma non vedranno più neanche le pensioni.
Abbiamo grande bisogno di Istituzioni che agiscano anzitutto con buon senso e con la responsabilità del buon padre di famiglia, non di organismi che ci portano disinvoltamente sull’orlo del baratro. Non ho motivo per credere, al momento, quanto fa balenare l’articolo da te citato, cioè che vi sia la possibilità di una congiura o vendetta dei giudici contro l’esecutivo che ne ha messo in discussione i privilegi, ma se la Consulta insistesse nella stessa direzione con un altro provvedimento destabilizzante le finanze dello Stato, il quesito diventerebbe legittimo.
Quanto agli organi di controllo da te citati che hanno omesso di fare il loro dovere, ti ricordo che l’art.1 del Decreto 33/2013 sulla trasparenza investe i cittadini di un ruolo istituzionale di controllo nei confronti della P.A., compresi gli organi di vigilanza della stessa. A questo principio si ispira il Progetto Trasparenza lanciato nel blog alcuni mesi orsono , che sta prendendo forma e di cui riferirò prossimamente.
Ciao.
Roberto

Umberto ha detto...

Scusami Roberto se ti scrivo per aggiungere una chiosa all'affermazione del Presidente della Consulta che tu hai riportato: "la Corte si limita al giudizio di legittimità e non s'interessa delle conseguenze economiche". C'è da strabiliare: secondo il Sommo Giudice la Corte non deve tener conto delle conseguenze economiche? Ma davvero? Ogni giorno i Tribunali civili emettono sentenze di separazione che assegnano alimenti ad uno dei coniugi, ma l'applicazione è tenuta in sospeso, in tutto o in parte, perché la parte debitrice si trova nell'impossibilità oggettiva di soddisfare ai suoi obblighi. E' quindi evidente e provato che le condizioni economiche del debitore sono sempre tenute in conto dai giudici, eccome! Che la parte perdente sia un marito colpevole o lo Stato non fa alcuna differenza, il principio è sempre lo stesso. Aspettiamo ora con ansia qualche ulteriore sofisma che trovi questa differenza.

roberto ha detto...



Talvolta sembra che i giudici pensino che lo Stato possa sempre far fronte ai debiti perchè tanto c'è Pantalone che paga.
Il più clamoroso esempio in questo senso è la recente sentenza che condanna lo Stato a risarcire, per un appalto revocato negli anni 90, al pluricondannato costruttore anconetano Longarini quasi due miliardi di euro. E' un concessionario che ha potuto godere di commesse immense senza mai alcun bando di gara e con ripetute varianti che hanno fatto moltiplicare i costi previsti e sallungare i tempi in modo smisurato.
E' una vergogna che non può passare sotto silenzio.
La stampa ha dato ampio rislato alla questione ma poi lasccia perdre. I cittadini non dovrebbero dimenticare e dovrebbeo intervenire per fermare quest'altro immondo scempio del denaro pubblico.