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sabato 12 gennaio 2013

Cosa dice Stefano Fassina


Dato che non condivido l'invito fatto da Monti a Bersani di “silenziare” l’ala sinistra del suo partito, mi  sembra opportuno far conoscere ai miei lettori cosa pensa e dice Sfefano Fassina, Responsabile economico del PD, che di tale ala è l’esponente più rappresentativo.
Pubblico, pertanto un’intervista comparsa su  La Stampa, e ripresa dalla newsletter online ”Zibaldone “ con l’ introduzione di Lorenzo Borla, autore della  predetta newsletter. 
Come si può vedere dal testo, la posizione di Fassina è tutt’altro che estremista ma non è
condivisibile, a mio avviso, perchè è basata su un approccio keynesiano, che consiste nell’aumentare la spesa pubblica per rilanciare l’economia.  Come sanno i miei lettori abituali, io critico tale approccio non perché sia sbagliato, ma perché lo ritengo inapplicabile nelle attuali circostanze. La dottrina economica di John Maynard Keynes, il grande economista inglese del secolo scorso, è stata determinante per superare la terribile crisi finanziaria del 1929, ma allora il debito pubblico era una frazione del Pil.  Oggi, con debiti pubblici che spesso lo superano e talvolta ne sono un multiplo, quella ricetta è destinata a produrre effetti disastrosi. Gli Stati Uniti, che la stanno applicando, con deficit annuale superiore al 10% del Pil e  un debito pubblico che ormai lo ha sorpassato ( per non parlare del debito privato, che è drammaticamente alto), stanno mettendo le basi per una crisi sistemica  mondiale di proporzioni mai viste. Tale crisi potrà essere prevenuta solo se gli Stati Uniti  smetteranno di rinviare, stampando moneta, la soluzione dei loro gravi problemi,  messi in evidenza dallo shock immobiliare e finanziario del 2008/2009,  e accetteranno di fare sacrifici analoghi a quelli che stanno facendo i Paesi europei per riportare i conti in ordine e ridurre il debito pubblico e privato. 

-.-.-.-.-

Il principale terreno di confronto fra destra e sinistra in questo momento è rappresentato dalle misure per uscire dalla crisi. Semplificando: rigore e austerità da una parte, sviluppo e crescita dall'altra. Ovvero, posizioni liberiste da una parte, posizioni keynesiane dall'altra. Cosa vuol dire? Come operi il liberismo di Monti lo abbiamo visto in azione. Adesso Monti nella sua agenda concede qualcosa, tagli alle tasse sul lavoro contro riduzione di spese, a saldi invariati. Invece, cosa vogliono i keynesiani? Piuttosto che dare una risposta generica, viene comoda una intervista a Stefano Fassina, capofila dei keynesiani del Pd,  pubblicata su “La Stampa”.

Stefano Fassina, il governatore della Banca d’Italia sostiene che bisogna mantenere la barra dritta sull'austerità. Lei come risponde? <Se toccherà a noi, rispetteremo tutti gli impegni sottoscritti dall’Italia, come abbiamo sempre fatto. Rispetteremo anche quelli sbagliati e irrealistici come il pareggio dei bilancio del 2013 preso dal governo Berlusconi; Ma viene da chiedere se l'austerità è un fine o un mezzo>.  È un fine per alleggerire le finanze pubbliche e liberare risorse per la crescita, ovviamente nel lungo termine: <Io ho grande stima e riconoscenza per il lavoro della Banca d'Italia. Ma come ha messo in evidenza in modo inequivocabile il Fondo monetario, nei paesi europei dove è stata applicata, l’austerità ha aggravato i debiti pubblici. Purtroppo il moltiplicatore, sempre secondo il Fondo, che in questo caso lavora al contrario e produce effetti recessivi, è stato tre volte quello indicato dalla Banca d'Italia>.

Sta dicendo che la Banca d'Italia sbaglia le previsioni? <Veramente le stanno sbagliando tutti, la Commissione Ue, l’Ocse, e anche lo stesso Fondo monetario, che  peraltro è l'unico che ha fatto un mea culpa. È difficile fare attualmente stime sugli effetti del risanamento> Quindi cosa propone? <Ritengo l'analisi di Visco ancora incompleta, non soltanto perché sottovaluta gli effetti negativi dell’austerità, ma anche perché trascura la necessità del sostengo alla domanda, come condizione necessaria per rianimare la crescita>. Visco veramente sostiene che bisogna riordinare la spesa pubblica e trovare lo spazio per ridurre il peso fiscale, per spingere la domanda. <La verità è che l'attuale politica economica impedisce una crescita in grado di riassorbire la disoccupazione. Noi del Pd ci impegneremo, insieme alle forze progressiste europee,  per cambiare rotta e sostenere la domanda interna. La priorità oggi è la domanda. L'attuale quadro di politica macroeconomica inibisce una crescita in grado di riassorbire la disoccupazione>.

Il governatore suggerisce di rimuovere gli ostacoli per le imprese. <Questa azione sarebbe totalmente insufficiente, bisogna sostenere la domanda europea, pubblica e privata. Ampliando gli spazi per togliere le infrastrutture dal computo del deficit. E ridistribuendo il reddito verso il basso>. II Pd ogni tanto tira fuori la stona della patrimoniale. Non le sembra che gli italiani siano abbastanza tartassati dalle tasse? <Siamo stati sempre chiari sull'imposta patrimoniale: sarebbe limitata ai grandi patrimoni personali e finalizzata a ridurre le imposte sui redditi delle famiglie e delle imprese. La stessa Banca d'Italia, nel rapporto sulla ricchezza delle famiglie italiane di qualche giorno fa, ha certificato ancora una volta che da noi le ricchezze sono molto mal distribuite. Si tratta di ristabilire un po' di equità>.


18 commenti:

Attilio Lucchini ha detto...

Ottima la tua risposta, perfettamente condivisibile. Non dimentichiamo, però, che l'Europa (la Germania!!) con la sua politica monetarista, pone i Paesi più deboli sul lastrico, a tutto vantaggio dei più forti.
Buona giornata
Attilio Lucchini

roberto ha detto...


Il vantaggio ai più forti è innegabile ma dipende dal fatto che i più deboli hanno approfittato dell'euro per aumentare a dismisura i loro debiti pubblici, sperando che la pacchia (spread quasi nullo nei primi anni della moneta unica), potesse durare all'infinito.
Poi è arrivato il "redde rationem".
Roberto

Dario ha detto...

Penso che il male vero sia lo spostamento della produzione dall'Occidente alla Cina. I prodotti a bassa tecnologia che arrivano da laggiù fanno chiudere le nsotre aziende, e questo specialmente in Italia, dove la piccola e media azienda (ripetitive) sono l'ossatura del Paese. Fassina, come molti economisti, fa con le briciole che vengono lasciate della grande finanza e ricorrendo alle solite formule magiche keynesiane, oggi assurde perchè i Paesi non esistono più. Grazie alla finanza è nato il Grande Fratello di orwelliana memoria. Se non si agisce a monte, mettendosi d'accordo su una politica comune, a valle raccoglieremo solo cocci.
Abbiamo sulla testa tre spade di Damocle: i titoli tossici (che hanno tolto liquidità "ordinaria" alle banche, la globalizzazione, concepita come peggio non si sarebbe potuto, e l'Euro che premia solo la Germania). Dunque, problemi molto più grandi degli economisti nostrani (e non solo) abituati a fare piccoli conti mentre la solita finanza fa quello che vuole ovunque.

roberto ha detto...


Sulla globalizzazione mal fatta e sull'errore di aver lasciato tutta la produzione mondiale alla Cina senza prendere alcuna precauzione, sono d'accordo: non era un processo ineluttabile.
Si è creduto di poter "finanziarizzare" completamente l'economia dei Paesi occidentali e si sono messi gli Stati alla mercè della grande finanza, che può ricattarli con lo spettro di un default ingestibile. Un dato terribile, che non tutti conoscono, è che i prodotti finanziari "derivati" hanno raggiunto un importo pari a circa 10 volte il Pil mondiale.
Se questa bolla dovesse scoppiare, l'economia planetaria ne verrebbe travolta. Su questo sfondo l'approccio keynesano aumenterebbe ancora gli squilibri sistemici già in atto.

Elio Veltri ha detto...

Caro Barabino,
Fassina nel parlare di economia dimentica una cosa elementare, come tutto il ceto politico: secondo ricerche recenti di Bankitalia ed Eurispes il PIl dell'economia sommersa e criminale è di 720 miliardi di euro. Il che significa che circa metà della ricchezza prodotta dal paese sfugge a qualsiasi controllo dello Stato. Poichè è impensabile che Fassina non sappia queste cose, c'è da chiedersi perchè nè la politica nè i governi vogliono occuparsi dell'argomento le cui conseguenze sono devastanti per l'economia, i servizi( evasione fiscale di 300 miliardi circa), le imprese sane e la competitività del paese. Elio Veltri


roberto ha detto...


Forse una spiegazione sta nel fatto che criminali ed evasori possono condizionare, dato il loro potere economico, molte forze politiche.
Una lotta seria ai fenomeni da te denunziati richiede una classe politica non collusa ed eticamente attendibile.
Ovviamente, con tutto quello che abbiamo visto, può sembrare un'utopia, ma non bisigna sottovalutare le scelte che il corpo elettorale saprà fare anche in questa direzione.
Roberto

Alessandro Roselli ha detto...

L'approccio keynesiano e' tuttora assai valido: dopo la crisi del 2008, senza il deficit spending l'economia USA sarebbe andata in profonda recessione (si confronti l'andamento del PIL USA dopo il '29 e il 2008). contrariamente alla vulgata, il deficit spending non ci fu con Roosevelt, che resto' sordo alla famosa lettera aperta di Keynes. La vera ripresa ci fu - spiace dirlo - con la guerra.
In Europa oggi, l'approccio keynesiano significa che il paese in surplus (Germania)adotti una politica fiscale assai espansiva, e la BCE adotti una politica monetaria pure espansiva, ribassando i tassi e adottando eventualmente il QE. Il programma di acquisto di titoli di Stato non e' la stessa cosa, e' una politica di sostegno del debito pubblico che l'ortodossia del central banking guarda con sfavore (non a torto). Comunque, dal ns punto di vista, ben venga.
Perche' "ben venga"? Per il fatto che, delle due politiche macro possibili (demand side e supply side), la prima ci e' quasi preclusa poiche' i mercati ci impallinerebbero; la seconda mi sembra essere (stata?) nell'agenda Monti: rendere piu' efficiente l'offerta, agendo con riforme strutturali, quali: concorrenza, lavoro, giustizia, istruzione, infrastrutture. Queste riforme strutturali (non liberiste: che c'entra il liberismo?)hanno bisogno di tempo: il PIL non cresce il giorno dopo che, ad es, e' stato abolito nelle cause civili il terzo grado di giudizio. In tal senso, la BCE ci ha aiutato a darci tempo.
Infine, una qualificazione sul deficit : si puo', a parita' di deficit, rimodulare la spesa stimolandone il moltiplicatore (come ogni testo di base di economia politica insegna). Il pareggio di bilancio e', in se', una misura "stupida". Se il deficit nasce da politiche di investimento che potenzialmente accrescano il PIL, la stessa crescita renderebbe il deficit sostenibile (come molte storie insegnano).
cordialita'
Alessandro Roselli

roberto ha detto...

E' vero che l'economia americana è rimasta a galla negli ultimi anni grazie al deficit spending, ma ciò al prezzo di non affrontare assolutamente le cause della crisi finanziaria ed anzi aggravandole. E' questa la ragione per cui sostengo che si sta preparando "la tempesta perfetta", al cui confronto la crisi del 2008 sembrerà soltanto un modesto aperitivo.
Circa Roosvelt, a me risulta che fosse concettualmente a favore del rigore di bilancio e che su questo abbia fondato la campagna elettorale nel 1932; tuttavia, per rendere possibili i numerosi programmi di aiuto alla classe lavoratrice ed all'economia in generale, ricorse abbondantemente al deficit spending.
Sono d'accordo con te siul fatto che i mercati ci impallinerebbero se adottassimo politiche "demand side" e che sia opportuno puntare su quelle "supply side", ma ciò non mi sembra proprio un approccio keynesiano.
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Fausto ha detto...

Caro Roberto,

Nel concordare totalmente il tuo pensiero nei confronti di Fassina mi piace sottolineare, dopo avere ascoltato, in questa prima fase di pre-elezioni, le ricette dei Soloni della politica, che non risulta assolutamente facile conciliare crescita e consolidamento fiscale; non lo è in generale e non lo è in Italia oggi, anche perché non è evidente che siano all’opera , da noi, fattori di crescita ben identificati e nello stesso tempo rimuovibili. Pensiamo ad esempio al mercato del lavoro.Resta comunque il fatto che le riforme sono necessarie, che il tasso di sviluppo va aumentato, soprattutto per l’occupazione di giovani e donne, le tasse e le spese ridotte, la concorrenza e la meritocrazia affermate, con più scuola e ricerca,con una maggiore equità: questo dovrebbe essere il programma della nuova legislatura, su cui rimossi ostacoli di varia natura sarà possibile mettere a confronto idee e punti di vista, concentrare le migliori energie del paese,evitando le false ideologie e gli interessi personali. Il problema di fondo del nostro strutturale difetto di crescita non va confuso con l’emergenza, pena la paralisi decisionale alla quale abbiamo ad oggi assistito. La crescita resta tuttavia un nodo cruciale; va evitato, a mio modesto parere, che le misure di aggiustamento producano troppa recessione da cui deriverebbe un circolo vizioso capace di generare immediatamente, attraverso gli stabilizzatori automatici, effetti perversi sui saldi di finanza pubblica. Tutto ciò che è possibile va destinato a sostegno di strumenti che alleggeriscano gli oneri per interesse di imprese e famiglie e ne mantengano elevato l’accesso al credito: e questo è parte essenziale di un programma di aggiustamento nell’emergenza che stiamo vivendo.

A conclusione gradirei tanto che le principali forze politiche attualmente in gioco ammettessero che l’impegno di Monti al Governo del Paese ha evitato di non farci sprofondare nel baratro e smettessero di considerarLo, dopo la Sua ascesa in politica, UN TERZO INCOMODO.

Fausto

roberto ha detto...


Caro Fausto,
concordo con quanto hai scritto, in particolare quando dici che "non risulta assolutamente facile conciliare crescita e consolidamento fiscale" e che "la crescita resta tuttavia un nodo cruciale". E' vero che bisogna evitare troppa recessione e che bisogna alleggerire gli oneri per famiglie e imprese. Le tue idee sono simili a quelle di Roselli ( commento precednte al tuo), che pure io condivido: ci vuole un'azione non di incremento della spesa pubblica ma di riduzione del carico fiscale di famiglie e imprese. Bisogna però trovare le risorse per fare questo e ciò può avvenire solo tagliando i costi pubblici improduttivi e combattendo evasione ed elusione fiscale. Ciò richiede determinazione, serietà e tempo.
Oggi le principali forze politiche non riconoscono i meriti di Monti per ragioni elettorali, ma il ruolo della sua coalizione sarà decisivo per i futuri equilibri politici del Paese e per rendere possibile quanto tu auspichi.
Roberto

On. Guglielmo Picchi ha detto...

Caro Barabino, ecco sappia che Monti seguira' l'agenda Fassina come stampella di Bersani al Senato.
Auguri

roberto ha detto...

L'asprezza con cui Monti ha chiesto di "silenziarlo" indica, a mio avviso, che la prospettiva da te indicata non lo interessa affatto. Comunque è ovvio che quale agenda sarà seguita dipenderà dai voti presi, visto che qualche forma di collaborazione fra coalizione di sinistra e coalizione "moderata" ci dovrà essere, a meno di cataclismi.
Grazie della riflessione.
Roberto Barabino
ps: segnalo, anche agli altri lettori, che la convenzione linguistica adottata nel blog è usare il tu anzichè il lei, per rendere meno formale il discorso

Carlo Sorbi ha detto...

Caro Barabino, intervengo sul post a proposito di Fassina. Mi professo keynesiano e da questo mio punto di vista critico fortemente Monti, perché durante tutto l'anno né lui né Pasera sono stati capaci di riunire i presidenti e gli amministatori delegati delle aziende di proprietà maggioritaria pubblica (eni,enel, CDP, finmeccanica, fintecna, poste, servizio sanitario naz. acquisti, etdc) per determinare con loro programmi di politica industriale da realizzare con massima urgenza in Italia. Una sorta di emergenza industriale con investimenti all'interno anziché svilupparsi all'estero, per almeno un anno. Monti e Passera sono stati capaci solo di dettare regole alle banche, ma non all'industria che è stata lasciata sola a se stessa, nelle mani di manager che hanno pensato bene di continuare i loro anche ottimi progetti esteri, dimenticandosi che dovere primo di un'azienda pubblica &e! grave; sostenere la propria nazione. Certo è pure mancata una politica industriale del governo:penso solo a due emergenze: i rigassificatori e i termovalorizzatori dellei rifiuti per affrontare almeno un po' la nostra crisi energetica. Perché è stata lasciata l'Alcoa, anziché rifornirla di energia a basso costo che poteva essere prodotta in sardegna con combustibili ecologici quale per es. l'energia eolica? C'erano progetti a proposito che avrebbero necessitato di investimenti, ma il ministero dell'industria li ha ignorati e così pure l'enel...che vergogna. Questi potrebbero essere alcuni interventi keynesiani di ottima qualità che invece i liberisti non vogliono fare. Cari saluti. p. Carlo Sorbi.

roberto ha detto...

Caro Sorbi,
non ho informazioni sui programmi d'investimento delle imprese pubbliche ma ho dei dubbi sulla fattibilità della tua ipotesi di sospendere gli investimenti all'estero per concentrarsi sull'Italia, in quanto gli impegni esteri sono solitamente il frutto di joint ventures che non possono essere disdette unilateralmente. So per certo, invece, che una politica governativa di investimenti pubblici non si è potuta realizzare per mancanza assoluta di risorse: ogni iniziativa che avesse fatto aumentare il deficit ci sarebbe costata carissima in termini di aumento dello spread.
Sul tema specifico dei rigassificatori e dei termovalorizzatori gioca anche l'aspetto dell'impatto ambientale sul quale gli esperti sono dibvvisi, il che genera resistenze nelle popolazioni interessate,
Man mano che si renderanno disponibili risorse, esse dovranno essre prioritariamente allocate agli investimenti produttivi oltre che alla riduzione del carico fiscale sulle imprese e sulle famiglie.
Ma ciò richiede tempo. Nello scorso anno, in cui si affrontava una gravissima emergenza, le priorità erano altre.


Raffaello ha detto...

Ciao Roberto,

condivido quanto affermi nella risposta a Fausto. Ridurre il carico fiscale, e - aggiungo - promuovere formule di incentivazione per le aziende che investono nell'innovazione di processo ma soprattutto di prodotto (penso per esempio alle imprese che operano nelle energie rinnovabili) significa agire in maniera incisiva sulla struttura della spesa. Ma non basta tagliare le spese improduttive (tipo auto blu) o razionalizzare i processi di acquisto. Serve anche promuovere interventi di riorganizzazione delle strutture, di revisione dei processi produttivi: serve imparare a rimettersi in discussione nel modo di lavorare e nel modo di servire i cittadini (resto allibito quando sento alcuni Governatori di Regioni affermare che a fronte di tagli nei trasferimenti si dovranno 'tagliare i servizi resi alla popolazione'). Utopia? Forse si, soprattutto se penso all'affermazione di Bruno Visentini ricordata in un contributo ad un tuo precedente blog. Ma forse anche no se a queste azioni se ne accompagnano altre volte a premiare (in maniera tangibile) i dirigenti e i funzionari che si rendono disponibili ad accompagnare questo cambiamento e a diffonderlo in profondità.
Ma per finanziare una concreta azione di sviluppo senza espandere la spesa pubblica non va dimenticato il recupero dell'evasione fiscale: gli accordi con la Svizzera andrebbero perfezionati con sollecitudine e replicati anche su altri paradisi fiscali ed accompagnati da una concreta azione di riscossione delle imposte accertate in occasione degli ultimi condoni che - fino a un anno fa, ma non vorrei ricordare male - mi risulta fossero state incassate in misura assai ridotta.
Da ultimo, il capitale intellettuale come fulcro per la crescita: si parla di scuola, di formazione permanente, delle competenze come asset intangibii da valorizzare. Una cosa da fare è - a mio avviso - rendere più fluido e rispondente alle proprie finalità il sistema dei fondi interpofessionali per la formazione continua, troppo spesso autoreferenziali e poco attenti alle esigenze delle aziende aderenti ovvero ai veri obiettivi di una riqualificazione costante e sistematica dei lavoratori.

Un caro saluto

Raffaello

roberto ha detto...

Caro Raffaello,
sono molto d'accordo con quanto scrivi: uscire dal buco in cui ci siamo cacciati,richiede il recupero di risorse nelle forme che dici, ma anche una profonda opera di revisione di strutture, processi, cultura e sistemi d'incentivazione all'interno della macchina dello Stato. Ma poi, soprattutto, lo sviluppo del capitale intellettuale e, aggiungerei, manuale che è il motore vero della crescita.
E' un'azione di lunga lena, che non si fa con gli slogan ma con una costante, seria e determinata applicazione.
Grazie.
Roberto

Alessandro Roselli ha detto...

Sono contrario alle lunghe diatribe, ma solo una breve replica alla tua risposta del 13 cm. La differenza tra il keynesianismo di Obama e il non-keynesianismo di Roosevelt sta nelle seguenti cifre riguardanti il rapporto deficit federale / Pil (www.usgovernmentspending.com):
1930 +0.96% 2007 –1.15%
1931 –0.17 2008 – 3.19
1932 –2.78 2009 – 10.13
1933 –3.27 2010 – 8.92
1934 –3.11 2011 – 8.69
1935 - 4.12 2012 – 8.51
1936 –4.76

Il picco della disoccupazione fu 23.6% nel 1932, e’ stato del 9.6% nel 2010
Il calo cumulato del Pil fu –29.5% tra il 1930 e il 1933. E’ stato del 3.4% nel 2008 e 2009 (Bureau of Economic Analysis)

Crisi finanziaria: Roosevelt capi’ tutto col Glass-Steagall del ‘33. Il Dodd-Frank del 2010: non e’ chiaro dove porta: e’ complessissimo e le norme di attuazione, in mezzo a mille tiri alla fune, sono in fieri. Roosevelt fu un grande riformatore, ma – ripeto- non stava molto a sentire Keynes e l’idea del demand management gli era nuova.

Monti: mi pare che siamo d’accordo: non puo’ fare la demand side policy (lo impediscono i tedeschi), fa giustamente la politica strutturale, supply side, che pero’ richiede tempo e perseveranza nelle riforme strutturali.

Cordialita’
A.Roselli

roberto ha detto...

Ti ringrazio delle interessanti precisazioni.
Effettivamente c'è una differenza significativa nella misura del rapporto deficit/pil nei due casi, ma pur sempre di deficit spending si tratta.
Opportunament evidenzi la differenza fra il Glass-Steagall Act, che era una cosa seria, e il Dodd-Frank , che è stato fortemente inquinato dalla potentissima lobby bancaria e che produrrà,verosimilmente, scarsi effetti.
Il problema del tempo per le riforme è cruciale; molti fremono per trovare il "quick fix" ma è un'aspettativa destinata ad essere delusa.
Roberto