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lunedì 25 luglio 2011

Verso un governo di transizione ?

Lo stupefatto silenzio con cui è stato accolto a Montecitorio il risultato della votazione sull'arresto di Alfonso Papa è non soltanto testimonianza della sorpresa per un risultato che pochi si aspettavano ma è anche il segnale di un mutamento profondo del quadro politico nazionale.

Tale votazione ha infatto messo in evidenza quanto segue:

- il cambiamento della leadership all'interno della Lega: Maroni ormai controlla la maggioranza dei deputati padani e, soprattutto, ha dimostrato al popolo leghista di averlo ascoltato, di comprendere il suo disagio e di voler rompere con l'acquiescenza verso le posizioni del premier che aveva fatto della Lega un "partito romano", capace di ingoiare tutto pur di mantenere il potere. Basta pensare quanto deve essere dispiaciuto ai leghisti il voto con cui, avallando il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, la Lega ha fatto finta di credere all'insostenibile ipotesi che Ruby fosse la nipote di Mubarak.
La lealtà è una cosa, coprirsi di ridicolo per salvare Berlusconi è un'altra.

- l'impotenza del premier a fronte del logoramento della coalizione e suo personale, che è espressa non solo dal contrasto fra la sua reazione a caldo dopo il voto (ha esclamato "vergogna!" dopo l'esito della votazione) e le parole concilianti verso Bossi, Maroni e Calderoli a qualche giorno di distanza, ma anche dall'eloquente immagine che lo ritrae rabbuiato e con gli occhi rivolti al cielo subito dopo la comunicazione del risultato.  Anche la successiva protesta del premier per il "mancato rispetto dei patti" è stata subito bilanciata da numerose dichiarazioni sulla solidità del rapporto con Bossi, che testimonia la sua debolezza rispetto ad un alleato che tende sempre più a smarcarsi dalle sue scelte: sarà interessante vedere, al riguardo, come si comporterà la Lega il 27 prossimo quando sarà affrontato in Parlamento il tema del "processo lungo" che interessa al premier soprattutto in relazione alla vicenda Ruby.

- la conferma della possibilità di una convergenza fra forze di destra, di centro e di sinistra per affrontare un'emergenza nazionale. Tale convergenza si è manifestata anzitutto nell'approvazione della manovra finanziaria e si è ripetuta in occasione del voto su Papa. Per quanto i due eventi siano molti diversi fra loro, sono accomunati dall'eccezionalità della situazione da affrontare: nel primo caso il rischio della bancarotta dello Stato, nel secondo il rischio di una rivolta popolare contro i privilegi della casta, compresa l'impunità. La rivolta se non nelle piazze (la Serracchiani  del PD ha detto che, senza cambiamenti ,"ci cercheranno con i forconi") ci sarebbe certamente nelle urne, con esiti potenziali davvero imprevedibili, vista l'ormai conclamata volontà degli elettori di non farsi più ingabbiare da appartenenze ideologiche e di mettere fine a scelte contrarie al buon senso e al sentire comune.

A fronte di questi mutamenti sta l'insistenza con cui il Capo dello Stato, ormai arbitro discreto della situazione politica, esprime apprezzamento per lo spirito di "coesione nazionale" mostrato dai partiti in occasione della manovra finanziaria e segnala l'esigenza di ulteriori prove di coesione in futuro. Non c'è dubbio che, in questa affermazione, vi sia la preoccupazione per l'evoluzione del contesto economico e dell'atteggiamento dei mercati verso il nostro Paese. Tuttavia è possibile scorgervi anche la preoccupazione per l'evoluzione del quadro politico che potrebbe richiedere un qualche tipo di "governo di unità nazionale" qualora la crisi in atto dovesse precipitare e in attesa di future consultazioni elettorali.
Per quanto vi sia, da parte di alcune forze politiche, la richiesta formale di elezioni anticipate, la loro realizzazione sembra improbabile perchè l'esito delle stesse è altamente incerto e temuto sia dal centrodestra che percepisce, anche dai sondaggi, la forte caduta di consenso nel Paese, sia dal centrosinistra che non è ancora pronto a presentare un programma ed una leadership condivisi.
L'ipotesi di un governo di coesione nazionale potrebbe essere favorita dagli sviluppi delle inchieste giudiziarie in corso qualora esse dovessero investire direttamente importanti membri del governo.

Nel caso in cui il Capo dello Stato debba intervenire per consentire una nuova compagine governativa, vedo due possibilità:

- un governo tecnico sul modello di quello di Ciampi in occasione della crisi degli anni novanta. Tale governo potrebbe essere sostenuto da un amplissimo arco di forze politiche di destra, centro e sinistra. Il candidato più qualificato sarebbe, a mio avviso, Mario Monti per la sua indiscutibile autorevolezza, anche internazionale, e competenza.

- un governo politico espressione di forze eterogenee ma situate in un arco più limitato rispetto all'ipotesi precedente (ad esempio: PDL, Lega, Terzo Polo, IDV, data la svolta moderata di Di Pietro). Il Terzo Polo ha mostrato disponibilità al riguardo. Di Pietro, che ha fiuto, non credo perderebbe l'occasione di ribaltare comunque lo stagnante assetto politico attuale. Il candidato più probabile sarebbe Maroni, che gode di un'ampia rete di consensi sia nella maggioranza che nell'opposizione. Il suo schermirsi a fronte dell'ipotesi di una sua candidatura a premier rientra nel gioco delle parti, ma non preclude affatto tale ipotesi. Escluderei invece la partecipazione del PD, proposta da Fini in una recente intervista a La Repubblica, perchè sarebbe troppo oneroso da un punto di vista elettorale per questo partito partecipare ad un governo guidato da un esponente di quello attuale. dopo la contrapposizione frontale che vi è stata. D'altronde la proposta di Fini è stata respinta al mittente per bocca di Enrico Letta.

La scelta fra le due ipotesi dipenderebbe non solo dalla dinamica fra le forze politiche, ma anche dall'andamento dei mercati: se l'aggressione all'Italia riprendesse in  modo virulento, sarebbe preferbile la prima per le maggiori garanzie che darebbe al mondo finanziario.
Entrambi i governi avrebbero un compito primario: la revisione della Legge elettorale, per ridare agli elettori la possibilità di eleggere i loro rappresentanti e  correggere altre storture del "porcellum", cioè l'attuale Legge Calderoli,  così chiamata dal politologo Sartori perchè lo stesso Calderoli l'ha definita "una porcata".

lunedì 18 luglio 2011

La sfida globale e i costi della politica

Mi è stato chiesto perchè, nel mio ultimo post, non ho citato il fatto che, mentre i politici hanno accollato gravi sacrifici ai cittadini, hanno esentato se stessi da qualunque riduzione, rinviando a data da definire eventuali tagli ai costi della politica.
Il motivo è che citarli in quel contesto avrebbe significato sminuire fortemente il significato della "coesione nazionale" raggiunta in tale occasione.
Che è un grande risultato o, per citare il Presidente della Repubblica, "un miracolo", che potrebbe essere molto utile in futuro.
Come credo sia evidente dai miei post io sono critico sia verso il centrodestra, al quale sono più vicino per valori ma che ha disatteso molte promesse fatte agli elettori, sia verso il centrosinistra, che non riesce ad esprimere un programma alternativo e mantiene forti ambiguità ( si veda l'astensione del PD sulla proposta dell'IDV di abolire le provincie).
Tuttavia, come non credevo che sarebbe stato utile al centrosinistra demonizzare tutto ciò che ha fatto il Governo solo per l'odio verso Berlusconi ( infatti con questa strategia ha sempre perso le elezioni), ritengo sommamente sbagliato demonizzare tutto ciò che fa la politica solo perchè la "casta" difende i suoi privilegi.
Lo spirito di unità nazionale che ha consentito di approvare in tempi record la manovra finanziaria è cosa di grande rilevanza, anche se la "casta" ha mostrato uno sgradevole spirito corporativo, ed è un valore da coltivare perchè il nostro Paese, e non solo il nostro, deve affrontare tempi molto duri.
Per dirla chiaramente, gran parte dei paesi sviluppati (Stati Uniti e Gran Bretagna in testa, poi Grecia, Portogallo Spagna, Irlanda, Italia, ecc.) hanno vissuto negli ultimi 20/30 anni costantemente al di sopra dei propri mezzi, accumulando debiti pubblici e privati spesso insostenibili e accollando alle future generazioni l'onere derivante da un tenore di vita troppo alto di quelle attuali.
Invece di impostare una politica di rigore che consentisse di correggere gli eccessi e riportare ad un equilibrio i conti pubblici e privati, si è preferito  - negli ultimi due anni - inondare il sistema  globale con ulteriori finanziamenti a pioggia  (c.d. "quantitative easing") che non hanno risolto i problemi economici  e dell'occupazione ed hanno gonfiato ulteriori bolle finanziarie. In sostanza si è cercato di curare un sistema drogato dai debiti offrendogli più droga.
Anche qui i nodi stanno venendo al pettine e lo dimostra l'aggressione che la finanza internazionale, in larga misura di origine USA, sta facendo verso i paesi ritenuti più deboli per scaricare su di essi l'immane costo del riaggiustamento economico che si dovrà fare a livello globale per evitare una gravissima recessione (stile 1929) e riprendere la via di uno sviluppo che, comunque, dovrà essere più moderato di quello passato.

E' in atto, quindi, una vera e propria guerra economica che si combatte con le armi della finanza e con i giudizi "pilotati" delle agenzie di rating, che sono il maggiore scandalo del terzo millennio.

Per non essere schiacciati è necessario dimostrare di saper fronteggiare l'aggressione, mettendo davvero in ordine i propri conti e sviluppando un'adeguata competitività. Ciò non potrà essere fatto in un contesto politico di forti contrapposizioni, che è caratteristico della realtà italiana, ma richiederà più volte il contributo congiunto di maggioranza e opposizione. E' questa la ragione che mi ha indotto a plaudire al comportamento responsabile dimostrato da entrambe.
E' ovvio, e da tutti sottolineato, che tale sforzo sarà tanto più credibile quanto più sarà accompagnato da un ridimensionamento del pletorico apparato politico- amministrativo del nostro Paese, non solo per il suo costo, che incide pesantemente sui conti pubblici, ma anche  perchè chi chiede agli altri sacrifici deve dare l'esempio.
Per far uscire il dibattito su questo punto dal tono dell'invettiva, che è al momento prevalente, a quello della ricerca di soluzioni,  è necessario chiedere ai partiti, in vista delle elezioni che si terranno nel 2012 o nel 2013, di fare proposte concrete su pochi punti precisi. Per parte nostra segnaliamo i seguenti:

- riduzione del numero dei parlamentari  e degli altri componenti di assemblee elettive a livello territoriale
- effettiva equiparazione delle loro remunerazioni e delle altre prebende alle media europea
- riduzione o abolizione delle provincie. Sull'opportunità dell'abolizione si sono espressi in molti ma non è chiaro se tale provvedimento avrebbe solo aspetti positivi.  In Parlamento la proposta dell'IDV è stata affossata anche con la determinante astensione del PD, che ha recentemente annunciato di voler presentare un progetto di  legge per la riduzione di questi Enti. Un dibattito sul merito della questione andrebbe affrontato.

Sarebbe opportuno che su queste o altre richieste, fatte comunque in forma essenziale che non consenta "svicolamenti" nelle risposte, esercitassero un'azione di vigilanza sia i cittadini, soprattutto tramite la Rete, sia i mezzi d'informazione che, mentre hanno il pregio di sollevare in modo documentato i problemi, hanno talvolta il limite di non dare luogo in modo sistematico e comparativo alla verifica di quanto proposto dalle forze politiche.

giovedì 14 luglio 2011

Un plauso alla maggioranza e all' opposizione

Nel mio post del 7 luglio scrivevo, a proposito dell'elevatissimo e crescente debito pubblico italiano:  "Ma ora i nodi sono venuti al pettine e la politica del rinvio non è più possibile, pena la bancarotta finanziaria del Paese". Il giorno successivo iniziava l'attacco dei mercati all'Italia causato da un approccio titubante al problema, frutto degli eccessivi contrasti esistenti nella maggioranza e fra questa e l'opposizione.
Di fronte alla minaccia mortale che veniva portata all'Italia ed anche grazie all' incisivo intervento di "moral suasion" del Capo dello Stato, le forze di governo e quelle di opposizione hanno saputo trovare, pur nelle differenti sensibilità e valutazioni, uno spirito di unità nazionale che ha consentito di correggere la manovra, accogliendo sensate richieste delle seconde, e di garantirne l'approvazione in tempi straordinariamente brevi, anche rispetto agli standard internazionali.
Ciò ha fatto dire a Mario Monti in un articolo pubblicato contemporaneamente sul Corriere della Sera e sul Financial Times del 14 c.m. "Ma certo si può dire che la reazione di cui ha dato prova l'Italia è stata davvero notevole. Tanto più in un Paese nel quale pochi avrebbero scommesso di vedere una reazione così, mentre  molti hanno in effetti "scommesso", muovendo i loro fondi contro l'Italia, che questa reazione non ci sarebbe stata".

In questa occasione la classe politica, che viene frequentemente e giustamente criticata per vari motivi, ha dimostrato di essere all'altezza della situazione.
Anche il principale punto debole della manovra, cioè la sua iniquità dovuta ad  un eccessivo onere sulle fasce deboli della popolazione, con riferimento alla rivalutazione delle pensioni e all'imposta sul deposito titoli, è stato corretto.

Come sempre l'Italia dà il meglio di se di fronte a situazioni di estrema difficoltà.

Anche se i mercati, con ogni probabilità, metteranno ancora alla prova la capacità di resistenza del nostro Paese, mi sento di poter dire che la prova sarà superata. Questo successo deve servire a costruire un nuovo agone politico in cui si evitino gli "inciuci" della bassa politica, ma si attuino le "sintesi" dell'alta politica, necessarie per tutelare davvero, e non solo in circostanze eccezionali, i comuni interessi nazionali.

venerdì 8 luglio 2011

L'iniquo Tremonti

Lo slogan con cui Tremonti ha costantemente presentato la sua politica finanziaria è stato "non metteremo le mani nelle tasche degli italiani".
A me questa affermazione è sempre parsa azzardata perchè un Paese che ha il terzo debito pubblico più alto al mondo in rapporto al PIL non può pensare di raddrizzare la situazione senza affrontare gravi sacrifici.
L'unico modo per non mettere le mani nelle tasche dei contribuenti, in presenza di un deficit annuo di bilancio oscillante fra il 3% e il 5 % è quello di aumentare ancora il debito pubblico, ed è precisamente ciò che è avvenuto in questi anni.
Ma ora i nodi sono venuti al pettine e la politica del rinvio non è più posssibile, pena la bancarotta finanziaria del Paese.
Il problema va, quindi affrontato stabilendo quanto e a chi far pagare il costo della manovra. Sul quanto va detto che la cifra calcolata finora dal Governo (circa 70 miliardi) è una volta e mezza quella che servì al Governo Amato nel 1992 per evitare la bancarotta della lira che era sotto attacco speculativo; e non è detto che sia finita. Sulla gravità della situazione dunque non c'è dubbio.
In merito a chi debba pagare il conto, quello che il Governo ha previsto è palesemente iniquo perchè scarica sulle fasce deboli della popolazione, i pensionati e i piccoli risparmiatori, il grosso degli oneri. Questo squilibrio indica che la manovra è stata preparata in fretta, senza un'adeguata ponderazione, dando spazio ad una versione retriva del centro destra (togliere ai poveri per lasciare ai ricchi) che ha un sapore ottocentesco e certamente non corrisponde nè a ciò che pensano oggi i moderati dotati di buon senso, ne all'indubbia intelligenza di Tremonti.
Se la manovra fosse opportunamente distribuita nella popolazione secondo un principio di equità ( far pagare in proporzione alla capacità contributiva) la stessa sarebbe accettabile.
Non è vero, a mio avviso, che gli italiani non vogliono fare sacrifici. Se venisse detta la verità e non delle bugie pietose, credo che le persone assennate sarebbero disposte a fare la loro parte per evitare il fallimento del Paese.
E' necessario che, nella discussione in Parlamento per la conversione in legge del decreto governativo, si sviluppi un dibattito serio fra maggioranza e opposizione per trovare una soluzione più equilibrata. Non vorremmo assistere, in tale occasione, al consueto scaricabarile e scambio d'insulti.
La situazione è grave e richiede la responsabilità di tutti. E' questo il motivo per cui, nel post precedente, ho chiesto a Bersani di dire che cosa farebbe il PD e l'opposizione nel suo complesso per evitare il default del debito pubblico e avviare un virtuoso ciclo di sviluppo.

domenica 3 luglio 2011

Bersani & Alfano

Una delle cose che mi ha sempre infastidito in certi esponenti della sinistra è  stata la loro supponenza nei confronti di chi appartiene al centrodestra: a loro avviso appartenere al centrodestra voleva dire o essere stupidi o essere in malafede.
Ci sono volute sconfitte elettorali ripetute perchè la sinistra si rendesse conto che non avrebbe potuto esorcizzare l'opinione dei moderati solo con l'invettiva. Tuttavia il riflesso condizionato permane, almeno in parte. Basta vedere la reazione di Bersani, Segretario del PD, alla nomina di Alfano a Segretario del PDL, il maggior partito del Paese; ha detto Bersani, con un sorriso ironico " E' il segretario del PDL o il segretario del Presidente?" Non c'è nulla di formalmente offensivo in questa domanda ma c'è sicuramente una caduta di stile, che può irritare come un'offesa, ricordando agli elettori che la sinistra è troppo spesso condizionata dai pregiudizi. Di Pietro, nel suo nuovo ruolo di oppositore attento anche ai moderati, lo ha rimarcato immediatamente dicendo "ci vuole più rispetto".
Si è fatta, inoltre, molta ironia sull'intenzione di Alfano di costruire "il partito degli onesti", ma mi pare che la recente vicenda delle mazzette all'ex responsabile trasporti del PD (vicenda ENAC) confermi che solo chi è senza peccato può scagliare la prima pietra.

Se si vuole costruire una politica più attenta alle esigenze dei cittadini, come questi ultimi hanno sonoramente chiesto con il voto amministrativo e referendario, non è solo il centrodestra che deve darsi una regolata.
Il centrosinistra, se vuole creare un'opposizione credibile, deve smetterla con la sua spocchia, rispettare gli avversari e fare proposte sensate e sistemiche. Non basta solo dire no a tutto ciò che fa il governo . Visto che Bersani, per tutta la campagna delle amministrative e dei referendum ci ha propinato infinite volte il suo mantra" non dobbiamo occuparci di Berlusconi ma dei problemi del Paese",  lo invitiamo a darsi una mossa, come gli ha ripetutamente chiesto Di Pietro, e a dirci cosa farebbe il PD e magari l'opposizione di centrosinistra nel suo insieme, per evitare il default del debito pubblico italiano e, contemporaneamente, innestare un positivo ciclo di sviluppo.

Ad Alfano voglio fare anzitutto complimenti e auguri per il difficile compito che si è assunto e la richiesta di non disattendere i chiari messaggi ricevuti dalle urne: non si possono riproporre provvedimenti sui pubblici servizi, sull'energia, sulla giustizia che facciano rientrare dalla finestra ciò che i referendum hanno cacciato dalla porta. Purtroppo abbiamo avuto tristi esperienze al riguardo: il finanziamento pubblico ai partiti, annullato con un referendum, è stato ripristinato e altrettanto ci si apprestava a fare col nucleare. Ma i cittadini sono ora vigilanti: se  questi tentativi dovessero ripetersi, sarebbero la causa certa di una sconfitta del centrodestra alle prossime elezioni politiche.
Deve cessare anche la "macchina del fango" con cui si è cercato di demolire gli avversari politici (si vedano le false accuse fatte dalla Moratti a Pisapia a Milano e tanti altri episodi).

Se il centrosinistra deve smetterla con la spocchia, il centrodestra deve  smetterla con la diffamazione.

venerdì 1 luglio 2011

Il fiuto di Di Pietro - seconda parte

Ho deciso di tornare sul tema per dare alcuni chiarimenti e fare integrazioni a quanto scritto in precedenza.
Oltre al commento pubblicato nel blog, ho ricevuto diverse osservazioni verbali del tipo: "ma allora tu tieni per Di Pietro".
Vorrei precisare a questo proposito che non sono mai stato un elettore dell'IDV; sono un moderato che alle recenti elezioni amministrative, come molti altri, ha deciso di cambiare, soprattutto perchè non intendevo aderire al "referendum pro Berlusconi" che era stato chiesto dal premier. Se tale referendum vi fosse stato avremmo certamente assistito ad un'offensiva ad oltranza e, forse, definitiva contro le istituzioni di garanzia e al pericoloso consolidamento di un modello di governo del PDL e del Paese, autocratico e autoreferenziale.
Come ho in parte detto nella mia risposta al commento pubblicato, ho diverse riserve sul Di Pietro magistrato, in particolare per le "manette facili", sul suo passaggio in politica sfruttando la notorietà che gli derivava dall'operazione  "mani pulite", sulla sua capacità di scegliere i collaboratori e sul suo contributo alla radicalizzazione del conflitto. Ma non posso non riconoscere che è uno dei pochi leader politici che parlano chiaro e in modo diretto, facendosi capire da tutti, in un contesto ancora permeato da un astruso politichese, e che è stato un oppositore efficace: in particolare la sua iniziativa referendaria, inizialmente sottovalutata e osteggiata anche dal PD, ha dato un colpo definitivo all'attuale sclerotico assetto politico, mostrando con tutta evidenza che gli italiani, al di là dei diversi orientamenti ideologici e dei blocchi sociali di appartenenza, valutano spesso in modo omogeneo le questioni di merito, vogliono trovarsi uniti sui fatti che contano e non accettano più gli steccati tradizionali in cui sono stati confinati per molto tempo.
Commettono un grave errore coloro che pensano al voto amministrativo e referendario come a un momento di "ricreazione" finito il quale, in occasione delle prossime elezioni politiche, le pecorelle torneranno all'ovile dei partiti di riferimento. Non credo che ciò avverrà perchè non ci sono più gli ovili, nè le pecorelle; ci sono semmai dei cavalli liberi, pronti a seguire qualcuno di cui si fidano, ma anche a disarcionarlo se si prende troppe libertà a loro spese.
Ho trovato conferma ad alcune mie valutazioni e interessanti spunti di riflessione nell'acuto editoriale di Marcello Sorgi (La Stampa, 25 giugno) che fin dal titolo  " Di Pietro il sensitivo della politica " lascia intendere un apprezzamento per il suo fiuto politico. Circa i possibili motivi che lo hanno indotto all'improvvisa svolta moderata, Sorgi scrive "....si può intuire che  Di Pietro sia rimasto colpito, di recente, da due fatti che lo hanno toccato da vicino: il successo, superiore a qualsiasi previsione, di De Magistris a Napoli. E la vittoria dei referendum, ottenuto anche grazie a dieci milioni di elettori del centrodestra disobbedienti alla direttiva berlusconiana di disertare i seggi, che sono andati a votare umiliando il partito astensionista e costruendo il quorum inattaccabile di ben ventisette milioni di voti".
Circa i possibili sviluppi, aggiunge " Di Pietro sta rimuginando su un'alternativa che non sia di destra, nè di sinistra, nè di centro, ma cerchi piuttosto di pescare in più campi, partendo naturalmente da quello martoriato del Cavaliere,
A suo modo ha metabolizzato, nel bene e nel male, la lezione di Segni e dei referendum del 1991 e 1993. Dopo quella grande prova di democrazia, infatti, nel '94, l'idea che dalla crisi della Prima Repubblica e dei partiti che l'avevano governata per quarant'anni si sarebbe usciti a sinistra si rivelò una fatale illusione, che aprì la strada a Berlusconi e alla destra. Vent'anni dopo ripetere quello stesso errore, nutrirsi dello stesso miraggio, scambiando il declino del belusconismo per la crisi dell'opinione pubblica moderata e di centrodestra, è qualcosa che, prima anora che accada, al sensitivo Di Pietro fa ribollire il sangue e drizzare i peli sulla pelle. Verrebbe da aggiungere: non a torto" (grassetto mio).
E' per questi motivi che, da moderato, intendo seguire con attenzione la costruzione dell'IDV 2, per verificare se e come Di Pietro riuscirà a coniugare istanze di parti politiche diverse, compito certo molto difficile ma, a mo avviso, non impossibile. E' ormai chiaro, almeno per me, che una politica seria non può che essere la sintesi delle diverse istanze del lavoro e dell'impresa, della tenuta sociale e dello sviluppo, in una dialettica che abbia come obiettivo la crescita complessiva del sistema Paese. In questo senso stanno andando i recentissimi accordi sui contratti finalmente raggiunti fra tutte le sigle sindacali e Confindustria. In questo stesso senso vanno le dichiarazioni di Di Pietro che, nel suo blog (http://www.antoniodipietro.it/) scrive, a proposito dell'IDV 2: "...noi dobbiamo costruire la nostra storia politica, quella di un partito popolare di massa che parla a tutti i cittadini ben sapendo che il lavoratore non c'è se non c'è l'imprenditore, e l'imprenditore non è tale ma è semplicemente un faccendiere se non mette al primo posto i diritti dei lavoratori" e, a proposito dell'alternativa da costruire: " ...non vogliamo rappresentare solo una nicchietta, nè di destra  nè di sinistra, ma vogliamo rappresentare il popolo che indipendentemente dalle ideologie mette al primo posto valori e concretezza".

Dopo le dichiarazioni aspettiamo i fatti.