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martedì 1 gennaio 2013

Agenda Monti e processo d'integrazione europea

Recentemente si è unito ai lettori del blog Unberto Burani, esperto di questioni europee, a Bruxelles per 26 anni, prima come Segretario generale della federazione bancaria europea (membro italiano l’ABI) e per 16 anni Consigliere e Presidente di Sezione del Comitato economico e sociale europeo. In qualità di rappresentante e portavoce delle banche commerciali europee ha avuto frequenti e continui rapporti con Monti, prima Commissario alle Istituzioni finanziarie e poi alla Concorrenza. Unberto si è gentilmente offerto di collaborare al blog.
Gli ho quindi scritto:
Sarebbe molto utile un tuo contributo, da pubblicare come post, sull'impegno europeo contenuto nell'Agenda Monti: ho letto un interessante, ma non del tutto condivisibile,  articolo di Barbara Spinelli su La Repubblica  del 27 dicembre in cui  l'agenda è criticata perchè "manca il riconoscimento che stiamo vivendo una crisi economica, politica, sociale dell'Unione intera ( una crisi sistemica) che non si supera limitandosi a far bene, ciascuno per proprio conto, i "compiti a casa" come prescrive l'ortodossia tedesca.. Nella storia americana: Alexander Hamilton ebbe a un certo punto questa presa di coscienza e decise che il potere sovranazionale si sarebbe fatto carico dei singoli debiti, e fece nascere dalla Confederazione di Stati semi-sovrani una federazione dotata di risorse tali da garantire, solidalmente, una più vera unità".
La posizione della Spinelli mi lascia perplesso per due motivi: la "socializzazione" del debito dei singoli stati, per la quale non mi sembrano esserci attualmente le condizioni e il problema delle risorse necessarie per una politica  europea volta alla crescita (un nuovo New Deal) che la Spinelli propone di trarre dalla Tobin Tax sulle transazioni finanziarie e dalla Carbon tax sull'inquinamento, sul cui potenziale gettito ho qualche dubbio.

A questa mia richiesta Unberto ha risposto con le seguenti stimolanti riflessioni, che mettono in evidenza la complessità del processo d’integrazione europeo, la diversità fra tale contesto e la realtà americana e la piena conoscenza che ha Monti delle variabili in gioco:

“Circa l'articolo di Barbara Spinelli, capîsco le sue perplessità, ma non riesco a condividerle: non perché non siano fondate, ma perché mancano, a mio avviso, di una considerazione realistica delle ragioni profonde della mancanza di solidarietà intra-europea, e quindi dei compiti a casa piuttosto che gli esami di gruppo. La collaborazione fra gli Stati membri dell'Unione europea è  sbandierata, e in qualche campo realizzata sia pure con molte riserve, ogni volta che i capi di Stato si riuniscono; ma quando si tratta di economia tutti si chiudono a riccio nei propri egoismi nazionali.
La creazione della moneta unica aveva offerto un ottimo appiglio per creare, se non proprio un'unione delle econonomie, almeno un governo economico di Eurolandia; fu una possibilità appena ventilata e presto seppellita. L'opposizione (sotterranea, mai del tutto esplicita) a questa idea veniva un po' da tutti, ma principalmente dalla Francia e dalla Germania: la Francia perché gelosa dei suoi poteri che mai acconsentirebbe a dividere con altri, la Germania per il timore di veder diminuire il suo potere di fatto in campo politico – e naturalmente anche economico. Oggi il panorama economico, e le motivazioni, sono cambiati ma le posizioni sono le stesse; e non si vede come possano cambiare, almeno nel prossimo futuro.
E veniamo cosi' ai veri motivi della mancanza di collaborazione, o di "europeismo", per dirla con una parolone: motivi che sono alla base di una politica ove ciascuno prende le sue decisioni, salvo evocare ad ogni riunione a Bruxelles la necessità di solidarietà. La BCE con Draghi fa del suo meglio e la Commissione ce la mette tutta, ma la prima non ha poteri in campo economico e la seconda ha ambizioni ma non "veri" poteri. I motivi sono diversi e multiformi, ma non mi pare abbia senso evocare la storia americana come termine di riferimento.
La storia dell'America ci racconta di popoli di etnie le più disparate, con storie, tradizioni, sistemi sociali diversi, riuniti in un crogiuolo che li ha integrati facendo nascere, nel tempo, un forte sentimento nazionalista, o meglio una forte coscienza patriottica. I nuovi arrivati si erano inseriti in un ambiente dove per vivere era necessario parlare la lingua di coloro che già erano sul posto; moltissimi avevano conservato le loro tradizioni, e spesso anche la loro lingua d'origine, ma il collante che permetteva a tutti di comunicare e di essere partecipi alla nascita della nazione era la lingua comune, l'inglese. Non cadremo nel tranello del semplicismo dicendo che gli Stati Uniti si sono creati attraverso la lingua comune, ma è certamente vero che la loro creazione non sarebbe stata possibile se le differenti etnie non avessero avuto un modo di parlarsi, di conoscersi, di sentirsi membri di una stessa comunità.
L'Europa è stata fatta su basi totalmente diverse, tali da far dubitare della possibilità di arrivare mai a costituire un'entità paragonabile a quella americana: a sessant'anni dalla sua creazione, l'Unione europea ha sistemi di governo e di governance diversi, economie diversamente orientate a seconda dei sistemi politici, politiche interne ed estere profondamente differenti, e ventidue lingue diverse (fra qualche giorno 23): una diversità che crea lavoro – e costo di denaro pubblico - per diverse decine di migliaia di traduttori ed interpreti. Ogni paese, per quanto piccolo, difende tenacemente la propria lingua, evocando un principio che è politicamente scorretto contestare, secondo il quale la diversità delle lingue è la ricchezza dell'Europa. Si evoca la difesa della cultura, come se il parlare un'altra lingua indebolisse la cultura nazionale. Si dimenticano peraltro gli enormi costi del multilinguismo, i ritardi nella produzione di documenti, le perdite di tempo e gli equivoci causati da traduzioni o interpretazioni improprie o imprecise; ma qui dobbiamo puntare il dito sul danno maggiore, costituito dall'ostacolo all'integrazione dei popoli nel senso evocato da Alexander Hamilton (che, non a caso, era Segretario al Tesoro).
Fino a che i popoli d'Europa si parleranno attraverso interpreti, fino a che i danesi non potranno vedere né capire i telegiornali spagnoli, fino a che per conoscere un altro popolo dovremo leggere solo quello che ci propinano i nostri media, nessun sentimento comune di "europeità" potrà mai nascere. Trent'anni di vita in  un ambiente europeo mi permettono di sostenere con energia questo assunto, e avrei prove concrete a iosa da citare checchè ne dicano i politici, gli europeisti snob, gli idealisti di un'Europa che ancora non esiste e che mai esisterà fino a che essi continueranno a far danni. E, giusto per essere chiaro, la lingua comune è l'inglese, piaccia o non piaccia.
A questo punto possiamo deprecare con Barbara Spinelli i "compiti a casa", ma possiamo capirne la ragioni profonde: non è che Monti né gli altri non vedano la crisi sistemica dell'Europa, né che ignorino la necessità di soluzioni da "Europa unita": è solo che i popoli non vogliono: non vogliono pagare per gli altri, non vogliono che altri si impiccino dei fatti loro, non vogliono sottostare a regole stabilite da altri o di comune accordo. Vogliono pero', quando fa comodo, solidarietà, collaborazione, aiuto. Quando parlo di "popoli" parlo di comunità nazionali che votano: e un governo per rimanere in piedi ha bisogno di consensi, cioè di appagare le istanze che vengono da una maggioranza. Il risultato è che la signora Merkel ha magari tutte le buone intenzioni ma il suo popolo ne ha altre e lei deve tenerne conto, le piaccia o no. Ed è anche la ragione per cui Monti ha dovuto accettare la Tobin tax perché piace a tanti italiani (ma anche come compenso per l'appoggio  ricevuto dal signor Hollande) malgrado sapesse, da economista e da studioso, che è difficile immaginare una legge altrettanto autolesionista e dannosa per tutti. Ci sono altri "perchè", Carbon tax e via dicendo, ma chiudiamo li' per il momento.
Per chi crede nell'Europa tutto questo è motivo di frustrazione, ma non per questo bisogna perdere le speranze in un futuro migliore: se guardiamo indietro di sessant'anni e consideriamo quello che oggi abbiamo, dobbiamo riconoscere che l'Europa ha fatto enormi progressi, e altri ne farà – anche se ad un passo più lento di quello che ci piacerebbe. "Qualunque sia alla fine il destino…dell'Unione europea come la conosciamo, il problema (dei sacrifici in termini di sovranità nazionale, NdR) resterà ineludibile…il bisogno di unità sopravviverà a tutte le vicissitudini, ai fallimenti provvisori e ad eventuali passi indietro"; un bel messaggio di ottimismo, ma anche la prova che i problemi Monti li conosce, eccome. Ho citato dal suo libro, "La democrazia in Europa", pagina 91”.

7 commenti:

Aldo Mauri ha detto...

L'analisi è intrigante e dimostra che l'adozione di una lingua comune è una priorità per la costruzione dell'Europa.
Mi domando allora perchè l'Unione europea non abbia emanato direttive per l'adozione obbligatoria dell'inglese, come seconda lingua, in tutte le nazioni aderenti, fin dall'asilo.
Se non sbaglio un nostro Governo aveva un progetto "3 I" ( inglese, innovazione, informatica) ma la traduzione pratica mi sembra carente.
Anche l'Agenda Monti non dice nulla al riguardo
Che si può fare? .Grazie

Aldo Mauri

roberto ha detto...

Come ha ben spiegato Unberto, parlare una seconda lingua non indebolisce certo le culture nazionali; è quindi davvero poco comprensibile la resistenza che c'è in Europa a diffondere la conoscenza dell'inglese come seconda lingua.
Sul piano nazionale si potrebbero rilanciare i programmi linguistici ipotizzati in passato, ma ciò non darebbe un contributo significativo alla soluzione del problema continentale.
Cosa si possa fare a livello europeo, stante la situazione di stallo descritta nel post, non saprei dire.

Oscar ha detto...

Visto che i leader europei affermano spesso di volere più Europa, ma poi in sostanza prevalgono gli egoismi nazionali, mi pare che la posizione radicale di Barbara Spinelli sia utopista, mentre quella graduale di Monti sia realista.
Oscar

roberto ha detto...

Sono sostanzialmente d'accordo anche se apprezzo la spinta di Spinelli per una Europa più determinante.
Il New Deal roosveltiano fu finanziato con l'aumento del debito, cosa impossibile nell'Europa odierna, pena il tracollo della zona Euro. Spinelli propone quindi, giustamente, altre fonti di finanziamento, ma sia la Tobin tax che la carbon tax rischiano di produrre un piccolo gettito a causa di grandi fughe degli investitori.
Monti è su una linea più gradualista che cerca le risorse per la crescita nel risanamento dei conti e nelle riforme di struttura. E' una via più lenta ma, convengo con te, più realistica.

Unknown ha detto...

Aldo Mauri si chiede perche l'UE non abbia emanato direttive per l'adozione dell'inglese. Risposta: in primo luogo, perchè l'UE non emana direttive, puo' solo presentare "proposte" di direttive, che poi vengono discusse, emendate e finalmente approvate (ma non sempre) dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Ogni Sato membro difende la propria lingua con le unghie e coi denti: difficile sperare che si possa formare una maggioranza a favore dell'inglese come unica lingua:n i francesi (e ora anche i tedeschi) farebbero la rivoluzione.
Non rimane che affidarsi al buon senso dei governi e dei popoli: già nei paesi nordici e in Olanda l'inglese è la seconda lingua obbligatoria nelle scuole. Un giorno forse lo sarà ovunque, e anche da noi.
Ma per quel che riguarda il nostro paese: dove li troveremmo tanti insegnanti preparati che parlano l'inglese come la madrelingua e disposti ad accettare stipendi italiani? Per parlare inglese non basta saper dire "how do you do?".

roberto ha detto...



Unberto,
ho ripensato al tema della lingua e, anche in base a quanto dici nel tuo commento, mi è venuta in mente un'idea che sottopongo all'attenzione tua e degli altri frequentatori del blog.
Forse le resistenze di cui hai parlato potrebbero essere superate se lo sviluppo dell'inglese venisse propugnato non come base per creare una lingua ufficiale dell'Unione che, come giustamente dici, sarebbe certamete rifiutata, ma come una lingua "di servizio" utile a facilitare non solo gli scambi commerciali, ma anche l'interazione fra i popooli, che potrebbe contribuire molto alla conoscenza delle reciproche culture e, quindi, alla loro tutela. In quest'ottica , anche la tutela "politicamente corretta" delle differenze linguistiche non verrebbe meno.

roberto ha detto...

Il prossimo post sarà l'ultimo dedicato specificatamente all'agenda Monti e conterrà alcune proposte per il miglioramento della stessa.
Fra esse vi sarà anche un punto sul tema "diffusione dell'inglese", che è stato oggetto del nostro dibattito.
Roberto