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venerdì 25 gennaio 2013

Mettere il Regno Unito fuori dall'Europa ?


In un interessante pezzo sul Corriere del 22 gennaio gli economisti  Alesina e Giavazzi stroncano giustamente  l’articolo intitolato “Perché Monti  non è l’uomo giusto per dirigere l’Italia”scritto da Walter Munchau per il Financial Times. Riporto un estratto di quanto scritto dai due economisti:
“Si sta diffondendo una sciocchezza, cioè un’opinione che non ha riscontri nell’evidenza empirica. Il rigore dei conti pubblici sarebbe la ragione per cui la recessione si prolunga e la disoccupazione non scende: Lo ripete da alcuni mesi Stefano Fassina, responsabile economico del PD……; gli fa eco Silvio Berlusconi…..; ne fa cenno persino il Fondo monetario internazionale….; lo scrive Walter Munchau sul Financial Times.
Senza austerità, in Italia come in altri Paese europei, non vi sarebbe stata più crescita ma spread alle stelle, una probabile ristrutturazione del debito, scricchiolii nei bilanci delle banche; insomma il rischio di un altro 2008…... Se il governo Monti avesse perseguito l’austerità…tagliando la spesa, la recessione sarebbe stata molto meno grave. Ma tra questo e dire che l’Italia non avrebbe dovuto fare nulla, magri spendere un po’ di più quando lo spread sfiorava i 600 punti e il debito era diventato insostenibile, è da irresponsabili”. (grassetto mio)
Sottoscrivo queste parole al 100%:
Se si comprendono i motivi elettorali che inducono esponenti politici  a sostenere la tesi predetta, ci si può domandare perché lo facciano Il Fondo Monetario Internazionale e il Financial Times.  Sul primo punto ha risposto  lo stesso Alesina alcuni giorni orsono nel corso della trasmissione radiofonica RAI “Radio anch’io”, in cui si è confrontato con un economista del Fondo Monetario , evidenziando le contraddizioni di questo organismo che, nelle sue ricerche, conferma la linea dell’austerità, ma poi, nelle dichiarazioni ufficiali , per ragioni politiche, la contraddice ( probabilmente per non urtare troppo la grande finanza e gli stati che ne sono fortemente condizionati, aggiungo io).
Sull’atteggiamento del  Financial Times credo giochi  molto la posizione ambigua della Gran Bretagna nei confronti dell’Europa , come risulta dall’orientamento recentemente espresso dal Premier David Cameron che, da un lato, ha confermato la vocazione europeista ma, dall’altro,  ha minacciato di bloccare il trattato europeo, avvalendosi del diritto di veto,  se l’Unione non verrà incontro alle esigenze del Regno Unito, che sono parzialmente contrarie a quelle degli altri paesi, i quali mirano ad una maggiore integrazione  economica e, in prospettiva di lungo termine, politica. Cameron  ha escluso di voler uscire dall’Europa, dicendo testualmente: “ se fossimo fuori dall’Unione noi potremmo continuare i nostri scambi con i paesi membri, ma non avremmo più voce in capitolo sulle regole di questo mercato”.
Ed è noto che quello che non piace ai britannici sono soprattutto i controlli sulla finanza, che ha a Londra il suo epicentro ed è il settore economico più importante del Regno Unito. Qualora in Italia fosse Premier Monti, forte del suo passato ruolo di commissario europeo e della sua credibilità internazionale, tali controlli potrebbero essere rinforzati dall’Unione, insieme ad altre misure non gradite alla grande finanza.   Su questo versante, in questi giorni è stata approvata dall’Unione Europea la “cooperazione rafforzata” che consente a 11 Paesi di introdurre la tassa sulle transazioni finanziarie (c.d.: Tobin Tax ) senza attendere l’adesione degli altri. Anche se questa misura è da alcuni contestata perché ritenuta  di dubbia efficacia, è comunque un indicatore della volontà europea di governare la tematica.
Come ha scritto Franco Venturini nell’editoriale del 24 gennaio sul Corriere “il vero e decisivo oggetto del contendere” è “ che l’Eurozona, guidata dalla Germania, vuole più integrazione, mentre la Gran Bretagna ne vuole di meno” come dimostra  la richiesta del ritorno di poteri da Bruxelles a Londra fatta da Cameron e la sua intenzione di sottoporre tale richiesta a ratifica popolare entro il 2017.
Lasciando da parte l’impropria critica a Monti di un giornalista, le considerazioni che precedono pongono un tema di ampio respiro che dovrebbe essere affrontato: ma conviene all’Europa un partner “ a mezzo servizio”,  come il Regno Unito,  che cerca di sfruttare i vantaggi del mercato unico, ma non accetta le regole comuni e, quindi, mette spesso i bastoni fra le ruote del processo d’integrazione europea? Bisogna aspettare, al riguardo, la pronuncia britannica o è meglio che l’Europa giochi d’anticipo?
Sarebbe opportuno che le nostre forze politiche si esprimessero su questo tema così rilevante per il futuro dell’Europa e del nostro Paese.
Un dibattito nel blog potrebbe dare un primo contributo in questa direzione.

27 commenti:

Umberto Burani ha detto...

Tobin tax, una misura che suscita gli entusiasmi delle folle: bisogna punire gli speculatori e nel contempo frenare la speculazione! Discutiamone lasciando da parte il populismo, che peraltro è l'ispiratore della tassa: nei vari paesi i più accaniti sostenitori sono i sindacati e le sinistre, a livello europeo la CES (Confederazione europea dei sindacati) e il PSE in Parlamento. Le motivazioni possone anche essere economiche, ma la spinta è decisamente politica.

In un mercato libero e globale un onere imposto da un solo Paese provoca uno spostamento di investimenti verso lidi più "benevoli": inevitabile effetto della concorrenza fiscale. Gli spostamenti hanno effetti trascurabili se la tassa è imposta in un paese finanziariamente più potente degli altri; quello che sta avvenendo è esattamente il contrario: Francoforte, Parigi, Milano si devono misurare individualmente con la somma di Londra, New York, Hong Kong, Singapore e altri. In altri termini, ciascuna Borsa europea perderà terreno a favore di centri finanziari più accoglienti.

A soffrire saranno soprattutto i "piccoli": operatori e aziende quotate, che troveranno difficile emigrare; gli altri, i fondi sovrani, i grandi fondi pensione e d'investimento, le grandi multinazionali della finanza e dell'industria, non hanno e non avranno nessun problema a far fagotto. Succederà quello che già sta succedendo in Francia di fronte alla proposta tassa "Hollande" sui grandi patrimoni.

Negli anni scorsi la Tobin tax era stata discussa in sede europea, poi l'argomento fu accantonato. L'opposizione veniva allora dalla Germania e dalla Francia di Sarkozy che per tirare a campare disse che sarebbe stato a favore solo in presenza di una decisione unanime. Lo scenario politico ora è cambiato, con Hollande in sella e con una Merkel pericolante che non puo' contrariare lo scomodo alleato e i socialisti di casa sua. Monti ora ha dato il suo consenso; con ogni probabilità ha dovuto pagare l'appoggio ricevuto da Hollande nelle negoziazioni con la Merkel. Puo' darsi che esistano altre ragioni, ma lo stimo troppo per pensare che non abbia visto le conseguenze dell'andare a cacciarsi nella trappola.

Altri problemi bollono in pentola: la posizione del Regno Unito, la regolamentazione delle banche, il MontePaschi…

roberto ha detto...

Ti ringrazio per l'articolato e stimolante commento che conferma quanto la Tobin Tax sia controversa e che espone obiezioni fondate.
In un precedente post avevo segnalato che dubitavo della potenzialità di gettito di questa tassa che Barbara Spinelli su "La Repubblica" considerava necessaria per finanziare progetti europei d'investimento atti a favorire la crescita. Ora il tuo contributo rafforza la mia convinzione.
Comunque l'estensione della tassa a 11 Paesi indica una volontà d'integrazione che a Londra certamente non piace.
Attendo le tue considerazioni sui punti che hai citato.

Mattia R. ha detto...

Quello che mi imbufalire degli inglesi è l'arroganza. Si comportano con modalità colonialiste, giudicando in casa d'altri, come se fossero ancora i padroni del mondo, mentre ormai sono ridotti peggio di noi.
Sono una zavorra che, come europei e per costruire l'Europa davvero unita, dovremmo toglierci dai piedi al più presto.

roberto ha detto...

Credo che il diritto di critica nei nostri confronti vada riconosciuto a tutti, anche a chi è fuori dai nostri confini. Oltre un certo livello, però, la critica diventa provocazione e suscita reazioni forti, come la tua.
Non è la prima volta che il Financial Times si arroga il diritto di dire chi va bene e chi no come Capo del Governo italiano e di farlo in modo assolutamente tranchant, senza il beneficio del dubbio. Questà modalità è davvero arrogante: mi dava fastidio quando riguardava il precedente Presidente del Consiglio e ancor più con quello attuale.



Dario Lodi ha detto...

Almeno Monti un po' di serietà l'ha dimostrata. Altro discorso è la sua credibilità riguardo la ripresa dell'occupazione: nodo gordiano di difficile scioglimento per le complicazioni create da una globalizzazione senza regole. Non era pevedibile la crisi europea alla luce dell'Euro e soprattutto a quella dell'entrata nel'agone commerciale di Paesi civilmente più arretrati? Non era pensabile che specie la seconda operazione avrebbe premiato soltanto la finanza internazionale, mentre la prima, l'euro, la produttività tedesca? Chi ci guida, chiunque esso sia, con l'aggiunta di economisti bocconiani o simil tali, ha dimostrato e dimostra in questa situazione una grave insipienza ed una ancora più grave incompetenza, segno che da tempo si procede a vista senza neanche uno straccio di strumento decoroso e senza neppure una semplice buona vista. E' inutile fare discosi all'interno dei due fenomeni, essi vanno regolati, rinegoziati su basi nuove: bisogna cioè apportare dei correttivi, altrimenti nessuna misura può essere veramente utile. Assurdo pensare ad una concorrenza con la Cina, ancora più assurdo ipotizzare riconversioni industriali in quanto l'Italia è un Paese capitalista per modo di dire e quindi gli strumenti operativi sono generalmente oberati di debiti presso banche o finanziarie. I prodotti a bassa tecnologia, ma di buona tecnica, sono poi una caratteristica della piccola e media impresa italiana, ne formano la spina dorsale: la globalizzazione sta distruggendo totalmente questa ossatura con aggravio occupazionale, ovvero disoccupazione certa e per non poco tempo definitiva. C'è del crimine in tutto questo. Allora, invece di perdere tempo a parlare di politica con la P maiuscola, sarebbe bene impegnarsi a parlare di politica corrente, ovvero di non politica a favore di banche e finanza, senza ritorni per la base, che entrambe alimenta e che senza ritorni muore facendo morire l'intero sistema.

Dario Lodi

Paolo Della Sala ha detto...

D'accordo sulla logica stringente che ha differenziato Monti da tutti gli altri schieramenti. E' tremendo immaginare che gli altri vadano ancor oggi contro ogni logica. Per esempio stasera ho sentito Fassina a La7 dire che si deve dare priorità alla "redistribuzione". Parolina magica che significa in realtà "recessione", se la si fa con i soliti metodi. Stamattina sono andato in un ufficio del mio comune. Tutto un piano, con dentro una persona e un ufficio dal nome molto spesso kafkiano. Erano le 11:30. Nessuno lavorava, dietro la prima porta a piano terra, c'era la scritta "Torno subito". E parliamo di nord...
Detto ciò però, devo dire che Monti ha detto sì alle tassazioni sulle transazioni finanziarie, il che mi lascia perplesso. Trovo infatti che Umberto Burani abbia ragione quando critica quella ennesima mossa ideologica che finirebbe per dare pane ai panettieri e cacca agli affamati, nonostante apparentemente non sia così.

Paolo Della Sala ha detto...

Ho saltato un pezzo in questa riga: "Tutto un piano, con dentro una persona e un ufficio dal nome molto spesso kafkiano". Era invece così: "Tutto un piano con diversi uffici, ciascuno con dentro una persona e una scritta dal nome molto spesso kafkiano"...

roberto ha detto...

Rispondo a Dario:

Sono d'accorso che ci sia stata poca preveggenza nell'affrontare la globalizzazione e nel lanciare l'euro. Sul primo aspetto tutti i Paesi europei, non solo il nostro, hanno subito passivamente l'ideologia dominante secondo cui la globalizzazione avrebbe prodotto solo benefici; poi qualcuno, come la Germania, si è attrezzato ed altri no. Sull'euro era nota fin dall'inizio la fragilità di un'unione solo monetaria, ma ancora una volta alcuni si sono seduti sui vantaggi (basso spread) senza usarli per ristrutturale opportunamente.
Ora recuperare è certamente più difficile.
Non mi è chiaro cosa intendi proponendo di lasciar stare la politica con la P maiuscola per dedicarsi alla politica corrente: Puoi fare qualche esempio?
Grazie.
Roberto









roberto ha detto...

Rispondo a Paolo:

Condivido le tue considerazioni sul rischio di un approccio ideologico: di ideologia si può morire.
Se leggi la mia risposta al commento precedente, ne trovi conferma con riferimento alla globalizzazione.
Il triste esempio di scarsa produttività che hai portato testimonia quanto sia necessaria una forte riforma della pubblica amministrazione.
Anche sulla Tobin tax il tasso di ideologia è alto e quindi i rischi notevoli.





Renato Massari ha detto...

Caro Roberto,

non ricordo se ti ho già mandato questa mia non richiesta interpretazione dell’articolo dell’FT contro Monti:
· Speravo che l’argomento nr 1 dell’FT fosse: “Monti non ha fatto la riforma del lavoro, ecc., quindi non va bene”

· L’FT dice anche quello: “Mr Monti promised reform and ended up raising taxes”

· Ma soprattutto ce l’ha con Monti perché lo vede come un fantoccio della Merkel, che non vuole l’inflazione come strumento per superare la crisi

· Insomma, gli inglesi, avendo stampato valanghe di sterline, vorrebbero che anche gli altri facessero lo stesso

· Soprattutto, gli inglesi, non hanno intenzione di pagare per gli “stati cicale” ed è per questo che stanno in Europa con un piede solo, non per reazioni sentimental/nazionalistiche come sembrano dire i nostri giornali.

Quindi:
· Mr B, la Lega e la Destra in generale, accarezzano disegni di uscita dall’Euro o comunque di “sviluppo” basato sull’espansione della massa monetaria
· L’altro Mr B, quello della Sinistra, non parla di massa monetaria perché forse non sa bene cosa sia, ma insiste su “politiche di sviluppo” che sono proprio la stessa cosa (stampare soldi).

Conclusione finale:

· Come pensionato, sono in prima fila nell’elenco dei futuri danneggiati dalle intenzioni elettorali di Sinistra, Destra e Lega

· L’unico che a parole mi difenderà, è Monti

· Ma Monti avrà obiettivamente un compito difficile e forse finirà anche lui per stampare soldi

· L’FMI crede nell’inevitabile: nessuno stato in nessuna epoca è mai uscito da un debito schiacciante senza stampare soldi o l’insolvenza.

Ciao,

Renato



roberto ha detto...

Caro Renato,
no, non mi avevi mandato la tua ottima riflessione, che condivido quasi completamente.
Inglesi e americani vogliono continuare a stampare moneta per "non pagare dazio": hanno costruito insieme la più grande bolla finanziaria della storia, anche superiore a quella dei "tulipani" del diciassettesimo secolo e, malgrado ciò, non vogliono ridurre il loro standard di vita. Come tu dici, vorrebbero che anche gli altri facessero lo stesso per "essere tutti nella stessa barca" e far finta di niente (finchè dura).
I nostri politici, salvo Monti, sono tutti - chi più, chi meno - favorevoli all'inflazione, per recuperare consensi.
Sull'ineluttabilità dell'iperinflazione o dell'insolvenza ho, però, qualche dubbio: potrebbe essere che questo esito si verifichi per i predetti Paesi anglosassoni autori del crack finanziario del 2008 e che l'Europa continentale diventi, tramite la sua dolorosa opera di risanamento, il rifugio per gli investitori in cerca di un "porto sicuro".
I rischi sistemici, come ho già detto più volte, sono comunque altissimi. La ricetta che certamente non può funzionare è cercare di curare Paesi malati di debito, aumentando l'indebitamento dei privati, degli Stati e delle Banche Centrali.
Grazie.
Roberto

Umberto Burani ha detto...

DIBATTITO SUL MONTE DEI PASCHI DI SIENA

Monte Paschi governato dal PD? Orrore, bestemmia: Bersani chiede "più rispetto" quando si parla del PD (°).
Gente PD nella Fondazione, gente PD nel CdA, gente del PD ai vertici della banca: ci sono per caso, passavano da quelle parti e si sono fermati…
Il 25 gennaio nella rubrica "Omnibus" della 7, si parlava di responsabilità nella mancata vigilanza: il governo non ha fatto questo, la Banca d'Italia non ha fatto quest'altro; ma "…è la politica che si è presa la responsabilità di sostituire i vertici del MPS". Testuali parole di D'Alema, da ricordare.
Tutti contenti di sapere che "la politica" ha vigilato; peccato non sapere "chi" ha preso le decisioni: se non è stato il PD, chi altro? Forse qualcuno più a sinistra?


(°)Sarà una richiesta o una minaccia? Qualche mattina fa Colaninno, sempre alla 7, ha minacciato sfracelli e azioni legali per diffamazione contro un giornalista che aveva parlato di "vasi comunicanti" fra PD e MPS.

roberto ha detto...

L’affermazione fatta in TV da Bersani “Il PD è una cosa e il Monte Paschi un’altra” è la classica “foglia di fico” che cerca inutilmente di coprire la sgradevole realtà che tu hai messo in evidenza anche attraverso la citazione di D’Alema. Il PD non può tirarsi fuori facendo finta di non esserci, altrimenti si pone nella ridicola situazione di Comunione e Liberazione che, ogni volta che nasce uno scandalo in cui sono coinvolti suoi adepti dice “ noi non facciamo affari, siamo una comunità ecclesiale”.

Renato Massari ha detto...

Ti dico anche una mia riflessione, sempre non richiesta, sulla crisi economica in atto:
· Mi sembra troppo comodo dare la colpa della crisi ai Paesi anglosassoni e al fallimento delle loro banche
· Popolarmente fa effetto ed è utile scaricare la colpa su qualcuno che non è simpatico (tassi alti, bonus astronomici, ecc.)
· Anche se è vero che quando una banca fallisce, accelera la crisi in atto o che sta per instaurarsi

· Perché la crisi, dunque? Un complesso ventaglio

· Semplificando, sulle rive del Charles River si dice: Punto 1 - Imprese che non guadagnano abbastanza per varie ragioni - fra cui tasse e sindacati agguerriti - quindi non competitive rispetto all’Asia, che non ha ancora questi problemi
· Punto 2 – Quando le aziende non guadagnano, dipendono mani e piedi dalle banche

· Punto 3 – Se le banche hanno dei problemi, chiudono il rubinetto alle imprese e la crisi parte alla grande.

Tutto questo è puntualmente accaduto nei Paesi anglosassoni. Sì, è vero che noi siamo legati a loro, ma dimmi tu perché se fallisce Lehman Bros. deve entrare in crisi l’economia di un Paese europeo. Gli USA sono un importante cliente/fornitore, vabbe’, ma non determinante. Infatti non credo che la Svizzera o la Norvegia siano in crisi.

Noi sì, invece, siamo in crisi. E ci piace dare la colpa agli yankees. Il fatto è che le imprese italiane hanno alla grande i problemi delle imprese americane. Con il doppio di tasse o forse più, regole sul lavoro folli, “costo della politica” fuori norma (per esempio, se rispettassimo la proporzione fra popolazione USA/Italia dovremmo avere 87 deputati e 20 senatori) , università che sfornano laureati in filosofia e tutto quanto altro sappiamo.

Riassumendo, il problema USA è superabile perché il loro “socialismo strisciante” forse verrà esorcizzato da Obama & Co. La gente sembra che abbia capito che sono state le banche di stato - Fanny Mae e Freddie Mac - che hanno fatto da detonatore, non Lehman Bros. Hollywood e il New York Times non credo l’abbiano capito, ma molti altri sì.

È da noi che a furia di strisciare, la mentalità socialista è diventata il vangelo di quasi tutti, dalle università alla magistratura, dall’uomo della strada alla Confindustria.

Ne usciremo? Spero di sì ma temo di no. Prima ci sarà il bagno di sangue. Cioè la morte delle imprese private, le accuse al sistema capitalista e ai profittatori, l’intervento dello stato, il fallimento dello stato come conseguenza dell’intervento, la miseria diffusa e poi finalmente lo scatto di ripresa. Fra qualche anno.

Ciao,

Renato



roberto ha detto...

Grazie per le considerazioni sulle cause della crisi. Sono d'accordo, che, sul piano dei profitti delle imprese, siamo messi molto peggio degli USA. Però la crisi finanziaria è nata da loro e non è affatto risolta, anzi; solo per citare l'aspetto più preoccupante, l'ammontare dei derivati (che coinvolge anche Londra, ovviamente) e pari a 10 volte il PIL mondiale.
Ne riparlliamo alla prossima occasione.
Ciao.
Roberto

Fausto ha detto...

Caro Roberto,

la lezione ormai ci insegna che non c’è nulla da fare se non seguire la linea dell’austerità. In questa prima fase preelettorale si è sentito di tutto, toni accesi e roboanti . inammissibili e contradditori se non giustificati dall’agone politico, sempre più sfrenato e non condivisibile. Il Financial Times è sempre stato molto ambiguo nei confronti della politica europea in linea con il Premier David Cameron che rivendica le esigenze del Regno Unito che, guarda caso, risultano contrarie a quelle degli altri paesi membri. L’economia britannica sta rischiando una solenne bocciatura da parte delle agenzie di rating; bocciatura dovuta ad una crescita pari a zero nello scorso esercizio. La eventuale perdita della tripla A ha condizionato la sterlina che è scesa ai minimi storici contro l’euro e da poco contro il dollaro. I sondaggi successivi al discorso del premier Cameron sottolineano che gli inglesi favorevoli all’uscita dalla U.E. rappresentano il 40% contro il 37% dei contrari e del 23% degli indecisi. La Gran Bretagna a mezzo servizio nella U.E., creerà inevitabilmente non pochi problemi viste le divergenze in essere; si decida quindi: dentro o fuori. Le nostre forze politiche dovrebbero assumere una posizione più decisa anche e non solo nei confronti della linea di eccessivo rigore dettato ed imposto dalle forze politiche tedesche, ma anche e sopra tutto nel favorire il processo di integrazione europea che è alla base della creazione degli Stati Uniti d’Europa. Allo stato, se ci limitassimo ad osservare i comportamenti delle forze politiche coinvolte nella battaglia elettorale, potremmo dire che la vecchia politica assume ancora il sopravvento su quelle fasi di rinnovamento che il governo Monti ha saputo imprimere. La crescita, lo sviluppo e l’occupazione, che dovrebbero rappresentare l’unico obiettivo a cui propendere in un paese come il nostro che detiene il primato della evasione e della corruzione, sarà mai possibile conseguirle data la incapacità della nostra classe politica nel governo della recessione ? Ho il timore che la scelta del nostro premier non sia stata del tutto vincente; avrei sicuramente preferito che rimanesse estraneo alla battaglia, pronto ad assumere il ruolo di Presidente del Consiglio visto il difficile equilibrio che si prospetta.

A presto

roberto ha detto...

Caro Fausto,
forse la pretesa inglese di avere indietro poteri attualmente detenuti dall’Europa è proprio legata allo stato di difficoltà che hai evidenziato e che potrebbe far perdere al Regno Unito la tripla A.
Sarebbe bene, come dici, che decidessero se stare dentro o fuori e non continuassero a traccheggiare tenendo il piede in due scarpe. Ma anche i Paesi della Zona euro dovrebbero darsi una mossa per non essere ostacolati ulteriormente nella già difficile opera di integrazione europea.
I nostri politici, affaccendati come sono nelle loro inutili diatribe, che hanno ricreato un clima irrespirabile, pensano a tutt’altro, ma il nuovo Governo dovrà farsi carico della questione, sempre che i numeri gli consentano di operare in modo autorevole. E, naturalmente, soprattutto dei problemi della crescita e del lavoro.
Condivido il tuo timore che la scelta del nostro premier non sia stata del tutto vincente, anche perché si è lasciato trascinare nei toni fuori dalle righe che caratterizzano la campagna elettorale, forse influenzato dal consigliere di Obama, che lo sta assistendo. Così facendo ha perso quella “diversità” che era uno dei suoi punti di forza.
Roberto

Umberto Burani ha detto...

Rispondo a Renato Massari.

Apprezzo sempre la sua acutezza di giudizio e chiarezza d'idee. Su certi argomenti abbiamo pero' vedute un po' differenti.

Il 26 gennaio dice che "gli inglesi non hanno intenzione di pagare per gli stati cicala": se cosi' fosse potrebbero anche avere qualche ragione. Il guaio è che gli inglesi non hanno mai avuto intenzione di pagare per nessuno. La signora Tatcher non voleva soltanto avere indietro i suoi soldi, aveva detto anche che il Regno Unito stava alle regole eropee nella misura in cui queste regole gli convenivano. Non hanno mai cambiato idea. Per aprire un discorso sull'opportunità, o meno, che rimangano in Europa bisogna tener conto di questa premessa. Se poi saranno loro a volere andarsene, lo faranno cercando di far pagare il conto a noi; potete contarci.

Il 27 gennaio Renato dice che gli sembra troppo comodo dare la colpa della crisi ai paesi anglosassoni e al fallimento delle loro banche. Spiacente, ma è proprio cosi'; posso dirlo per aver vissuto dall'interno, e da un osservatorio privilegiato, i prodromi della crisi e le evoluzioni successive. La prima crisi finanziaria innescata dai subprime è la conseguenza di semplicistiche e poco professionali pratiche americane (e inglesi) in materia di prodotti finanziari e di tecniche creditizie; a questo aggiungasi un'insufficiente vigilanza operata dalla Fed, più preoccupata di sostenere un mercato liberista (e malato) che di proteggere gli investitori. Manca lo spazio per dilungarsi, ma potremo riparlarne.


roberto ha detto...

Nella mia risposta a Renato ero stato troppo breve, ma mi ero proposto di riprendere il tema successivamente, con un nuovo post. Senza escludere questa possibilità, vorrei precisare che condivido le argomentazioni portate da Umberto: la crisi in atto ha radici finanziarie ed è nata nel mondo anglosassone. L'ipotesi avanzata da Renato di un'origine dovuta ai problemi delle imprese è suggestiva ma non mi pare convincente perchè non può spiegare, ad esempio, un fenomeno gigantesco e intrattabile come quello dei derivati, di cui stiamo vedendo le tremende implicazioni anche in Italia con il caso Montepaschi.

Paolo Della Sala ha detto...

Ieri in Liguria ho ascoltato 4 sindaci dire che per decidere sui “termovalorizzatori” in Regione l'iter burocratico è tanto lungo che -quando la decisione è stata approvata- la tecnologia scelta è già obsoleta e si deve ricominciare daccapo. Altro che partiti, qui si deve scegliere una diversa macchina statale. Sono queste le vere elezioni!

roberto ha detto...

Sono d'accordo. La lotta alla burocrazia è una delle priorità per la prossima legislatura.
Vi farò riferimento nel prossimo post, che pubblicherò probabilmente domani.

Paolo Della Sala ha detto...

@ Roberto, attendo di leggere il prossimo post. Consiglio anche di leggere un mio vecchio paper sulle policy, sul sito della fondazione Magna Carta ("public policy").
@Umberto: mi sembri molto deciso avverso gli anglosassoni. Probabilmente hai ragione, ma terrei a ricordare che la crisi dei subprime del 2008 fu innescata anche dalla opzione di Clinton, il quale aveva proposto/disposto/imposto di dare accesso al credito per l'acquisto di case e appartamenti, senza troppa attenzione (tradizione yankee) alle garanzie. Con la crisi del settore edile, partì una reazione a catena. Certo il tutto era partito dalla dallo sganciamento del dollaro dai parametri di Bretton Woods...

roberto ha detto...

Ho cercato fra le pubblicazioni della Fondazione, ma non ho trovato il tuo paper. Puoi darmi maggiori ragguagli oppure inviarmi via mail un link? Grazie

Umberto Burani ha detto...

Caro Roberto,

Ricevo da un amico maltese un'analisi della Tobin tax, fatta da un paese che se non è un paradiso fiscale vi è molto vicino. Dice fra l'altro che in Europa i cinque o sei paesi che non hanno accettato la Tobin tax "godono" (parola sua): Lussemburgo, Olanda, Irlanda, Inghilterra – e anche Malta, naturalmente. E aggiunge la prova del nove dell'inutilità (anzi della dannosità) della tassa: l'unica applicazione concreta della tassa è stata fatta dalla Svezia, che la introdusse nel 1974 per cancellarla nel 1984 dopo la rovinosa esperienza della migrazione a Londra della parte succosa del suo mercato fiunanziario; e gli incassi arrivarono a mala pena al 25% dell'importo preventivato (da vedere in proposito su Internet un bell'articolo di Giovanni Passali in data 18 novembre 2012).

Quando si lascia prendere la mano dalle ideologie e dal politicamente corretto, l'Europa non sa fare altro che farsi male da sola: avanti tutta! Tobin ebbe la sua bella trovata (con ben altri intenti, peraltro) nel 1972: se dopo tanto tempo una sola, minuscola e disastrosa applicazione è stata tentata, qualcosa vorrà pur dire.

Buona giornata

Umberto


roberto ha detto...

Caro Umberto,
è una testimonianza interessante: sembra proprio che questa tassa non sia una buona idea. In tempi di mercati globali, muovendosi in modo unilaterale si rischia di trovarsi con un pugno di mosche in mano.
Le soluzioni ideologiche non producono, in genere, risultati concreti. La prova del nove sarà proprio il gettito che la tassa saprà procurare. Stiamo a vedere.

Raffaello ha detto...

Ciao Roberto,
non vedo pubblicato il mio post di poco (avrò sbagliato sicuramente qualche passaggio nell’invio). Provo a riassumere:

- Tobin tax: le perplessità dei post precedenti sono condivisibili. Una sua applicazione non universale comporterebbe una rapida fuga di capitali verso i paesi che non l’applicano
- Gran Bretagna: il continuo arroccamento su posizioni ‘poco europeistiche’ fa il paio secondo me (ma non sono un esperto in materia) con il fatto che la Borsa di Londra agevola l’azione speculativa di paesi dell’est (Russia, Cina, India) sui debiti sovrani europei con il risultato di facilitare ulteriori acquisizioni, spesso a prezzo di saldo, di gioielli imprenditoriali italiani. Non ne faccio una questione di bandiera, anzi (il caso Alitalia/Air France sta a certificare che abbiamo gettato valanghe di soldi); se il servizio reso ai clienti/utenti è più efficiente e più economico ben venga. Ma vedo un problema più complesso. Prendendo ad esempio il caso degli yacht Ferruzzi, i cinesi ci hanno messo un bel po’ di soldi ma hanno (legittimamente a loro modo di vedere) imposto una loro squadra di vertice, che probabilmente tenderà ad applicare modelli imprenditoriali del loro paese di origine. Come saranno resi compatibili e coerenti con i modelli sociali di crescita occidentali. Va da sé che il singolo caso non fa testo, ma se il fenomeno si ingigantisse…
- Monte Paschi: credo che il Mr. B di sinistra abbia poco da minacciare sbra-na-men-ti. Il legame tra la sinistra e la banca era cosa nota da sempre (e lo stesso D’Alema l’ha in più occasioni implicitamente confermato); così come è noto che altre banche mantengono stabili legami con propri riferimenti politici. Durante la mia esperienza lavorativa ho avuto modo di interagire con MPS dall’interno di una partecipata (e i contatti del vertice con alcuni ministri dell’allora PDS erano quotidiani).
Il Mr. B di destra afferma invece che, visto come il Pd gestisce una banca….. (ma il Credieuronord che fine ha fatto???) .. Ora, se il Pd non sa gestire una banca devo dire che MPS, nei confronti delle sue partecipate, non ha mostrato granché. Anzi nella mia esperienza ho avuto la netta sensazione di una gestione (anche all’interno della Capogruppo) che mi ricordava una vecchia trasmissione radiofonica: “La Corrida, dilettanti allo sbaraglio” . Questo per dire che, salvo che le cose non siano radicalmente cambiate a Siena negli ultimi 15 anni, o Profumo rivolta l’azienda come un calzino, oppure tramite i Monti Bond ci troveremo ad essere proprietari di un carrozzone, difficilmente risanabile se non attraverso di qualche altro operatore con le mani in pasta (Intesa?).

roberto ha detto...


Sulla Tobin tax siamo allineati.
Interessanti le tue osservazioni sul ruolo della borsa di Londra nelle speculazioni a nostro svantaggio e sulle opportunità, ma anche sui rischi, degli investimenti stranieri.
Circa il Montepaschi le tue riflessioni coincidono con quanto scritto nel mio ultimo post in merito al B. di sinistra; circa il B. di destra, mi astengo da ulteriori commenti, visto che i fatti parlano da sè.
Speriamo che i soldi pubblici che verranno investiti nel salvataggio del Montepaschi contribuiscono ad un effettivo risanamento e non si perdano nella voragine già aperta.